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Come la Russia vende il petrolio che (quasi) nessuno vuole comprare

Gran parte del mondo preferirebbe non acquistare petrolio e gas russi. La presidente della Commissione dell’Unione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato all’inizio di marzo che l’Ue “deve diventare indipendente dal petrolio, dal carbone e dal gas russi. Non possiamo fare affidamento su un fornitore che ci minaccia”. L’8 marzo, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti avevano deciso di “vietare tutte le importazioni di energia” da Mosca. “Ciò significa – aveva aggiunto – che il petrolio russo non sarà più accettato nei nostri porti e che il popolo americano infliggerà un altro potente colpo alla macchina da guerra di Putin”.
L’invasione dell’Ucraina a febbraio ha scatenato una sequela di sanzioni e di ostilità contro Mosca. Governi e imprese hanno interrotto i rapporti commerciali con la Russia per esprimere la loro indignazione e per punire il Paese per l’attacco. Ma nonostante tutta la dura retorica sull’abbandono dell’energia russa, la Russia sta ancora riuscendo a vendere petrolio e gas tagliando i prezzi, predisponendo soluzioni finanziarie e sfruttando la sua posizione di maggiore esportatore mondiale di tali prodotti.

Tutti amano un buon affare

Dal 24 febbraio, quando le forze russe hanno attaccato per la prima volta l’Ucraina, il prezzo del petrolio al di fuori della Russia è salito alle stelle per i timori di interruzioni e carenze delle forniture. Sia il West Texas Intermediate che il Brent sono saliti ai massimi da 13 anni rispettivamente a 130 e 139 dollari al barile all’inizio di marzo. Ora il greggio statunitense si aggira intorno alla soglia dei 100 dollari, il 40% in più rispetto a metà dicembre, quando gli Stati Uniti hanno avvertito per la prima volta che la Russia avrebbe potuto attaccare l’Ucraina.
Allo stesso tempo, l’Ural russo, il punto di riferimento per il greggio nel Paese, ora costa circa 80 dollari al barile, 20 dollari in meno del greggio statunitense, afferma Henning Gloystein, direttore Energia, clima e risorse presso l’agenzia di consulenza geopolitica Eurasia Group. “Le aziende russe non offrirebbero sconti se non avessero problemi a trovare acquirenti”, afferma.

L’ultima volta che l’Ural russo è stato così a buon mercato è stato nella primavera del 2020, quando il rallentamento del consumo di energia causato dalla pandemia ha provocato un eccesso di offerta.
Ma il petrolio russo continua a fluire, in parte a causa degli accordi presi prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Il mese scorso, secondo il data provider del mercato delle materie prime Kpler, le esportazioni russe di greggio via mare, che non includono le esportazioni di petrolio russo tramite oleodotto, hanno raggiunto una media di 3,28 milioni di barili al giorno, la media mensile più alta dallo scorso ottobre.

Alcuni Paesi stanno anche negoziando nuovi accordi. L’India, ad esempio, è desiderosa e disposta ad acquistare petrolio russo, soprattutto con prezzi nuovi e più bassi. L’anno scorso, la Russia rappresentava solo il 2% del totale degli acquisti di petrolio fatti dall’India mentre a gennaio e febbraio di quest’anno l’import di greggio russo è stato pari a zero. Ma nelle ultime settimane, la principale raffineria statale Indian Oil ha acquistato 3 milioni di barili di Ural, il secondo acquisto da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, mentre Hindustan Petroleum si è accaparrato 2 milioni di barili, secondo l’agenzia Reuters. Gli acquisti di greggio fatti dall’India quest’anno – 8 milioni finora – viaggiano a un ritmo decisamente superiore rispetto al 2021. L’India ha importato 12 milioni di barili di greggio russo in tutto l’anno scorso, afferma Matt Smith, analista capo di Kpler.

