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Quanto è vicina la Cina per gli imprenditori italiani

In Cina, prevalentemente, consumano gelato olandese, bevono caffè americano e vino francese, pensano che la pizza sia nata in America e la ordinano con l’ananas, e viaggiano su auto tedesche. Basterebbero questi dettagli per chiedersi: dove è il made in Italy italiano che pure in questi settori ha delle eccellenze da esportare? La Cina è vicina o è lontana per l’impresa italiana? Lo abbiamo chiesto a Saro Capozzoli, professore alla LIUC, Università Carlo Cattaneo. Qui, Capozzoli – che con Jesa Investment e Jesa Capital ha portato in Cina, in 25 anni di attività, oltre 800 progetti finalizzati con imprese italiane che ormai operano nel mercato cinese – insegna nell’area Economia e management e tiene un corso su “China in the World Economy” per preparare i nuovi imprenditori allo sbarco nel Paese asiatico. Essendo al momento qui in ”esilio” forzato causa Covid, quasi ogni giorno lo aspetta una video chiamata alle 5 di mattina con il suo team di Jesa dalla sede a Shanghai. Capozzoli continua sempre a studiare e a monitorare il mercato cinese proponendo strategie, partnership e investimenti che possono avere uno sviluppo nella Repubblica Popolare.

La Cina è vicina o lontana per gli imprenditori italiani? Come è percepita?

Lavoro ormai da 30 anni in Cina e quello che ho visto è che la mentalità degli imprenditori italiani è ancora piena di pregiudizi nei confronti di questo Paese. Credo che la grande responsabilità di questo sia nel come questo tema è trattato dai nostri media, senza approfondimenti seri e competenti. L’Europa del nord già dagli anni ’80 si è indirizzata con serie politiche di investimento in questo paese e i risultati si vedono. Un esempio? un quarto delle auto presenti in Cina sono tedesche. L’errore è considerare un mercato così importante che conta ormai circa 600 milioni di persone nella classe media con un reddito di circa 30 mila dollari pro capite l’anno, come un mercato secondario, da seguire non direttamente ma con iniziative sporadiche o delegandolo ad agenti e distributori locali, invece di organizzarsi direttamente in loco. La Cina è sempre una grande opportunità ancora oggi: è un mercato maturo e, se vent’anni fa potevo capire i pregiudizi, oggi è inaccettabile che l’impresa italiana non ne colga i frutti. Ovviamente non è un paese per tutti, bisogno essere preparati e capire quali sono i prodotti e servizi di cui necessitano. Spesso si arriva in Cina impreparati o con prodotti non adeguati. Non abbiamo ben capito le vere potenzialità del paese, e le politiche isteriche che ci hanno contraddistinto negli ultimi decenni non hanno dato continuità ad una programmazione coerente. Penso che sarebbe molto utile avere un vero centro studi sui mercati internazionali che possa indirizzare al meglio le imprese italiane con analisi indipendenti su quello che i vari mercati necessitano, mentre per la Cina ci sono solo iniziative sporadiche o mal gestite.

Come si presenta oggi la Cina della post pandemia, quali sono le possibilità per il mercato italiano? E cosa è cambiato rispetto a prima?

La Cina oggi è molto cambiata ma ci sono ancora delle opportunità da cogliere. Con l’intervento di Trump e le politiche ostili dell’occidente, i cinesi hanno compreso che devono essere più autonomi. Hanno la classe media più grande del mondo, è divenuto un mercato sempre più aperto, paradossalmente proprio nel momento in cui la Cina si chiude in se stessa per proteggersi dalla pandemia. A differenza del passato, assicurazioni, banche, case automobilistiche, possono radicarsi in Cina senza dover avere per forza un partner locale: una grande possibilità di sviluppo per le imprese e istituzioni italiane. Questo è il momento di pianificare studiando bene il mercato perché lì è tutto molto molto più veloce. Spesso invece si affronta la Cina senza conoscere bene quel mercato e le sue dinamiche.

Oggi, i settori nei quali investire e per i quali stiamo lavorando sono il settore biomedicale, visto che devono ristrutturare circa 38 mila ospedali, la telemedicina, e la diagnostica a distanza. In questo ambito hanno bisogno proprio delle nostre tecnologie. Buone opportunità ci sono anche nel settore aerospaziale e nel trasporto aereo. Airbus per la prima volta fuori dall’Europa ha già colto questa opportunità e ha definito la Cina come un mercato a lungo termine. Qui le imprese italiane potrebbero fornire la componentistica. Un settore che tira moltissimo è la robotica e l’automazione industriale. In Cina esiste una carenza importante di manodopera, l’anno scorso sono mancati all’appello 20 milioni di operai dato che molti giovani preferiscono proseguire con gli studi piuttosto che lavorare in fabbrica, anche a causa della crisi demografica. Altro settore strategico è quello energetico. Per l’altissimo fabbisogno, in tantissime città spesso manca energia elettrica anche se già producono il 25% di energia da fonti rinnovabili. In questo settore noi abbiamo delle eccellenze, ad esempio nella produzione di componenti per le turbine eoliche ma anche nei settori idrogeno e nucleare.

Opportunità ci sono poi nei servizi assicurativi e finanziari, e nell’agroalimentare. I cinesi amano la cucina e i prodotti italiani ma nel settore ci siamo fatti superare addirittura dagli irlandesi. Noi di Jesa, per esempio, nel 2006 abbiamo portato Beretta Salumi e oggi sono leader del mercato con oltre il 70% di market share.

Quali passi dovrebbe fare un impresa italiana che vuole investire e svilupparsi in Cina?

Innanzitutto, studiare e capire bene il mercato e i trend. Essere presenti nel paese e non affidare i prodotti solo a distributori locali ma avere almeno un ufficio commerciale formando assistenza tecnica e una rete distributiva, magari con un partner già attivo sul mercato. Poi, per accelerare, come stanno facendo in molti in questo momento, sarebbe importante iniziare a valutare di acquisire aziende medio piccole cinesi che già operano nel mercato per avvantaggiarsi di 4, 5 anni e partire in meno tempo e più forti. E infine, credo che gli imprenditori italiani debbano imparare a consorziarsi e presentarsi al mercato più forti. I francesi lo fanno da anni. L’Italia ha tantissimi prodotti che potrebbero avere maggior successo e quote di mercato, ma per diventare più forti dovremmo focalizzarci di più, investire nella nostra immagine e farci conoscere meglio, oltre che strutturarci per non perdere opportunità che forse nei prossimi anni non ritroveremo.

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