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Superlega, pesano anche i fallimenti dell’Uefa

Pep Guardiola, sul varo della Superlega, ha detto che il progetto esiste perché l’Uefa ha fallito. Ed è vero. Così come la Fifa. L’accusa che arriva a entrambe le istituzioni del calcio, che si sono viste dichiarare guerra dalle 12 partecipanti al nuovo torneo, è quella di aver gestito il calcio come se fosse esclusivo affar loro, mentre i protagonisti restano le società e i calciatori. Ma soprattutto, l’Uefa rischia di essere defenestrata dai potenti club europei per motivi economici: nell’ultima edizione di Champions League precedente all’avvio della pandemia, il montepremi complessivo della Champions League, organizzata dall’Uefa, è stato di 1,9 miliardi di euro, sceso a 1,5 miliardi di euro per la stagione in corso. Nei mesi scorsi, la Uefa ha annunciato alle federazioni associate di aver perso circa 600 milioni di euro a seguito dei mancati introiti televisivi e da sponsorizzazioni e che le previsioni per il futuro sono tutt’altro che rosee.

Per fronteggiare questa crisi, la proposta recapitata ai club ha fatto saltare il banco: i premi di partecipazione alle competizioni continentali e il cosiddetto market pool tagliati per i prossimi cinque anni, perdite per ogni club in media del 4% a stagione dei ricavi europei. Una torta assai inferiore, per esempio, alla Nfl, che per un bacino di utenza assai più ridotto (gli Stati Uniti e poco altro) che fattura circa cinque miliardi di euro, con prospettive di crescita enormi nei prossimi anni. Nonostante il Covid-19.

Il progetto della Superlega parte dunque da lontano e ovviamente la pandemia ha accelerato il processo, con l’orizzonte prossimo di un montepremi annuo da sette miliardi di euro, acqua nel deserto per le partecipanti, che hanno accumulato debiti superiori ai sei miliardi di euro, di cui quattro verso istituti bancari.

E se ora l’Uefa, oltre alle minacce, pensa, come riferisce Bloomberg, a una personale versione della Superlega (trattativa con un fondo inglese, montepremi da 4,5 miliardi di euro), c’è anche da ricordare che in passato non ha vestito certamente i panni di Biancaneve. Il presidente, Aleksandr Ceferin, che ha ricoperto di insulti Andrea Agnelli, è quel dirigente che con il boom di contagi non ha esitato un attimo a far giocare ad Anfield quel Liverpool-Atletico Madrid dell’11 marzo 2020, costato una marea di positivi tra Inghilterra e Spagna. Una bomba virologica, secondo uno studio britannico, 41 morti per Covid-19.

L’Uefa che ora reclama un calcio per tutti dovrebbe anche scavare nella scatola nera, verificando come il Financial Fair Play varato anni fa per il contenimento dei debiti dei club non ha certo ostacolato il cammino di società borderline come Psg e Manchester City, con conti gonfiati, sponsorizzazioni camuffate, ovvero colossi come Ooredoo (telefonia), Qatar National Bank e l’Autorità per il Turismo del Qatar che finivano con il loro logo sulla casacca del club parigino ma collegati al fondo che possiede il Psg.

Iniezioni di liquidità nelle casse della società che ha prodotto un mercato pazzo, con i cartellini dei calciatori alle stelle (223 milioni di euro al Barcellona per Neymar, 180 milioni al Monaco per Mbappè) e così gli ingaggi degli atleti. Dunque, la sistematica violazione dei regolamenti finanziari testimoniata da un’inchiesta pubblicata due anni fa dal New York Times. Insomma, due pesi, due misure. E di ricavi gonfiati e costi si è macchiato anche il Manchester City, prima punito dall’Uefa con l’esclusione dalle coppe europee e poi riabilitato con il pagamento di una multa, briciole per i fondi senza riserve del City Group, che detiene le azioni del City. Insomma, Ceferin potrà anche alzare la voce. Ma sul calcio pulito, con le stesse possibilità per tutti, meglio sorvolare.

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