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South working, Rossella Fasola (Randstad): “Opportunità per ridurre divario nord-sud” | VIDEO

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Rotolando verso sud, per lavorare! È quello che potrebbe succedere attraverso la pratica del ‘South Working’, uno strumento per sostenere lo sviluppo del Paese e reperire competenze scarsamente disponibili. Ad oggi il 77% delle aziende ha adottato lo smart working e il 46% è disponibile a progetti di remote working da 2 a 5 giorni settimanali. Lo rivela la ricerca di Randstad e Fondazione per la Sussidiarietà (FPS), “South working per lo sviluppo responsabile e sostenibile del Paese”, presentata al Meeting di Rimini.

“Il south working è una grande opportunità che ci dà la possibilità concreta di poter lavorare da remoto, portando a compimento le nostre attività lavorative”, dice a Fortune Italia Rossella Fasola, responsabile Public Affairs del Gruppo Randstad, multinazionale olandese attiva dal 1960 nella ricerca, selezione, formazione di risorse umane e somministrazione di lavoro. “Molte persone nel corso del covid hanno deciso di ritornare nei propri luoghi di origine e questo ha fatto sì che si avviasse una riflessione anche su un più corretto bilanciamento tra vita e lavoro. In questo momento noi crediamo che con la ripartenza che c’è stata sia molto importante non disperdere questo patrimonio acquisito e potenziare le possibilità del lavoro da remoto, sia esso dal sud o da zone più remote del nostro Paese”.

South Working, differenze nord-sud

La forbice tra nord e sud è ancora oggi molto ampia, “pensiamo ad esempio al reddito pro-capite che l’Agenzia delle Entrate ci ha consentito di analizzare all’interno della ricerca che abbiamo condotto. L’analisi – continua Fasola – ci dice che i redditi medi pro-capite al sud Italia oscillano tra gli 8 e i 10 mila euro. Al nord Italia si aggirano, invece, tra i 40 e i 50 mila euro. Una netta differenza che mostra un divario quasi incolmabile. Far sì che certe zone del nostro Paese non subiscano uno spopolamento può sicuramente aiutarci a ridurre questo divario”.

Secondo la ricerca, le aziende italiane guardano con interesse agli ‘hub di lavoro’ al Sud, spazi di co-working o veri e propri uffici con team aziendali dislocati in aree lontane dalle grandi città del centro-nord, che sarebbero disposte ad aprire soprattutto per contribuire alla crescita (61%), ma anche per accedere a figure professionali difficili da reperire (48%) e ridurre i costi (35,5%). Il 61% delle imprese ritiene che l’hub possa essere gestito in modo diretto, come una filiale, piuttosto che tramite società di servizi esterne.

L’indagine mostra che il Sud va incontro ad un calo della popolazione nei prossimi anni superiore alla tendenza nazionale. Entro il 2030 gli abitanti tra 20-64 anni si ridurranno dell’11% nel Mezzogiorno, rispetto al -6,7% atteso a livello nazionale. Questo andamento, rivela la ricerca, è effetto non solo di fattori demografici, ma di nuovi flussi migratori interni, legati alla ricerca di lavoro qualificato. Analizzando oltre 1 milione e 420mila offerte di lavoro pubblicate sui principali siti di ricerca online tra il 2019 e il 2021, si nota come le offerte di lavoro al Sud siano state solo l’8% del totale, mentre il 78% dei posti di lavoro sono concentrati nel Nord e il 14% nel Centro.

Ma l’Italia è pronta? Bisogna dire che se durante la pandemia le aziende hanno saputo riadattarsi velocemente a misure di lavoro intelligenti, nel post pandemia molte società sono diventate più restìe allo smart working in favore di un ‘controllo’ sui dipendenti più stretto. “Effettivamente il 77% delle aziende di medio-grandi dimensioni – afferma Fasola – dichiarano di voler continuare ad utilizzare lo smart working non al 100%, ma nella misura di 2-3 volte a settimana”.

Le previsioni demografiche

Secondo le previsioni Istat 2020-2030, le aree in crescita demografica sono situate perlopiù al Centro Nord, mentre al Sud e nelle Isole il tasso di crescita si mantiene quasi sempre negativo o intorno allo zero. L’insieme dei fenomeni demografici considerati comporta in totale una riduzione di circa 2 milioni e 200 mila persone fra i 20 e i 64 anni entro il 2030, l’intervallo di età che comprende il percorso lavorativo. Gran parte di questa diminuzione è prevista al Sud e nelle Isole, con un calo del 11,1% decisamente al di sotto della media totale del Paese (-6.7%). Secondo Fasola “l’utilizzo intelligente delle varie modalità di remote working può sicuramente aiutarci ad evitare che questo accada”.

Infine c’è il tema delle infrastrutture digitali per cui il Pnrr sarà fondamentale: “Consentire, ad esempio, di navigare da remoto attraverso la banda larga ultraveloce è conditio sine qua non per favorire la crescita. Gli investimenti previsti nel Piano di Ripresa e Resilienza saranno fondamentali anche per dirci se queste nuove modalità di lavoro potranno avere successo. Noi ci crediamo molto”.

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