L’India ha acquistato pubblicamente il greggio russo, nonostante le pressioni internazionali. L’India ha mantenuto una posizione neutrale nei confronti dell’aggressione russa in Ucraina e ha promesso di dare la priorità ai propri interessi. La “sicurezza energetica dell’India viene prima di tutto. Se il carburante è disponibile con uno sconto, perché non dovremmo comprarlo?” ha detto il ministro delle Finanze indiano Nirmala Sitharaman alla Cnbc la settimana scorsa. “Abbiamo iniziato a comprare e abbiamo ricevuto un certo numero di barili. E continueremo a farlo”, ha aggiunto. Secondo un rapporto di Bloomberg, la Russia ora offre all’India uno sconto ancora maggiore sul greggio, riducendo il costo di ben 35 dollari al barile.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, che ha visitato l’India la scorsa settimana, ha dichiarato che i due Paesi troveranno il modo di continuare a commerciare nonostante le sanzioni “illegali” dell’Occidente.

Alcune società internazionali, società commerciali, compagnie di navigazione e banche hanno deciso di evitare l’energia russa bloccando nuovi accordi, afferma l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA). “Più incertezza c’è sulle esportazioni marittime, che in genere coinvolgono intermediari” come prestatori, assicuratori e spedizionieri che sono “meno preoccupati dall’esposizione alle sanzioni e dal rischio per la reputazione”, ha dichiarato Ben Cahill, ricercatore senior Sicurezza energetica e cambiamenti climatici presso il Center for Strategic Studies (CSIS).

Ma alcune aziende cinesi, europee e asiatiche continuano ad acquistare petrolio e gas russi. I commercianti di materie prime europei come la Vitol dei Paesi Bassi e la Trafigura di Singapore sono vincolati da contratti a lungo termine, mentre le società cinesi indipendenti e di proprietà statale stanno trovando soluzioni alternative per continuare ad acquistare sia il petrolio che passa dagli oleodotti che quello che viaggia via mare.
Secondo Bloomberg, alcune raffinerie di petrolio cinesi che temono sanzioni secondarie stanno acquistando petrolio russo in segreto negoziando privatamente con venditori russi e utilizzando metodi di acquisto meno appariscenti come i pagamenti in RMB o in rubli. Alcuni produttori e venditori di petrolio russi offrono condizioni di credito e pagamento flessibili per attirare gli acquirenti. Surgutneftegaz, una delle principali compagnie petrolifere e del gas della Paese, ad esempio, spedisce petrolio alle società della Cina continentale senza prima ricevere lettere di credito, che garantiscono il pagamento dell’importatore, dal momento che le banche hanno smesso di emetterle a causa delle sanzioni, dice Reuters.

La Cina lavorerà con la Russia per trovare “un meccanismo di pagamento informale o alternativo”, afferma Smith. “Abbiamo visto la Cina farlo più volte con Paesi come Angola e Venezuela”.
Altri importatori di petrolio asiatici hanno manifestato interesse per le offerte scontate della Russia. Nicke Widyawati, Ceo dell’azienda energetica nazionale indonesiana Pertamina, ha dichiarato lunedì che la società è aperta ad acquistare petrolio dalla Russia a un “buon prezzo”.

Poche alternative

Nonostante tutte le critiche dell’Occidente a Putin e le sanzioni, gli alleati occidentali come l’Ue e il Giappone non hanno ancora posto fine alla loro dipendenza dall’energia russa.
Gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e l’Australia hanno bandito definitivamente il petrolio russo, ma hanno più fonti di energia alternative. Gli Stati Uniti, ad esempio, lo scorso anno hanno ricevuto solo il 3% delle loro importazioni di greggio dalla Russia; la maggior parte, circa il 61%, proveniva dal Canada, mentre Messico e Arabia Saudita rappresentano rispettivamente l’11% e l’8%.

