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Donne e STEM, un binomio possibile

Le discipline tecniche e scientifiche e la complessa connessione con il mondo femminile. Come avvicinare sempre più le ragazze agli studi scientifici e alle STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics)? Questo è il tema centrale del nuovo evento, moderato da Alma Grandin del Tg1 e organizzato da Most Powerful Woman, con l’obiettivo di analizzare le sfide nel coinvolgimento delle donne nel campo della scienza e della tecnologia, in un mercato che sta affrontando l’adattamento post-pandemia. Dall’enfasi sul divario digitale al ruolo dell’informazione e della formazione, dall’importanza dei modelli positivi al contributo degli uomini nel contrastare gli stereotipi sulle professioni femminili. Secondo i dati dell’Istat e di un’indagine condotta da Save The Children, solo il 16,5% delle donne si laurea in materie scientifiche, mentre meno del 20% delle ragazze intraprende una carriera scientifica (37% per gli uomini).

Tiziana Catarci, Diag Sapienza

Tiziana Catarci, direttrice del Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale (DIAG) a L’Università degli Studi di Roma La Sapienza, analizza i motivi storici del gender divide su materie scientifiche: “Il problema ha radici lontane, negli Usa negli anni 60 le programmatrici erano donne, per gli uomini pareva un lavoro segretariale. Venti anni dopo sono nati i pc, i videogiochi, considerati solo per i maschi, sono diventati la preparazione artigianale ma preliminare all’informatica solo per gli uomini. E’ nato una specie di sessismo, la figura del nerd con le donne ai margini, si è formato uno stereotipo, diffuso tra le aziende che hanno iniziato a cercare solo uomini esperti di informatica”. È sorto una sorta di club maschile che ha allontanato l’interesse delle donne per le STEM.”E contribuisce anche un certo tipo di comunicazione – aggiunge Tiziana Catarci – il nerd è uomo, chiuso nella sua stanzetta, un’immagine dura a morire. Le ragazze sembrano non capire, così come la società, che si sta creando, un pregiudizio alimentato da algoritmi di machine learning che cambiano il modo di vivere, che sono creati da uomini bianchi. C’è una diversità di genere ed etnia, un male per tutti e la soluzione è la scuola, dalle elementari, le ragazzine devono capire che informatica è creatività, che consente di fare qualunque cosa si voglia fare. Dà strumenti per poterlo fare, le ragazze non lo sanno, non viene raccontato. Ci vorrebbe comunicazione massiva, positiva. E anche non raccontare che una donna che raggiunge una posizione apicale è per forza eccezionale. Invece, è come un uomo, capace o meno, senza distinzioni”.


Chiara Brughera, She Tech

Chiara Brughera, direttore esecutivo di She Tech, un’associazione no-profit nata nel 2009 con l’obiettivo di ridurre il divario di genere nelle materie scientifiche, concorda sul fatto che la scuola e l’istruzione siano strumenti per affrontare il divario digitale femminile: “Il 93% sono donne, ma ci teniamo anche agli uomini, sono alleati alla nostra attività – racconta Brughera -, nel concreto, organizziamo attività di networking, mettendo in connessione competenze, mettendo in luce esempi positivi di uomini e donne, raccontando i ruoli più richiesti nel mercato. Inoltre facciamo formazione digital per avvicinare sempre più donne alle materie Stem, tipo su coding, robotica, anche per ragazze delle scuole medie. Ma anche attività per chi è imprenditrice o idea imprenditoriale (accompagnamento startup). Il lato positivo della pandemia ci ha portato a lavorare online e quindi ad avere associati in ogni angolo di Italia”. Riguardo al percorso di avvicinamento alle materie STEM, il direttore esecutivo di She Tech sottolinea l’importanza dei modelli positivi: “Oltre a parlare del gender gap, si deve anche agire, quindi un invito alle donne a proporsi come mentor, a organizzare eventi, ma essere attenti anche al linguaggio. E raccontare le storie di donne Stem, che lavorano nel settore, non per forza manager di aziende ma lavoratrici come data scientist, astrofisiche. Non per forza donne eccezionali, ma che ce l’hanno fatta in questo settore, come gli uomini”.

