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Draghi cerca la maggioranza per cambiare l’Europa

Due posizioni opposte e difficilmente conciliabili. Da una parte, l’idea di un’Europa che cambia definitivamente marcia aumentando la condivisione della sovranità. Da un’altra, la vecchia Europa che fatica a ridimensionare gli interessi nazionali. Mario Draghi contro Mark Rutte. O, meglio, il contrario.

L’oggetto della discussione è il lavoro, ovvero il cuore del problema per l’economia europea. Il premier italiano, che da presidente della Bce e in un contesto diverso ha sempre sostenuto che servisse una maggiore condivisione nelle politiche europee, ha chiesto espressamente che il programma Sure da 100 miliardi a sostegno della lotta alla disoccupazione diventi strutturale. Non più una misura straordinaria per l’emergenza Covid ma una scelta di campo definitiva.

Si tratterebbe di un salto in avanti significativo, non solo per il provvedimento specifico ma per il contenuto politico che deriverebbe da una scelta del genere. L’ha spiegato lo stesso Draghi. “Sure è un inizio di sussidio e disoccupazione europeo, primo piccolo passo verso un mercato comune del lavoro”. Un piccolo passo in un processo lungo. Ma qualcosa si sta già muovendo. Il premier italiano lo fa notare: la proposta “è stata ripresa da molti, anche da Paesi da cui non me lo sarei aspettato. Non c’è una decisione presa né era all’ordine del giorno, io credo che queste decisioni come altre, l’inizio di una discussione su una politica di bilancio nei mesi a venire potrà iniziare solamente nel Consiglio Ue di giugno”.

L’altro elemento che aiuta a comprendere il valore della posta in gioco è la reazione del premier olandese, già convinto oppositore del Recovery Fund, nella versione poi approvata. “Non ne abbiamo discusso al vertice. Forse Draghi ne ha parlato e magari me lo sono perso io. Però la nostra posizione è che il programma Sure per l’occupazione è una tantum”.

Una soluzione strutturale contro una mossa una tantum. La prospettiva di un mercato unico del lavoro contro la tradizionale ostilità alla condivisione dei rischi, e del debito necessario a gestirli, dei Paesi frugali guidati dall’Olanda.

Gli schieramenti sono consolidati. Questa volta, però, intorno alla leadership di Mario Draghi può crescere una spinta capace di portare l’Europa a fare scelte seguendo uno schema diverso: non più veti che bloccano ma una maggioranza di Paesi che detta la linea. Come avveniva nel Consiglio della Bce quando Draghi, nei momenti più difficili, portava dalla sua parte i voti che servivano, oggi cerca la maggioranza che serve a cambiare l’Europa.

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