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La transizione e il gas, Piatti (Eni): Non siamo ancora nel 2050

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La transizione passa dal Pnrr e dalle linee stabilite dall’Ue. Ma anche dalla capacità di mettere a terra gli investimenti, e quindi di dialogare con il territorio. Secondo Eni, che ha poggiato il suo piano di transizione anche su fonti come il gas,  l’argomento è legato anche al tema di una transizione equa anche a livello sociale. Ne abbiamo parlato con Alberto Piatti, che per Eni è responsabile dello sviluppo sostenibile nella direzione generale Natural Resources.

Nell’ambito delle sue responsabilità rientrano i progetti di investimento per le comunità locali, le relazioni strategiche, il reporting di sostenibilità. Sul Pnrr, dice che “il tema è realizzarlo, è metterlo a terra. E questa messa a terra ha una componente di regole chiare e certe, quindi uno snellimento di natura burocratica, la necessità di avere competenze adeguate e imprese in grado di partecipare alle gare per realizzare questa massa enorme di infrastrutture digitali o fisiche previste dagli investimenti”.

Il Pnrr “sicuramente potrà dare strumenti e risorse addizionali a un percorso che stiamo già facendo”. Ma su quali progetti potrebbe essere più utile? Il Ccs, la cattura della CO2 che è parte integrante dei piani di Eni, anche per lo sviluppo del business dell’idrogeno decarbonizzato, non beneficerà degli investimenti. “Quello che è chiaro è che la cattura e lo stoccaggio della CO2 è stata esclusa da questo tipo di interventi; noi riteniamo che sia una modalità importante nel mix delle diverse soluzioni tecnologiche per ridurre la CO2. Per quanto riguarda gli altri progetti parteciperemo in quelli attinenti l’economia circolare, la transizione, le rinnovabili. Vedremo a quali gare. Il Nostro percorso d transizione è stato annunciato lo scorso febbraio e ci vede traguardare la carbon neutrality al 2050 per l’intero ciclo aziendale, cioè Scope 1, 2 e 3. Con o senza Pnrr, insomma, la strada è tracciata”.

Un fattore fondamentale della transizione sarà il rapporto con il territorio, ma “bisogna capire meglio cosa intendiamo per territorio. Se parliamo di Paesi Ocse, che rappresentano il 15% della popolazione mondiale, c’è una certa dimensione. Se parliamo del restante 85% ce ne è un’altra. Per quanto riguarda l’Italia abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto con le comunità locali. Naturalmente la massa degli investimenti del Pnrr dovrà poi andare a cadere su territori definiti e occorrerà ingaggiare le comunità  nel dialogo, per spiegare le iniziative ed evitare di finire in una situazione di impasse (basta vedere le resistenze al gasdotto Tap). Una delle sfide più grandi della messa a terra riguarda il coinvolgimento delle amministrazioni locali e delle persone”.

Ma se per territori si intendono quelli di altri luoghi del mondo, come “i cosiddetti Paesi fragili, non possiamo non dimenticare che ci sono 780 milioni di persone che non hanno accesso all’energia elettrica, e ci sono 2 miliardi e 700 milioni di persone che cucinano ancora su fornelli tradizionali a legna, che favoriscono l’esposizione a fumi tossici oltre che lo sfruttamento delle foreste”. Per questo, dice Piatti, la transizione deve anche essere equa, andando a colmare “questi gap enormi di disuguaglianza. La transizione deve avere strumenti e velocità adeguate alle condizioni del posto in cui va attuata. Non possiamo imporre modelli, come in una sorta di neocolonialismo”.

L’aumento mondiale della domanda energetica e la transizione si ostacoleranno a vicenda, quindi? “Bisogna trovare un punto di equilibrio per trovare una sinergia. C’è anche una postura un po’ ideologica sulle soluzioni possibili. Bisogna essere laici sulle tecnologie e valutare situazione per situazione qual è il mix energetico che ci permette di raggiungere la neutralità carbonica. È chiaro che dire ai paesi dove ci sono decine di milioni di persone che non hanno accesso all’energia che non devono più estrarre risorse naturali dopo che le abbiamo utilizzate noi fino all’altro ieri è un po’ un’assurdità”.

All’equità della transizione, secondo Piatti, si collega il ruolo di vettori come il gas. “È il vettore con meno impronta carbonica che può fare da ponte per la transizione. C’è un problema di povertà energetica estrema,  bisogna guardare i problemi per quello che sono”.

Il ruolo del gas nella transizione è un tema di grande attualità, in un periodo di polemiche sulla tassonomia europea degli investimenti sostenibili, nella quale la Commissione ha inizialmente incluso nucleare e gas. Per Piatti bisogna ricordare che “siamo nel 2022, non nel 2050. Abbiamo un percorso di trent’anni per arrivare alla neutralità. Non sappiamo ancora quali saranno le tecnologie adeguate per raggiungerla, per cui escluderle a priori sembra essere un’operazione un po’ ideologica. Va tenuto conto che in questo momento le rinnovabili non sono in grado di sostituire tutte le altre fonti di energia per coprire tutto il fabbisogno energetico . Questo non significa essere contro le rinnovabili. Significa costruire soluzioni basate sulle peculiarità di ogni Paese per arrivare al comune obiettivo della neutralità”.

 

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