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Tassi di interesse e acquisti titoli, occhi puntati su Fed e Bce

soldi tredicesime Fortune Italia

Il valore del denaro, mai come adesso, è molto basso. Semmai la Banca centrale europea dovesse a un certo punto decidere di alzare i tassi, è chiaro che non potrebbe continuare ad acquistare titoli pubblici e privati nelle quantità attuali. Dunque, non lo farà. Almeno per il momento. Tuttavia c’è attesa per le mosse di Francoforte che saranno note subito dopo la riunione del Consiglio direttivo di giovedì. E’ presumibile pensare che grandi soprese non ce ne saranno. Conformemente a quanto già annunciato con una certa fiducia, l’intenzione è di non sospendere le politiche monetarie espansive. Secondo le previsioni verrà annunciata una riduzione degli acquisti nell’ambito del Programma straordinario Pepp, che dovrebbe concludersi a scadenza naturale a marzo del prossimo anno. Ma dove fosse utile si avvieranno acquisti in altri ambiti senza interrompere il flusso eccezionale di moneta immesso nell’Eurozona. Anche sui tassi nessun colpo di scena. La Bce non ha intenzione, a differenza di Federal Reserve e probabilmente anche della Banca d’Inghilterra, di mettere mano a variazioni. Ora i Paesi che si indebitano lo fanno a interessi bassissimi. Per ovvie ragioni – crisi pandemica e sospensione delle regole di austerity del Patto di Stabilità – il debito è cresciuto ovunque. E molti analisti sostengono che lo strumento dei tassi, proprio perché è stato fatto troppo debito, non funzionerà contro l’inflazione che minaccia le economie occidentali.

E’ il cane che si morde la coda. L’inflazione in questa fase è il principale nemico della stabilità economica e della crescita. Ma c’è un dilemma: se da un lato il balzo inflazionistico va necessariamente contenuto, dall’altro non va soffocata la ripresa. E per quest’ultima servono investimenti. Quelli pubblici da soli non bastano, c’è necessità di quelli privati, dei grandi gruppi finanziari. E’ scontato che un costo del denaro troppo alto potrebbe avere l’effetto di scoraggiare l’impiego di ingenti capitali, ad esempio in processi cruciali come innovazione tecnologica e digitale e transizione energetica. La congiuntura è più complicata di ogni stima. Le banche centrali si trovano di fronte a scenari in parte inediti, su cui continua ad avere un peso rilevante il rialzo dei prezzi delle materie prime e dell’energia. La speranza che l’inflazione potesse ritornare nei binari della ‘normalità’ in tempi brevi si sta rilevando, appunto, un atto di eccessivo ottimismo privo di un fondamento nella realtà. La Bce continua, per ora, a pensarla in maniera diversa attribuendo all’inflazione il connotato della transitorietà. Ma quasi più nessuno nel mondo dell’alta finanza e delle banche crede sia così. Jerome Powell, presidente della Fed, lo ha ammesso senza mezzi termini.

E domani toccherà proprio alla Fed prendere le sue decisioni. Il giro di vite dell’istituzione di Washington viene dato per imminente, anche perché negli Usa l’inflazione corre molto più che in Europa e ha già toccato punte del 6, 2%. Oltreoceano la convinzione è che il caro prezzi sia un fenomeno con cui l’economia e la finanza dovranno fare i conti a lungo. Ergo: le politiche monetarie non potranno non subire un’inversione di tendenza rispetto alla fase clou della pandemia.

Ma al di là delle contingenze e delle imminenti decisioni di Fed e Bce in questa fine 2021, ci si chiede se non sia arrivato il momento che le grandi istituzioni monetarie comprendano il bisogno di vedere quanto accade sotto una prospettiva più ampia e a lungo termine. E meno legata a singoli apparati e aree di influenza. La pandemia ha impresso un’accelerazione impressionate ai processi di trasformazione in corso a livello globale. Le banche centrali non possono chiudere gli occhi facendo finta che quanto fatto basterà. Non è così. Il sistema mostra segni di erosione e l’architettura finanziaria delle principali economie va ridisegnata per rispondere ai prossimi decenni. E’ vero, dopo Covid, è stato grazie alle banche centrali se si è evitato il tracollo economico-finanziario degli Stati, ma non è più sufficiente aprire i rubinetti di fronte alle emergenze. Perché con l’attuale modello di sviluppo, ormai fuori dal sentiero della sostenibilità, serve un approccio sistemico alle sfide del Pianeta.

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