 

Floriana Ferrara, Fondazione IBM Italia

Floriana Ferrara, direttore della Fondazione IBM Italia, responsabile della responsabilità sociale d’impresa e inventore principale IBM, si impegna nell’orientamento scolastico verso le materie STEM. Anni fa, ha ideato il progetto NERD? (Non È Roba per Donne?): “Un progetto di ricerca con La Sapienza partito nel 2012, con 17mila ragazze tra i 15-18 anni, cinquemila solo nel 2021. Portiamo letteralmente fuori dai laboratori scientifici i maschi, lasciando spazio alle ragazze, per farle avvicinare alla scienza, alla tecnologia, all’informatica”. Per la manager IBM, “lo stereotipo di genere è alimentato dalle stesse donne perché sono cresciute così, sin dai genitori, con le bambole alle bimbe e i videogiochi ai bimbi. Non bastano i progetti spot per convincere le ragazze che le STEM siano per loro, devono essere attratte da esempi positivi. Oggi ci sono i primi numeri: al Politecnico di Bari si è arrivati al 40% di iscritte ai corsi di laurea in materie scientifiche, partendo da zero. Ma non basta, serve attivare le scuole, dai 6-7 anni, con attività extracurriculari per incentivare la passione per le STEM. Inoltre, sottolineo un dettaglio, sempre sull’educazione scolastica: attenzione ai libri di testo dei bambini che alimentano il gender gap, il papà chimico e la mamma casalinga, sono elementi che influiscono, che le donne si portano dietro negli anni”.

 

Vanessa Longo, We Womengineers

Alla tavola rotonda virtuale sulle donne e il loro rapporto con le materie scientifiche ha partecipato anche Vanessa Longo, ambasciatrice di We Womengineers, una rete femminile che racconta storie di donne e STEM: “Posso raccontarvi la storia di Viviana Laura Pinto, una laureata in matematica che ha abbandonato una carriera sicura per la sua passione, ovvero la tecnologia, la robotica, ma associata ai bambini. Secondo lei in un laboratorio vanno messi assieme l’aspetto ludico e scientifico, perché l’innovazione, il cambiamento deve partire dai bambini, dalle bambine, facendoli innamorare di queste materie attraverso gli strumenti ludici. Da qui si parte e si può pensare a un futuro senza gender gap, ancora presente nel 2021. Il cambiamento parte da noi stessi, noi siamo il cambiamento”.

Diego Romeo, giornalista

All’evento Most Powerful Woman era presente anche Diego Romeo, giornalista e esperto di scienza, che insieme a Emanuela Grigliè ha pubblicato il libro “Per Soli Uomini: Il Maschilismo dei Dati, dalla Ricerca Scientifica al Design: “Se il sistema Italia inserisse al meglio le donne nel mercato del lavoro ci sarebbe una crescita del Pil del 2% in Italia, con famiglie più ricche e più incassi per lo Stato. In realtà le cose stanno migliorando ma non abbastanza: ci vorranno, secondo studi recenti, 280 anni per la parità di sviluppatori tra uomini e donne, 250 per la fisica. Sul gender divide, credo si debba partire dalle scuole e insisto sui role model. Si apre un grande capitolo, i modelli positivi portano all’identificazione, dalla politica all’economia. E sull’informazione, il mio settore, l’Italia è molto indietro. Un Anchorwoman come Barbara Serra, intervistata da me per il libro, ha raccontato di non poterne più di prime pagine, titoli fatti solo da uomini, anche avanti con l’età. Insomma, ci vuole uno sforzo, non solo delle donne, che sono il 51% della popolazione. Per cambiare il racconto e superare il gap nelle materie scientifiche serve anche il contributo degli uomini. Una società senza gender gap, e senza gender divide, è più vantaggiosa per tutti”.

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