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Big Tech e Cina, il futuro è già scritto

Negli ultimi mesi il mondo assiste ad una guerra tra gli stati (UE, Usa, Cina, a seguire il resto) e le BigTech.

Per BigTech intendo le grandi aziende che fanno del digitale la prima fonte di reddito (Facebook/Meta, Aws, Google/Alphabet) o che lo usano in modo sistematico come strumento (Amazon che fa logistica, ma senza internet non esisterebbe etc..). Il termine Big sta a indicare che sono di fatto dei monopoli o, nel migliore dei casi, realtà in regime di oligopolio. Sul tema “Big” ho già scritto su queste pagine, alcune settimana fa.

Focalizziamoci sullo stato che, questa guerra, l’ha già vinta: la Cina.

Per capire la capacità del governo cinese di moderare le BigTech nazionali, si ascoltino i discorsi che i Ceo di queste ultime hanno tenuto al Wuzhen Summit settembre. Di solito è un evento dove tutti i Ceo parlano tra di loro di profitto e crescita… quest’anno invece qualcosa è cambiato. I Ceo si giocavano le corde vocali per spiegare quanto importante fosse per loro aiutare lo Stato, si spellavano le mani ad applaudire i leader politici e consumavano fiumi di inchiostro per firmare assegni miliardari, da donare a fondi sociali statali, per aiutare i cinesi meno fortunati.

La Cina futura: moralità, crescita equilibrata e protezione dei cittadini

La guerra alle BigTech è un fenomeno mondiale, ma lo scenario cinese va inquadrato all’interno di una più ampia strategia nazionale che nasce dall’attuale leader: Xi.

Nel 2014 pubblicò un libro che, al pari dei piani quinquennali, descriveva precisamente il futuro della Cina. È una pubblicazione obbligatoria per chiunque voglia investire nella terra del Dragone. All’interno della visione di Xi trova spazio un approccio al singolo individuo, al suo benessere, alla sua protezione da minacce esterne, alla crescita socio-economica in chiave positiva.

Dall’opera si possono già cogliere quegli spunti di critica verso tutta una serie di comportamenti che, in Italia, definiremo da “nuovi ricchi (come la “Flaunt your wealth challenge”)”. Comportamenti che appaiono offensivi, verso la maggioranza della popolazione cinese, il cui potere di acquisto è, circa, pari a quello degli italiani negli anni 50.

All’interno della visione di Xi si può inserire la battaglia cinese alle BigTech: parte di una strategia coerente per una crescita che eviti, per quanto possibile, forti scossoni alla popolazione media.

L’approccio cinese per un nuovo secolo richiede una breve menzione. Vi sono 2 temi che connotano la visione di Xi.

Il primo è il “ridirezionare” la crescita economica cinese verso industrie strategiche. In un recente commento (in cinese) Li Chen, chief economist alla Soochow Securities, ha spiegato che la politica nazionale cinese ha abbandonato la “American’s Way” in favore della “German’s way”. Come spiegato chiaramente sul Foreign Affairs la Cina vuole evolversi verso tecnologie strategiche. Questo si traduce in un economia che sia forte nel settore della produzione e le cosidette “hard tech” (semiconduttori, batterie, internet applicato all’industria e biotechnologie) e più leggero sull’Internet per uso civile (consumer-retail). Una visione in contrasto con quella Americana che vive dell’industria di Silicon Valley fortemente legata a prodotti e servizi per il mondo retail. Il concetto è ben chiarito sull’Atlantic: “Le BigTech continuano a trovare mercati profittevoli per vendere pubblicità e cloud, ma hanno fallito nel ridefinire il mondo della carne e dell’acciaio”.

Il secondo è la crescente intolleranza del cinese medio verso le BigTech. Una sofferenza che ha creato dei fenomeni sociali molto popolari come “involuzione” 内卷, riferita alla “vita lavorativa da ratto stile 996 (996工作制) e la rivoluzione lavorativa del “lying flat” 躺平.

Queste proteste sociali si sono fatte spazio nel mondo digitale e il governo cinese si è allineato ad esse.

Jack Ma, un esempio… da non seguire?