L’Ue ha annunciato l’intenzione di ridurre di due terzi le importazioni di gas russo entro un anno e i suoi 27 Paesi membri elaboreranno a metà maggio una proposta che delineerà i piani per tagliare completamente petrolio, gas e carbone russi entro il 2027. Ma l’anno scorso l’Ue ha importato 108 miliardi di dollari di energia russa, che rappresentavano il 25% delle importazioni di greggio del Continente, il 45% del suo gas e il 46% del suo carbone. La forte dipendenza dall’energia russa significa che i suoi Paesi membri sono divisi su come chiudere esattamente quel rubinetto. La Lituania e la Finlandia, che in precedenza dipendevano dal greggio russo, si sono rivolti ad altre fonti, ma importatori più grandi come i Paesi Bassi “stanno ancora prendendo barili da Mosca”, afferma Smith.
Nelle sei settimane trascorse dall’invasione dell’Ucraina, l’Ue ha sborsato oltre 21,6 miliardi di dollari per petrolio, gas e carbone di Mosca, una somma pari a un quinto della spesa dell’Unione per l’energia russa nel 2021, secondo il Centro per la ricerca su Energia e aria pulita con sede in Svizzera. Molti leader europei hanno sostenuto che i loro Paesi non possono vietare del tutto il petrolio russo perché danneggerebbe i cittadini già alle prese con i prezzi elevati del gas e l’inflazione. Per la Germania, che riceve oltre la metà del suo gas da Mosca, un blocco immediato dell’energia russa “significherebbe far precipitare il Paese e tutta l’Europa nella recessione”, ha affermato a fine marzo il cancelliere Olaf Scholz.
La Russia, da parte sua, ha avvertito che il prezzo del petrolio potrebbe raggiungere i 300 dollari al barile se i paesi occidentali rifiutassero completamente il petrolio russo.

In Giappone, la più grande raffineria del paese, Eneos, ha temporaneamente sospeso i nuovi contratti per l’acquisto di greggio russo ma la nazione, povera di risorse, non è stata in grado di svezzarsi completamente. Il Giappone si è rifiutato di ritirarsi da iniziative come il progetto Sakhalin-2 sul gas naturale liquefatto (GNL) che è di proprietà del 50% dell’azienda energetica statale russa Gazprom e ha le società giapponesi Mitsui& Co e Mitsubishi Corporation come principali investitori.

Il gasdotto dovrebbe produrre 10 milioni di tonnellate di Gnl ogni anno, pari al 10% delle importazioni annuali di gas del Giappone. Il progetto è “estremamente importante per la sicurezza energetica del Giappone e contribuirà a una fornitura a lungo termine, stabile e a basso costo”, ha affermato giovedì il primo ministro giapponese Fumio Kishida. “Non fa parte della nostra politica ritirarci”, ha detto.

Finanziare una macchina da guerra

Gli acquisti di petrolio e gas della Russia stanno contribuendo direttamente alla sua guerra in Ucraina, affermano i critici. Le entrate derivanti queste due fonti lo scorso anno hanno portato 119 miliardi di dollari alle casse del Cremlino, contribuendo a finanziare le spese militari annuali del Paese per circa 62 miliardi di dollari.
“A partire dall’invasione i prezzi del petrolio e del gas sono aumentati. Dal punto di vista di Putin, la sua guerra si sta ripagando da sola”, ha scritto sul New York Times Oleg Ustenko, consigliere economico del presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy.

Martedì il ministero delle Finanze russo ha dichiarato che il Paese ha guadagnato 3,6 miliardi di dollari da petrolio e gas a marzo, il 38% in meno rispetto alle previsioni, ma il governo si aspetta 9,6 miliardi di dollari di entrate energetiche ad aprile a causa dell’aumento dei prezzi di petrolio e gas.
Gli accordi energetici stanno aiutando il rimbalzo del rublo russo poiché significano che valute forti come il dollaro Usa e l’euro stanno tornando nel Paese. A febbraio, la banca centrale russa ha approvato una regola che richiede agli esportatori di energia nazionali di convertire nuovamente i pagamenti fatti con valuta estera in rubli, dando così sostegno alla moneta.
Mentre la guerra si trascina nella sesta settimana, molti chiedono all’Occidente, in particolare all’Europa, di fare di più per ostacolare il settore energetico russo. Come ha scritto Charles Lichfield, vicedirettore del GeoEconomics center dell’Atlantic council, in una nota del 29 marzo: “Mosca continuerà ad avere carte vincenti a meno che il flusso di risorse naturali verso Ovest non venga drasticamente ridotto”.

L’articolo originale è su Fortune.com

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