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Il giudizio dell’Economist infittisce il rebus Draghi

Il riconoscimento dell’Economist all’Italia, “il Paese che è cresciuto di più nel 2021“, è in maniera esplicita il riconoscimento alle azioni e alle scelte del presidente del Consiglio Mario Draghi. La crescita economica, superiore a quella del resto d’Europa, e il contrasto alla diffusione dell’epidemia di Coronavirus, attraverso la vaccinazione di massa e l’utilizzo del green pass, sono risultati difficilmente contestabili. Ma la scelta del quotidiano britannico contribuisce, anche solo simbolicamente, a infittire il rebus politico che lega la sorte del governo guidato da Draghi all’elezione del prossimo presidente della Repubblica.

L’Economist tifa perché Draghi resti a Palazzo Chigi, sostenendo che il passaggio al Quirinale comprometterebbe la stabilità raggiunta. Non sbaglia, anche se il problema è più profondo. Basta tenere l’ex presidente della Bce a Palazzo Chigi, magari contro la sua stessa legittima ambizione personale, per garantire stabilità e soprattutto alla sua azione di governo la stessa forza che ha avuto nell’anno che sta finendo? Difficile rispondere senza una gigantesca approssimazione. Al contrario, quale ruolo potrebbe svolgere Draghi da Capo dello Stato e quale influenza potrebbe avere fino alla fine della legislatura e, poi, in un nuovo scenario post elezioni? Anche in questo caso, inpossibile avere certezze.

La questione ruota tutta intorno all’evidenza che quella di Draghi è una garanzia ‘personale’. Ma un sistema che per funzionare deve rimettersi alle capacità di una persona è inevitabilmente, per definizione, un sistema debole. Si può anche convergere sull’idea che alcuni anni di governo Draghi, magari sorretto da una maggioranza più coerente, possano realmente creare le condizioni per una trasformazione strutturale del Paese, a partire dalla sua economia. Così come d’altra parte, c’è chi può pensare a un presidente della Repubblica tanto forte da guidare il Paese dal Colle.

Ma la realtà è un’altra. C’è una Costituzione da rispettare. E ci sono scadenze istituzionali, quella per la nomina del nuovo Capo dello Stato e poi la fine naturale della legislatura, che rendono difficilmente praticabile la stabilità invocata dall’Economist. Almeno nella forma ipotizzata. In un caso o nell’altro, con Draghi al suo posto attuale o al Quirinale, il sistema vivrà necessariamente una nuova fase di instabilità politica. Che andrà gestita con attenzione, soprattutto per non dilapidare rapidamente quegli stessi risultati che il quotidiano britannico ha celebrato.

Il rebus è difficile da risolvere. Le variabili sono diverse e il giudizio dell’Economist lo infittisce. Sarebbe indispensabile dare continuità al 2021, un anno che paradossalmente non dovrebbe finire, ma al momento è difficile immaginare come sia possibile farlo.

 

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