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L’emergenza climatica sta peggiorando, secondo l’Onu

clima emergenza climatica

Tutti i più importanti indicatori delle componenti del sistema climatico (atmosfera, oceani, ghiacci) stanno cambiando ad una velocità mai osservata negli ultimi secoli e millenni. La prima parte del sesto rapporto dell’Ipcc sul clima, riportato da Cnr-Isac, parla chiaro. L’emergenza climatica è arrivata quasi al punto di non ritorno, superato il quale le conseguenze catastrofiche dell’aumento delle temperature diventeranno irreversibili.

Il rapporto del gruppo di lavoro 1 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) presentato a Ginevra viene redatto dai più autorevoli scienziati al mondo che si occupano di clima ed è parte integrante del sesto rapporto di valutazione Ipcc. Riassume le ultime conoscenze scientifiche su ciò che sta accadendo al nostro sistema climatico e mette inoltre in guardia rispetto a ciò a cui andremo incontro se non verranno intraprese azioni urgenti a difesa del clima.

L’elenco dei record

Tutti gli indicatori della crisi climatica registrano numeri senza precedenti.

L’aumento medio del livello del mare è cresciuto a una velocità mai prima sperimentata, almeno negli ultimi 3.000 anni, e l’acidificazione delle acque dei mari sta procedendo a una velocità mai vista in precedenza, almeno negli ultimi 26.000 anni.

A seguito del riscaldamento climatico, il livello medio dell’innalzamento del livello del mare fra il 1901 e il 2020 è stato di 20 cm, con una crescita media di 1,35 mm/anno dal 1901 al 1990 e una crescita accelerata di 3.7 mm/anno fra il 2006 e il 2018.

Nell’ultimo decennio l’estensione dei ghiacci dell’Artico durante l’estate è stata la più bassa degli ultimi 1000 anni e la riduzione dell’estensione dei ghiacciai terrestri non ha precedenti negli ultimi 2000 anni.

La concentrazione dei principali gas serra è oggi la più elevata degli ultimi 800.000 anni.

Le emissioni antropiche dei principali gas serra sono ulteriormente cresciute, raggiungendo nel 2019

concentrazioni di 410 parti per milione (ppm) per CO2 e 1866 parti per miliardo (ppb) per il metano.

Nel corso degli ultimi 50 anni la temperatura della Terra è cresciuta a una velocità che non ha uguali negli ultimi 2.000 anni.

La temperatura media globale del pianeta nel decennio 2011-2020 è stata di 1,09 °C superiore a quella del periodo 1850-1900, con un riscaldamento più accentuato sulle terre emerse rispetto all’oceano. E la parte preponderante del riscaldamento climatico osservato è causata dalle emissioni di gas serra derivate dalle attività umane.

Nel Mediterraneo e in Europa eventi estremi di elevata temperatura, stimati sulla base delle temperature massime giornaliere ma anche sulla durata, frequenza e intensità delle ondate di calore, sono aumentati dagli anni ’50, così come nel Mediterraneo sono aumentati fenomeni siccitosi misurati in base al contenuto di umidità del suolo e al bilancio idrico. In entrambi i casi, l’aumento è da attribuirsi all’attività dell’uomo.

In base alle proiezioni climatiche disponibili, questi aumenti continueranno nel futuro, con intensità crescenti parallelamente all’aumento del valore di riscaldamento globale raggiunto.

L’esperimento della pandemia

La pandemia da Covid-19 ha permesso di condurre un esperimento altrimenti impensabile: la riduzione in tempi brevissimi delle emissioni di inquinanti atmosferici e gas serra dovuta ai lockdown estesi praticamente in tutto il mondo.

Mentre la riduzione delle emissioni inquinanti ha portato a un seppur temporaneo miglioramento della qualità dell’aria a livello globale, la riduzione del 7% delle emissioni globali di CO2, una riduzione enorme mai sperimentata nei decenni passati, non ha prodotto alcun effetto sulla concentrazione di CO2 in atmosfera e, conseguentemente, nessun apprezzabile effetto sulla temperatura del pianeta.

Questo perché, mentre la riduzione delle emissioni dei principali inquinanti, che permangono in atmosfera per alcuni giorni o, al massimo, per alcuni mesi, ha un rapido effetto sulla loro concentrazione con un considerevole beneficio sulla salute umana e sull’ambiente in generale, al contrario, per contrastare il riscaldamento climatico sono necessarie riduzioni della concentrazione di CO2, che permane in atmosfera per centinaia di anni, e degli altri gas serra che siano sostenute nel tempo e di grossa entità fino alla completa decarbonizzazione.

