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Clima, gli obiettivi Gfanz e il mantra ‘net zero’

cop25

Un’alleanza senza precedenti per salvare il clima. Questa è la miglior definizione di Gfanz. Uno scopo nobile a cui tutte le maggiori realtà finanziarie hanno aderito (o stanno aderendo). Dopo tutto il clima è una cosa seria e tutti gli stati occidentali, nei prossimi anni, andranno a investire miliardi (derivati dalle tasse dei contribuenti) per combattere la crisi climatica. Ma partiamo dall’inizio…

La dichiarazione

Gfanz (Glasgow Financial Alliance for Net Zero) è coordinata da Mark Carney, ONU Special Envoy on Climate Action and Finance. Il progetto vede già oggi riunite oltre 160 realtà finanziarie (responsabili in totale per asset gestiti oltre i 70 trillioni di dollari). L’ambizione di questa aggregazione volontaria è di guidare le iniziative ‘net zero’, all’interno di tutta la comunità finanziaria, per accellerare la transizione alle emissioni ‘net zero’ entro il 2050 per salvare il clima. Su Youtube è disponibile l’intera cerimonia di lancio (in modalità casalinga, Covid compliance, con in background la bandiera ONU) dove il signor Carney discute con vari delegati, politici, burocrati della famiglia ONU tutti le sfide che questa nuova entità privata dovrà affrontare.

Il documento ufficiale

Il documento ufficiale del Cop26 e Gfanz è disponibile qui. È piuttosto lungo ma vale la pena estrapolare i 5 punti che il progetto si ripromette di attuare per il clima.

  • Ampliare la campagna di race to zero per assicurare che tutti i settori finanziari abbiano un impegno verso la ‘net zero’ credibile.
  • Aumentare l’impegno dei partecipanti al progetto con target robusti e piani di transizione.
  • Coordinare gli impegni presi e le azioni in tutta l’industria finanziaria. Gfanz unirà tutte le esistenti alleanze ‘net zero’ e i partner di Race to Zero in una struttura coerente e olistica (dal greco ὅλος hòlos, globale, tutto). A cui si aggiungeranno attori che forniscono strumenti analitici come le agenzie di rating, auditor, borse finanziarie per implementare le loro strategie ‘net zero’.
  • Supportare collaborazioni per arrivare alla ‘net zero’.
  • Mostrare i risultati positivi raggiunti da entità finanziarie per acquisire la ‘net zero’.

La cosa che si evince, in tutto il documento, è la massiccia presenza del termine ‘net zero’. Ripetuta all’infinito quasi fosse un mantra.

I precedenti esistono?

Un progetto ambizioso che desta alcune perplessità. Il concetto di “gestire le finanze” pubbliche in modo privatistico non è nuovo. Alcuni anni fa venne pubblicato Dead Aid della economista di Goldman Sachs, Dambisa Moyo. Lei, cittadina afro americana (un asset in più, se devi parlare di Africa, senza poter essere criticabile come WASP), discuteva l’utilità di privatizzare gli aiuti all’Africa. La sua tesi consisteva nello spiegare che gli aiuti pubblici (pagati dai contribuenti delle nazioni occidentali) e donati ai paesi poveri africani, distorcevano il mercato, di fatto rendendo più poveri gli africani.

Una tesi un poco fiacca ma subito abbracciata dal mondo finanziario. Il progetto ipotizzato dalla signora Moyo non ha mai fatto veramente breccia, ma ha definito una linea di confine tra ciò che è bene (la gestione privata della cosa pubblica) e ciò che è male (la gestione della cosa pubblica in modo pubblico). Di recente un libro discute i rischi della “privatizzazione corporativa della cosa pubblica”.

Qualche punto debole del Gfanz?

Non appare chiaro, per esempio, in che modo i gruppi finanziari andranno ad influenzare i mercati. Si può ipotizzare che una banca possa imporre, in qualche modo, una sorta di standard ai propri clienti a cui presta denaro. Sarebbe da comprendere, tuttavia, se questi “standard”, che l’istituto finanziario pretenderà dai suoi clienti, siano flessibili. Dopo tutto l’interesse di una banca è prestare soldi a interesse.

Il tema banche e industrie fossili, legato al clima, è poi particolarmente complesso. I menzionati accordi di Parigi del 2015 sono stati accolti con grande supporto da tutti gli istituti finanziari. Tuttavia le grandi banche, dal 2015, hanno investito oltre 3,8 trillioni di dollari in aziende che operano nelle industrie fossili (petrolio, gas carbone etc..).

Un’altra criticità riguarda il punto 3 in merito al coinvolgimento delle agenzie di rating: entità (quanto meno quelle occidentali), la cui credibilità è stata seriamente azzoppata dopo i fatti della crisi immobiliare 2008, dove i rating venivano dati in maniera “allegra”. Viene da riflettere quanto e quale sia la capacità di queste entità di offrire rating, che siano veramente affidabili, in un settore (quello del clima) dove sino ad oggi il “greenwashing” è molto presente.

Aggiungiamo poi che il concetto di “net-zero” discusso sul sito di Gfanz, che di solito fa riferimento agli accordi di Parigi sull’ambiente del 2015, è egualmente dibattibile. Per quanto, anche di recente, si è affermato che il Gas non può essere una soluzione “ponte” per raggiungere la net zero entro il 2050, esistono molte scappatoie che possono permettere alle aziende, e le istituzioni finanziarie che in esse investono, di essere compliance con il concetto di “net zero” e tuttavia inquinare.

A queste criticità se ne aggiungono altre riprese da operatori del settore.

Sierraclub (che fa i soldi sul tema ambiente) ha criticato questo progetto. Per correttezza c’è da ricordare che lo stesso Sierraclub venne aspramente criticato quando, qualche anno fa, ricevette una donazione da aziende legate alle industrie di energia fossile.

Lo stesso fondatore del Gfanz, il signor Carney, tende ad avere qualche problema di immagine. Di recente il gruppo Brookfield Asset Management, dove il signor Carney ricope il ruolo Vice Chair and Head of ESG and Impact Fund Investing, ha ricevuto molto interesse dai media. Il signor Carney aveva affermato che il Brookfield era “net zero across its $575bn asset portfolio”. Tuttavia un’investigazione di Greenpeace ha portato alla luce che il gruppo ha importanti posizioni nelle industrie del carbone, gas e sabbie bituminose (la cui estrazione è altamente energivora e richiede grandi quantità di acqua).

Fare cose verdi porta soldi

Per quanto le critiche siano doverose c’è da considerare anche il rischio greenwashing come boomerang per le realtà finanziarie. Allo stato attuale i media sono molto attenti al tema. È importante che, vedi evento Carney, un fondo o altra istituzione finanziaria, che investisse in soluzioni verdi (pensiamo agli Esg), stia molto attenta a fare una seria due diligence. Egualmente il fiume di soldi originati dagli stati per il cambiamento climatico sono un opportunità a cui ogni realtà finanziaria non vuole rinunciare. L’imperial College Business School ha stimato che i Roi sugli investimenti verdi dal 2010 hanno toccato i 367% di ritorni di investimenti rispetto a investimenti in fossili. Se questa Gfanz sarà un vero volano per il clima, che crea profitti (nulla di sbagliato) e benefici all’umanità è una cosa che potremmo comprendere solo procedendo nel tempo. È auspicabile che i singoli stati abbiano a cuore il controllo di questa alleanza in modo che i fondi pubblici non si “distraggano”.

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