Il primo bersaglio della guerra è stato Jack Ma: un mix tra Gates, Bezos, Musk, è il simbolo (per noi occidentali e relativi media neutrali) della Cina moderna, imprenditoriale, ultra liberista. Jack ma era anche famoso per i suoi eccessi, ma non è per questo che è divenuto oggetto d’interesse per il governo cinese. Ad essere sinceri Jack Ma, ex insegnante, non è proprio questa perla di uomo che abbiamo imparato a conoscere, e i cinesi lo sanno bene. L’attività di Ma, come guida di Alibaba, da anni destava una forte preoccupazione presso il governo cinese e la sua banca centrale. In particolare mi riferisco all’attività di “shadow banking”. Il termine indica quell’attività pseudo-bancaria che, di solito, è effettuata dando credito al consumo a cittadini che lo chiedono. Se tale attività è normata, autorizzata e inserita in un contesto finanziario controllato non è un pericolo (a meno che si esageri o non si facciano due diligence sul cliente). Ma quando è esterna al circolo della finanza autorizzata rischia di divenire una bomba. Quando Ma voleva quotarsi in borsa, il serio rischio è che portasse questi “debiti/crediti” in borsa, di fatto spalmando questi debiti nel resto del mondo. Un’azione che la banca centrale cinese non poteva permettere che accadesse, non solo per il rischio sistemico che Alibaba (e affiliati) rappresentava, ma per l’immagine di credibilità finanziaria dello stato cinese. È plausibile pensare che Jack Ma sia stato il primo perché, di tutte le aziende cinesi (Bigtech & Co), la sua azienda era rea di tutte e tre gli scenari su cui il governo cinese pone attenzione.

I 3 fenomeni sono: giro di vite sull’antitrust & monopoli (simile al progetto di Biden), sicurezza e controllo dei dati, la moderazione degli eccessi capitalistici.

Le direttive cinesi

Per correttezza le direttive accennate, in Cina, sono 7.

Una nota culturale: 7, nella numerologia cinese, è considerato un numero sia positivo che negativo. La sua accezione negativa è data dal fatto che 七 (scrittura cinese) suona molto simile, nella pronuncia, a 欺 (in cinese significa “barare” o “truffare”). Una curiosa casualità, immagino, che i cinesi abbiano definito 7 le direttive per contrastare quello che, di fatto, viene considerato dal governo, una serie di comportamenti scorretti e truffaldini…

Per comodità riassumiamo in 3 macro gruppi le direttive cinesi.

Nella precedente amministrazione il mondo cinese degli imprenditori ha avuto modo di espandersi in ogni direzione. Tuttavia si è espanso troppo velocemente, rispetto alla capacità del governo di monitorare e legiferare.

Ricordiamoci che, anche in occidente, molto del successo delle Bigtech non è dovuto alla capacità oggettiva di fare soldi ma alla meno pubblicizzata, capacità delle stesse di trovare “scappatoie” legali (“barare” appunto) per eludere il fisco, eludere le leggi sulla privacy, sui dati etc..

Ora considerate la Cina: una nazione emersa in pochi decenni, con una struttura normativa ancora in definizione… Le scappatoie legali che hanno a disposizione le BigTech cinesi sono molte di più rispetto alle loro equivalenti occidentali.

La lista di aziende Bigtech (o fintech in alcuni casi) ormai d’interesse del governo cinese è lunga. Solo per citare le più rilevanti: Tencent (internet), Meituan (food delivery), Pinduoduo (e-commerce), Didi (ride-hailing app), Full Truck Alliance (app di logistica), Kanzhun (recruitment) per citare i nomi più famosi. A questi si aggiungono i recenti controlli a tutte le aziende che fanno online private tutoring come New Oriental Education e TAL Education, e la recente espulsione (crackdow) a tutte le cryptovalute straniere (pur se minate, in larga parte, in Cina). Vediamo nel dettaglio i tre gruppi, o linee di azione del governo.

Giro di vite contro monopoli & Co

Condotta principalmente dalla SAMR (State Administration of Market Regulation), il controllore dei mercati (assimilabile alla SEC americana) creata nel 2018. Almeno 35 aziende nel suo mirino, di queste alcune han già pagato multe e si sono accordate (si ricordi che in Cina non nè bello nè educato che un’azienda non si accordi con il legislatore).

