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Ferrieri (Angi): La collaborazione tra innovatori è fondamentale

gabriele ferrieri angi

Classe 1992, una laurea in economia e un curriculum da fare invidia. Gabriele Ferrieri non è solo un giovane imprenditore, insignito di diversi premi al merito e alla carriera, ma anche una voce autorevole, soprattutto fra i millennial, per chi vuole fare innovazione. Ferrieri, infatti, è fondatore e presidente di Angi, la prima associazione italiana no profit che vuol far dialogare chi guarda al futuro in chiave digitale e innovativa con il mondo delle istituzioni e delle grandi aziende.

Che cosa è Angi?

L’Associazione Nazionale Giovani Innovatori rappresenta la prima organizzazione italiana no profit interamente dedicata all’innovazione in ognuna delle sue forme. L’obiettivo è quello di costruire una piattaforma che metta al centro della propria agenda l’innovazione e i giovani come punti cardine per il rilancio economico e sociale del nostro Paese, che permetta il confronto fra tutti i principali stakeholder dell’ecosistema innovativo e ponga le basi per strutturare quel procedimento di regolamentazione necessario sul fronte istituzionale. L’associazione, dal 2017, anno in cui è nata, ha saputo crescere e interpretare il ruolo di cui si è investita riscuotendo anche il plauso delle istituzioni italiane ed europee. Tanti sono stati infatti i protocolli d’intesa firmati con la presidenza del Consiglio, la Camera, il Senato, l’europarlamento di Strasburgo e di Bruxelles e con diverse agenzie governative e enti di ricerca come l’Enea, Ispra, l’Enav.

Quali sono i soggetti che entrano in contatto con Angi?

Nello specifico la community, che non si propone né come associazione datoriale né portatrice di interessi, rappresenta più di cinquemila tra i principali stakeholders del Paese. La piattaforma raggruppa infatti tutti gli esponenti della società civile e della classe dirigente: dai giovani alle startup fino ai professionisti, passando per le aziende tradizionali, le grandi corporate, le scuole, le università e i vari esponenti delle istituzioni.  Il comune denominatore tra i diversi soggetti è quello di voler mettere l’innovazione al centro del loro operato.  Un passo avanti in tal senso a livello europeo è stato fatto grazie al progetto Next Generation Eu, promosso in ottica PNRR dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che ha evidenziato essere non più una necessità ma un obbligo toccare questi temi e ciò chiaramente ha reso la nostra missione ancora più forte. Sono stati tanti i risultati raggiunti in questi anni ma dal 2021 i livelli di ascolto e di partecipazione sono diventati davvero importanti, i nostri eventi sono seguitissimi proprio per gli argomenti che affrontiamo e portiamo all’attenzione dell’innovazione e del legislatore.

Come lavora l’Angi a livello pratico?

Per promuovere e diffondere la cultura del digitale in Italia siamo impegnati in numerose attività, da eventi, convegni e seminari su tutto il territorio fino alla creazione programmi di alta formazione in collaborazione con le università e con le scuole. Inoltre, divulghiamo attraverso analisi tecnico statistiche e demoscopiche quelle che sono le principali tendenze del sistema economico legato ai giovani e all’innovazione. Ma non solo, facciamo anche attività di scouting delle startup italiane, attività di open innovation pura per accelerare quelli che sono i sistemi innovativi non solo nel pubblico, ma anche nel privato, e sottoscriviamo accordi bilaterali per promuovere le eccellenze e il Made in Italy all’estero. Per concludere sviluppiamo anche la parte legata a supportare, in termini di tutoring e mentoring, le startup e le Pmi innovative in quelli che sono i processi di crescita dei loro progetti mettendoli in contatto con incubatori e grandi aziende.

Come è il mondo degli investimenti in Italia?

Purtroppo, è ancora particolarmente limitato in termini di venture capital mentre è molto più dinamico dal punto di vista del ruolo del corporate venture capital, ovvero delle società grandi o dei fondi di investimento che investono direttamente nelle startup. Nonostante ciò, però, la scelta in Italia rimane, anche in questo caso, comunque circoscritta ai possibili unicorni, cioè a quelle che sono sostanzialmente già grandi aziende, mentre la propensione al rischio per le startup più piccole, che hanno maggiormente bisogno di aiuto, fa fatica ad affermarsi. Questo è un fenomeno che stiamo cercando di andare a disincentivare.

Cosa sono lo Young business forum e il premio Angi, due progetti che vi sono particolarmente a cuore.

