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Creator economy, perché andare “oltre il conto dei clic”

Retribuzione troppo bassa, incassi a corrente alternata, poche garanzie di consolidamento della professione nel medio-lungo termine. I content creator, specie sulle piattaforme social, producono interazioni e profitti per le stesse applicazioni e per le aziende che investono sulla loro produzione. La chance di emergere c’è per tutti, serve il contenuto giusto e un po’ di timing (e anche di fortuna). Il problema, spesso, è restare a galla, continuare a produrre e poi incassare. “I creator considerano noccioline i pagamenti ricevuti sinora da piattaforme come TikTok, che tra l’altro, a differenza di YouTube, non concede neppure una parte delle entrate sulla base dei clic prodotti o della popolarità di quel creator”, spiega Massimo Cortinovis, co-founder di SPH – Sports Production Hub, agenzia che gestisce una ventina di atleti-influencer, tra cui un campione dello sci italiano come Kristof Innerhofer.

Secondo Cortinovis, la formula ad abbonamenti in cambio di contenuti esclusivi con cui TikTok e Instagram che rincorrono il modello Onlyfans – il sito per adulti che ha ideato un sistema per cui gli utenti pagano una cifra fissa mensile – non è la sola freccia nella faretra dei creator, anzi. Il margine di guadagno sta nel rapporto con le aziende che investono sulla loro qualità. La chiave è la credibilità del prodotto e affidabilità di chi la propone: “Lo sportivo per esempio sta diventando il creator per eccellenza, da Ronaldo a Lebron James, il tasso di engagement di una celebrità dello sport arriva a essere quasi 20 volte più alto rispetto a quello di un’azienda che produce un post sul suo profilo Instagram per pubblicizzare una linea, un prodotto. Paga tanto la vicinanza valoriale tra atleta e brand, quello che ha fatto in carriera, la vita che ha condotto, dentro e fuori dal campo”.

Ma il creator, oltre alla reputazione, che non può essere il punto di forza degli sviluppatori meno conosciuti, monetizza anche con la sua fanbase e soprattutto con gli investimenti delle aziende. “Il branding content, ovvero il creator che produce contenuti per lo sponsor che lo paga è una chiave per monetizzare al meglio la produzione di materiale esclusivo, ma le stesse aziende vogliono capire meglio dove sta il ritorno dell’investimento sul creatore di contenuti”.

La difficoltà delle imprese sta nella misurazione di altri fattori, oltre ai dati sulle vendite. Chiedono dati più analitici, qualitativi per valutare l’investimento. “Una  delle cose su cui si sta lavorando è l’impatto del creator sul brand, non è facile ottenere subito risultati, specie i piccoli creator che non sono strutturati hanno difficoltà a mostrare la bontà del loro lavoro alle aziende. Addirittura gli atleti famosi fanno fatica a convincere i marchi a puntare su di loro piuttosto che sul fenomeno del momento che conta il doppio di follower e interazioni”.

La monetizzazione dei creatori di contenuti e anche un consolidamento della loro posizione professionale passa soprattutto attraverso l’aiuto delle piattaforme social, in particolare sulla persuasione all’investimento sui brand. “I social principali, partendo da TikTok, devono aiutare le aziende a capire l’importanza dell’investimento sul proprio lavoro, lavorare in sinergia e valorizzare al meglio la qualità e la creatività. Nell’analisi c’è bisogno di più elementi anche qualitativi per capire se l’investimento ha prodotto risultati, se quel creator o quell’influencer è la figura adatta per il tipo di messaggio che si vuole veicolare”, spiega Cortinovis . “I dati sono ancora troppo superficiali, troppo protesi a considerare solo i numeri, le interazioni determinate dal contenuto”, aggiunge.

Secondo Cortinovis il vero investimento è andare oltre il conto dei clic: “Bisognerebbe misurare, ed è quello che si sta provando a fare, che tipo di impatto determina quel creator, è una delle domande tipo delle aziende, ovvero il conteggio delle interazioni è assai elevato ma non riesce a far comprendere se l’investimento ha reso o meno”.

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