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Elezioni amministrative, tra il già e il non ancora

Nella distrazione dei più, approvata da poco con passo ordinato in prima lettura alla Camera, si sta facendo strada la riforma costituzionale per attribuire a Roma Capitale poteri speciali, risorse e strumenti sul modello di altre capitali quali Parigi, Londra e Berlino. Una riforma rilevante che renderà la nostra Capitale analoga in poteri e funzioni, per certi aspetti, a quanto hanno a disposizione le Regioni speciali nel nostro ordinamento.

Si tratta dunque di una riforma costituzionale importante. Ed in sé, aggiungo, meritoria. E tuttavia lo è anche perché sembra dischiudere, prima della fine della legislatura, il senso di una nuova stagione di cambiamenti e di riforme politicamente condivise, che potenzialmente potrebbero aprirsi proprio nella nuova legislatura: la prima a sperimentare d’altronde – bon gré, mal gré – i numeri ridotti delle nuove Camere. E fare di questa nuova situazione, appunto, una virtuosa opportunità politica. Eppure una rondine può davvero non fare primavera, se intanto le prossime elezioni amministrative di giugno continueranno a consegnarci un sistema politico e partitico che si presenta sempre più sfarinato, indeciso sul suo porsi di fronte agli italiani rispetto agli assetti “storici” dei poli politici; un effetto distopico tanto che lo si guardi nell’ottica di un quadro nazionale lungo le coordinate delle due principali coalizioni, quanto se lo si mette a fuoco, città per città, scoprendo gli accordi curiosi e politicamente incoerenti che, in molti casi, sono stati espressi.

Così, tra un già e un non ancora che non promette nulla di buono, queste amministrative si presentano come un test utile solo in parte per cogliere le indicazioni e le prospettive degli assetti di quanto ci aspetta alle elezioni politiche del prossimo anno. Saranno incentrate cioè più sulle dimensioni locali delle singole scelte che su una dinamica nazionale.

Certo, non mancano opportuni carotaggi ed esperimenti di rilievo nazionale, in primis in Sicilia, per i comuni di Palermo e Messina, dove il centro destra si presenta scientificamente frammentato; oppure a Lucca dove si fanno prove di “terzo polo” centrista, da Italia viva ad Azione; ancora, con la definitiva presa d’atto della pressocché assenza di candidati di peso del M5s che si conferma, dentro una tradizione ormai storica, sempre più refrattario a una partecipazione reale ad elezioni di questo tipo. Al tempo stesso evita di partecipare a questo tipo di elezioni proprio per non dover mostrare oggi tutte le sue difficoltà elettorali.

Pur tuttavia l’esito di queste amministrative sarà assai utile alle forze politiche.

Queste infatti potranno giocare sul divario creato tra la dinamica locale e nazionale, potendo tenersi le mani libere rispetto alle scelte, al posizionamento da prendere in vista del voto nazionale; non da ultimo perché appare evidente, in ragione della situazione straordinaria espressa dalla coalizione che sostiene il governo Draghi dentro un contesto internazionale incandescente, che si tratta di questioni e di dinamiche ancora difficilmente individuabili. Si potrà dire tuttavia che sarà stata davvero un male questa divaricazione, in quanto benzina sul fuoco di una confusione politica utile ai partiti ma non agli elettori, poiché impedisce loro di farsi un’idea chiara del posizionamento dei loro partiti di riferimento in vista del prossimo anno, solo se i candidati eletti non saranno espressivi davvero di alcuna logica politica.

Delle due logiche a disposizione, o l’una o l’altra devono emergere con chiarezza. O i candidati sono espressioni del territorio, e dunque la dinamica locale, pur asimmetrica rispetto al quadro nazionale, giustifica questa scelta in quanto l’elettore ha un rapporto più diretto con gli eletti. Oppure è auspicabile che le scelte nazionali incorporino le dinamiche locali, per certi aspetti addirittura soverchiandole, facendo di quelle elezioni espressione plastica delle scelte future sulla scala nazionale.

Insomma, tertium non datur. Perché non si può accettare di avere degli eletti che non siano espressione né di una logica locale né di una nazionale, ma di entrambe. Se così fosse, i risultati elettorali non farebbero altro che consegnarci come esito un disorientamento degli elettori rispetto alla rappresentanza politica. La prima vittima non potrà che essere proprio il sistema dei partiti. Che sarà stato così abile ancora una volta a segare il ramo dove siede. E a gridare, al tempo stesso, alla crisi della rappresentanza politica.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di maggio 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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