Il premio Angi è il nostro premio annuale dedicato ai migliori innovatori italiani che quest’anno, in collaborazione con la presidenza del Consiglio, è giunto alla sua quinta edizione. Sono 11 categorie e 22 giovani aziende selezionate, divise per aree di competenza. Un riconoscimento che, in parte, si lega anche all’iniziativa che abbiamo lanciato a Milano lo scorso giugno. Volevamo che il capoluogo lombardo ambisse a creare un ponte tra i principali digital champions di aziende ed eccellenze del territorio e si erigesse non solo capitale economica italiana ma anche capitale dell’innovazione. Con questa mission, finita l’emergenza sanitaria, abbiamo voluto lanciare, nella prestigiosa sede storica della borsa di Milano, lo Young Innovator Business Forum che ha inaugurato la Young Innovator business Platform, una piattaforma dove si ritrovano e si confrontano tutti i principali attori dell’ecosistema digitale, in ottica di business e attività di development.

Cosa ti ha spinto a creare l’Angi?

Volevo costruire con altri visionari come me un’organizzazione che mettesse al centro l’innovazione. È da qui che è nata l’idea della Associazione Nazionale Giovani Innovatori. Dopo aver concluso il mio percorso accademico, aver fatto esperienza sia nel settore pubblico sia nel privato ed essere partito per l’estero, a 22 anni ho voluto costruire qualcosa che fosse solo mio. Con un mio collega dell’università, che aveva appena lanciato una sua startup in America, decisi di creare una società che oggi è tra le più importanti nel settore del food delivery per ultimo miglio, Icarry. Nel 2018 abbiamo vinto il premio di Confindustria come miglior idea d’impresa. Nel frattempo, ho ricoperto però molti ruoli nell’associazionismo giovanile e imprenditoriale e quelli mi hanno ispirato. Una frase di Bebe Vio, che è stata nostra ospite al premio Angi, l’ho fatta mia perché credo rappresenti, in maniera simpatica, quello in cui credo e quello che è stata finora la mia vita: “Non importa quanto sia difficile, io lo faccio e basta!”.

Cosa trovano all’estero i giovani che vogliono fare innovazione e che qui non trovano?

I dati parlano chiaro purtroppo. Quelli della Corte dei Conti evidenziano come, dal 2013 ad oggi, il fenomeno dei cervelli in fuga sia aumentato di oltre il 40% mentre l’indagine demoscopica che abbiamo presentato allo Young innovator business forum ha palesato che il numero dei Neet, ovvero quei giovani inoccupati che non studiano ne lavorano, attualmente oltre 3 milioni, continua ad aumentare. Per disincentivare questi due fenomeni occorre una visione chiara. Bisogna strutturare dei fondi che possano da un lato aiutare il ritorno di questi cervelli in fuga e allo stesso tempo creare delle condizioni stabili sia per la ricerca accademica sia per gli investimenti necessari all’abbattimento dell’imponibile delle spese di sviluppo delle grandi aziende. È ovvio che un giovane che vuole potersi costruire un futuro qui in Italia è fortemente demotivato non solo perché non ha trovato, o ha difficoltà a trovare, un equilibrio per poter raggiungere il proprio sogno ma anche perché la comunicazione che gli si crea attorno è quella di un Paese che non è fatto per lui, che non aiuta, che costringe ad andare fuori per trovare opportunità.  È un elemento cardine per il futuro del Paese quello di aiutare i giovani che vogliono rimanere e quelli che vogliono tornare in Italia.

Cosa serve per essere un giovane innovatore?

Io credo si debba, prima di tutto, pensare al di fuori degli schemi e voler cercare di dare il proprio contributo a prescindere che si abbia una visione del futuro in chiave manageriale o imprenditoriale. La capacità di poter trovare quel nesso, anche grazie alle tecnologie e alla propria propensione alla creatività, che porta a soluzioni che fino ad oggi non si erano ancora trovate, o quella di saper innovare qualcosa di già esistente, di tradizionale, e traghettarla nel futuro fa parte delle caratteristiche essenziali dell’innovatore. Il che non vuol dire essere necessariamente giovane. Un punto fondamentale, in questo processo, è infatti il dialogo intergenerazionale. Il giovane ha bisogno di esperienza, a volte di essere guidato, e allo stesso tempo la persona più esperta ha bisogno di ritrovare quell’entusiasmo che nel tempo può essersi affievolito. Creare un’osmosi fra gli innovatori è fondamentale, noi lo facciamo soprattutto attraverso il dialogo tra i comitati promotori sui territori, composti principalmente da under 35, e il nostro comitato tecnico scientifico, in cui sono presenti i senior. Quindi, per rispondere in sintesi alla domanda, essere un giovane innovatore vuol dire perseverare in questo obiettivo cercando di lasciare un segno tangibile del proprio operato. Sotto questo profilo abbiamo avuto la fortuna, io in primis, di essere testimoni del percorso di tanti che, seppur in piccolo, stanno positivamente cambiando l’Italia e l’ecosistema Paese.

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