Un po’ di nomi famosi li abbiamo già citati partendo da Alibaba, multata per 2.8$ miliardi nell’aprile di quest’anno. 3 giorni dopo Alibaba altre 34 società sono state attenzionate. Tencent, Meituan, Didi, Baidu, ByteDance, JD, and New Oriental Education (education). Nei mesi successive la SAMR ha multato la maggioranza di queste aziende per differenti motivi (a volte più d’uno per azienda): informazioni mancanti sulle operazioni di M&A, contratti di esclusività scorretti, tattiche di mercato irregolari e altre operazioni “peculiari”.

Molti di questi accordi hanno avuto luogo prima della creazione del SAMR nel 2018. Tuttavia è da riconoscere che, pur se le leggi sull’antitrust risalgono al 2008, non sono state applicate prima del 2020, quando il SAMR ha introdotto nuovi standard per regolamentare l’economia delle piattaforme (pochi giorni dopo veniva bloccato la Ipo di Ant). Nel dicembre del 2020 il Politburo cinese ha dichiarato pieno supporto alle iniziative del SAMR.

Data security

Questo tema è competenza del Cyberspace Administration of China (CAC), creata nel 2014 con la “benedizione” di Xí Jìnpíng in persona. L’agenzia è incaricata di far funzionare quella che molti media occidentali chiamano “la macchina della propaganda e censura”. In vero è un’organizzazione il cui compito primario è che i dati dei cittadini cinesi, raccolti dalle aziende private, non vengano sfruttati all’estero o abusati (un tema molto simile alle direttive del GDPR europeo).

I brand famosi che sono stati colpiti da questa direttiva sono numerosi: la app di ride-hailing Didi è stata la prima a cadere. Il CAC ha sospeso Didi per aver violato i protocolli di data security. Poco dopo altre due aziende hanno subito lo stesso fato: la app di logistica Full Truck Alliance e la piattaforma di recruiting Kanzhun. C’è stata anche una “vittima” occidentale: Tesla che ha promesso che gestirà i dati dei cittadini cinesi in server fisicamente localizzati in Cina. Ora il governo sta attenzionando le IPO fatte da aziende cinesi all’estero (spesso la borsa americana). C’è in revisione la struttura del Vie, il sistema con cui le aziende cinesi si quotano all’estero. A luglio 2021 è approvata una legge sul data security law (DSL), che dovrebbe rendere sicuri i “core state data.”

Espansione dei capitali disordinata

Durante il meeting del dicembre 2020 i leaders cinesi hanno votato per porre rimedio alla “disordinata espansione dei capitali” (l’analisI qui). Una visione di una crescita economica moderata dove i capitali non siano sprecati o concentrati nelle mani di pochi. Di qui la sospensione delle IPO di Ant Group (fintech), il giro di vite su ByteDance e Tencent (media & gaming). La moderazione sulle BigTech, per esempio al controllo del tempo che si spende giocando ai videogiochi (specie in streaming), era già cominciata nel

2018 con Tencent e NetEase, creando standard sui tempi di gioco stile coprifuoco, studiati per i minorenni.

Ora cosa succederà?

Il fenomeno di moderazione e prevenzione di future crisi non finisce con le BigTech. Sono molti i settori dove il governo vuol mettere un freno alla smodatezza del sistema privato. Il settore della pubblicità on line è già stato colpito: a Tencent e altre 13 aziende è stato ordinato di controllare le finestre di pubblicità pop-up. Il mondo dell’immobiliare, scosso di recente dal caso Evergrande, è un altro obbiettivo. L’obiettivo del governo di riformare il settore, per permettere a molte famiglie meno abbienti (diciamo classe medio bassa) di potersi permettere una casa, magari nelle aree urbane. Quello che i discendenti dei “daqin” ancora non comprendono è che il modello di crescita socio-economica cinese non sarà quello americano. Una scelta sicuramente dolorosa per tutti i liberisti cinesi, ma un beneficio sul lungo periodo per la maggioranza della società cinese che ancora deve emergere dalla povertà.

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