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L’ipotesi di blocco del petrolio russo agita i mercati

L’ipotesi allo studio di un blocco delle importazioni di petrolio russo fa sentire i suoi effetti sul mercato azionario. I futures petroliferi hanno raggiunto il massimo da 13 anni e i titoli europei sono scesi al minimo da un anno.

Il prezzo del brent è schizzato nei primi scambi sui mercati asiatici a 140 dollari al barile, al top dal 2008. Il costo del greggio è poi ripiegato ma resta comunque su livelli record: a fine mattinata vale 125 dollari al barile, il Wti 123 dollari.

La volatilità dei mercati energetici segue l’annuncio, fatto questo fine settimana da Stati Uniti e Unione Europea, di una interlocuzione in corso in merito alla possibilità di imporre un embargo generale sul petrolio russo.

“In questa fase nessuno sa esattamente quanto sarà colpita l’economia europea, ma la ripresa post-COVID sarà sicuramente ritardata in modo significativo con l’evidente rischio che si possa entrare in un periodo di stagflazione, se non addirittura di recessione con inflazione”, ha scritto Erik F. Nielsen, Group Chief Economics Advisor di Unicredit, in una nota, come si legge in un articolo su Fortune.com.

Lunedì gli investitori hanno cominciato a fare dumping su asset di rischio. L’Europa Stoxx 600 è sceso di oltre il 2% per toccare il minimo da un anno; è calato di circa il 9% nelle ultime sei sessioni di trading. Il settore più debole è quello delle banche europee, con grandi istituti di credito come Société Générale e Deutsche Bank in calo di oltre il 10% nella prima ora di negoziazione. Anche il DAX tedesco è sceso, in ribasso di oltre il 3% in apertura. Se dovesse chiudere a quel livello, l’indice delle maggiori società quotate tedesche sprofonderebbe ufficialmente in territorio ribassista.

Anche i futures statunitensi indicano un’apertura nel segno dell’incertezza, sebbene non del tutto simile a quella vista in Asia o in Europa. Il Nasdaq e l’S&P 500 sono scesi di oltre l’1,5% nel pre-mercato. La borsa russa, intanto, rimarrà chiusa oggi e domani.

Il valore di oro e dollaro è salito di nuovo, così come quello delle materie prime. L’oro si riporta sopra quota 2.000 dollari l’oncia per la prima volta dall’estate del 2020, a un soffio dal massimo storico con le nuove impennate innescate dalle turbolenze dei mercati dovute alla guerra russo-ucraina. Nel corso delle contrattazioni mattutine l’oncia ha raggiunto 2.005 dollari, successivamente si attesta in rialzo dell’1,80% a 2.001 dollari. L’oro aveva superato i 2.000 dollari nel febbraio del 2020.

Le criptovalute non sono chiaramente nel paniere dei ‘rifugi sicuri’ per gli investitori mentre la guerra si intensifica in Ucraina. Lunedì mattina, il listino dei prezzi è andato nuovamente in rosso con Bitcoin scambiato a circa 38.000 dollari, in calo di oltre il 13% da quando ha toccato 44.000 dollari giovedì.

Se c’è un lato positivo per gli investitori, potrebbe venire dall’America Corporate. Goldman Sachs prevede che le società aumenteranno i riacquisti di azioni quest’anno dal momento che i prezzi delle stesse continueranno a scendere. “Innalziamo le nostre previsioni di riacquisto dell’S&P 500 per il 2022 a 1 trilione di dollari, con una previsione di crescita del +12% (contro +8% atteso in precedenza)”, scrive David J. Kostin, chief equity strategist di Goldman Sachs, in una comunicazione ai clienti

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