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Plastica monouso, il risveglio tardivo dell’Italia

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Francesco Bruno

Francesco Bruno è Professore di Diritto Ambientale presso l'Università Campus Biomedico e Founding Partner di B - Società tra Avvocati

La discussione tra Unione Europea, governo italiano e associazioni di categoria sul divieto di plastica monouso potrebbe apparire come un confronto tecnico limitato a taluni addetti ai lavori, che dissertano sulle definizioni di plastica “riciclabile” o sui concetti di “biodegradabilità o “compostabilità”. Così non è.

Anzi, è spunto per alcune considerazioni di politica del diritto ambientale che ci portano (con ottimismo) a definire evoluzioni prospettiche del nostro sistema produttivo in una logica di sostenibilità con gli ecosistemi.

Innanzitutto, un rilievo meramente giuridico: la direttiva è stata promulgata nel 2019 e la si rimette in discussione solo quando deve entrare in vigore (dal 3 luglio 2021). Ma il testo ormai è definitivo e quindi qualsiasi cambiamento necessita un intervento legislativo europeo (a meno di andare avanti con misure temporanee e tampone).

Ora, è pur vero che il governo non è più lo stesso e quindi è suo diritto mutare indirizzi politici, ma ci si può accorgere solo ora di un provvedimento normativo discriminatorio per le nostre imprese?

Sembrerebbe che in questi ultimi giorni ci sia stata una apertura della Commissione nel valutare una modifica del provvedimento, ma chiaramente in un contesto giuridico così complesso sarà complicato trovare una soluzione giuridicamente valida nel breve termine. In secondo luogo, finalmente si è compreso che ogni passaggio ecologico sottende una variabile produttiva e di ricchezza.

Si effettua una scelta di politica economica, privilegiando alcuni sistemi, territori e nazioni. Ciò avviene fin dalle guerre puniche e oggi – che alle battaglie si è sostituito il diritto – per ogni provvedimento legislativo internazionale ed europeo. Dobbiamo chiedere ai nostri governanti di essere vigili oltre che propositivi.

Le imprese necessitano di un serio apporto delle istituzioni che dovrebbe inquadrarsi in una logica di competizione regionale, interregionale e globale, divenire maggiormente selettivo e qualificato e fondarsi su una articolazione di strumenti che guardi a una dimensione quantomeno “mediterranea” se non planetaria degli scambi, in cui il valore aggiunto della nostra terra può ancora giocare una partita vincente.

Infine la nostra speranza è che da questo periodo di transizione ecologica (parafrasando il nuovo nome del ministero competente) ne esca vincitrice l’ecologia umana, ossia sia l’occasione di ridare dignità alle singole persone “umane” (tutti noi) danneggiate da condotte che non hanno considerato che l’ecosistema ha un valore inestimabile, anzi ogni suo “frammento” ha un valore inestimabile, un valore “esistenziale” più che “biologico”, che intacca la nostra cultura e la nostra storia e si collega alla libertà di agire senza essere danneggiati a “casa” nostra.

Non è con imposizioni sanzionatorie e cogenti (come il divieto di plastiche monouso) che si preservano le preziose risorse naturali. Il fallimento di questa impostazione è sotto gli occhi di tutti.

È invece necessaria la consapevolezza che l’adozione di misure di gestione razionale delle risorse naturali e la conversione del sistema produttivo verso scelte tecnologiche di minore impatto per l’ambiente e la salute dei cittadini, oltre a conseguire uno sviluppo sostenibile delle attività imprenditoriali, aumenta la stessa capacità concorrenziale del nostro sistema paese, in modo da poter ancora essere protagonisti nei prossimi decenni tra i G7 (anche se oramai siamo l’ottava economia più grande, ma va bene così).

 

*Francesco Bruno è professore ordinario di Diritto Ambientale del Campus Biomedico di Roma e Founding Partner di B Società tra Avvocati.

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