Questi dati rappresentano ”una conferma che per contrastare il riscaldamento del clima sono necessarie riduzioni della concentrazione di CO2 e altri gas serra di grossa entità e sostenute nel tempo fino a una totale decarbonizzazione”, sottolinea Sandro Fuzzi, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche, tra gli autori del sesto Rapporto Ipcc.

Il momento della verità: la Cop26

“Questo rapporto ci ricorda ancora una volta la necessità di accelerare gli sforzi globali per abbandonare i combustibili fossili e passare a un modello di crescita più pulito e più verde. Abbiamo un piano: si chiama Accordo di Parigi. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno per evitare gli impatti esponenziali del cambiamento climatico è fattibile. Ma dipende dalle soluzioni che devono essere esponenzialmente più veloci degli impatti per dimezzare le emissioni globali entro il 2030. La Cop26 sarà il momento della verità”, secondo Christiana Figueres, già segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

“Mentre i governi procedono a rilento nella riduzione delle emissioni, la crisi climatica sta già colpendo molte comunità con incendi, inondazioni estreme e siccità. Siamo in corsa contro il tempo, e l’Ipcc ha appena rafforzato ulteriormente la connessione tra le emissioni di gas serra e l’intensificazione degli eventi climatici estremi. Se i governi non riusciranno a migliorare in modo significativo gli attuali e assolutamente insufficienti obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030, l’umanità intera potrebbe perdere questa sfida”, dice Kaisa Kosonen, Senior Political Advisor di Greenpeace Nordic.

“Non lasceremo che questo rapporto venga oscurato da ulteriore inazione. Lo porteremo con noi nei tribunali – continua Kosonen. Rafforzando ulteriormente l’evidenza scientifica tra le emissioni prodotte dal genere umano e gli eventi climatici estremi, l’Ipcc ha fornito nuovi e potenti mezzi, a tutti e ovunque, per ritenere l’industria dei combustibili fossili e i governi direttamente responsabili dell’emergenza climatica in corso. Basta guardare la recente vittoria in tribunale contro la Shell per rendersi conto di quanto possa essere potente la scienza dell’Ipcc. Per Greenpeace questo è un momento decisivo per le sorti dell’umanità e bisogna agire in modo commisurato all’emergenza che stiamo vivendo. Gli eventi meteorologici estremi alimentati dalle emissioni di gas serra sono più feroci che mai, ma allo stesso tempo si stanno facendo passi avanti nelle soluzioni. È dunque il momento di essere coraggiosi e pensare in grande. Per l’organizzazione ambientalista è necessario accelerare la transizione verde, garantendo giustizia e protezione alle comunità e alle persone che pagano i costi più alti per l’inazione climatica”.

Come viene creato il rapporto Ipcc

Il sesto rapporto dell’Ipcc – International Panel on Climate Change (AR6) è attualmente in corso di finalizzazione. Ogni rapporto Ipcc si compone di tre parti, ognuna redatta a cura di un apposito Working Group. Il Working Group I valuta le nuove conoscenze scientifiche emerse rispetto al rapporto precedente. In questo gruppo di lavoro, sui 234 ‘lead authors’ provenienti da 66 Paesi, tre sono gli scienziati appartenenti a un’istituzione di ricerca italiana, tutti ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche: Annalisa Cherchi, Susanna Corti, Sandro Fuzzi.

Il Working Group II valuta gli impatti del cambiamento climatico sull’ambiente e la società e le azioni di adattamento necessarie; il Working Group III valuta le azioni di mitigazione del cambiamento climatico. Ogni gruppo di lavoro redige un rapporto grazie al lavoro di 200-250 scienziati (i cosiddetti ‘lead authors’) scelti su proposta dei singoli governi dal Bureau Ipcc, la cui partecipazione è volontaria e non retribuita. I Rapporti Ipcc, la cui stesura impegna gli scienziati per circa tre anni, sono soggetti prima della stesura finale a due fasi di revisione da parte di diverse centinaia di altri scienziati esperti del settore e da parte di esperti dei singoli governi.

L’International Panel on Climate Change (Ipcc), creato dalle Agenzie delle Nazioni Unite Unep (Un Environmental Program) e Wmo (World Meteorological Organisation) nel 1988, ha il compito di redigere a scadenza regolare rapporti di valutazione sulle conoscenze scientifiche relative al cambiamento climatico, ai suoi impatti, ai rischi connessi, e alle opzioni per la mitigazione e l’adattamento.

Isac – Cnr ha presentato oggi ufficialmente i dati del Rapporto del Working Group I; gli altri due Rapporti di cui si compone AR6 sono tuttora in corso di elaborazione e verranno presentati nei primi mesi del 2022.

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