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Il riscatto dei Paesi in via di sviluppo attraverso il dialogo globale

Di Giancarlo Elia Valori *

Dagli anni Sessanta del sec. XX in poi le ex potenze coloniali o terze hanno iniziato a impadronirsi dell’economia dei nuovi Stati in direzione dei loro particolari interessi. E, successivamente, tali piani di conquista economica si sono mascherati sotto oscuri tentativi di secessione politica o peggio. Si prendano per esempio il franco Cfa, la frantumazione della Somalia, il tentato smembramento della Siria, la tripartizione della Libia, gli interventi sanguinosi in Iraq e Afghanistan, la nascita del Sudan Meridionale: operazioni dirette dallo Stato più potente coi i propri imperialismi caudatari d’accatto quali Francia, Gran Bretagna, e occidente vario, e ancor prima non dimentichiamo la distruzione della, e i massacri nella ex Jugoslavia.

Però quando il tentativo di trasformazione di un Paese in Stato fallito non si concretizza al meglio nelle intenzioni dei sovvertitori, si passa alla guerra civile, necessaria a produttori e mercanti di armi, nonché alle multinazionali che blindano con le compagnie militari private le zone d’interesse economico, quali miniere, corsi d’acqua, e zone strategiche – lasciando che le genti di quel Paese si massacrino fra loro con le armi fornite dai primi in territori locali di scarso interesse.

Rammento ancora le parole di Frantz Fanon (1925-61) – considerato dai soliti intellettuali da bar superato o, al meglio, dimenticato – che dopo un solo anno dalle indipendenze africane del 1960, descriveva quelle che poi sarebbero diventate «le lotte tribali», quali eredità del pensiero liberal-capitalistico di sfruttamento in quei Paesi diventati “indipendenti”:

«Mentre il colono ο il poliziotto possono, per intere giornate, picchiare il colonizzato, insultarlo, farlo mettere in ginοcchio, si vedrà il colonizzato tirar fuori il coltello al minimo sguardo ostile ο aggressivo di un altro colonizzato. Poiché l’ultima risorsa del colonizzato è di difendere la sua personalità di fronte al proprio simile. Le lotte tribali non fanno altro che perpetuare νecchi rancori conficcati nella memoria. Lanciandosi a pieni muscoli nelle sue vendette, il colonizzato tenta di persuadersi che il colonialismo non esiste, che tutto si svolge come prima, che la storia continua. […]. Autodistruzione collettiva concretissima nelle lotte tribali […]» (Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino 1972, p. 19; orig. Les damnés de la terre, Maspero, Parigi 1961).

Iniziata a manifestarsi tale tendenza, poco dopo la morte di Fanon, alcuni neo-Stati sentirono la necessità di riunirsi prima in istituzioni internazionali (Movimento dei Paesi-non-Allineati 1961, Organizzazione dell’Unità Africana 1963, Associazione delle Nazioni dell’Asia sudorientale 1967, Comunità dell’Africa orientale 1967, Organizzazione della Conferenza Islamica 1969, Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale 1975, Consiglio di cooperazione del Golfo 1981, Associazione dell’Asia meridionale per la cooperazione regionale 1985, ecc.), e poi maturarono la coscienza –tra la fine del sec. XX e il principio del XXI – di evadere il settorial-regionalismo attraverso riunioni al vertice multilaterali che prescindessero assemblee determinate in cui la presenza di protettori era condizionante: ieri Stati Uniti d’America e Unione Sovietica, oggi Casa Bianca e caudatari ex madripatrie.

In tal senso i dialoghi ad alto livello sullo sviluppo globale, mostrano che è assolutamente necessario sostenere tali iniziative per i Paesi del Terzo Mondo. Tali assise contribuiscono a dare nuovo slancio al mantenimento della pace nel mondo e alla promozione dello sviluppo comune e sostenibile. Lo sviluppo è un argomento senza tempo per l’umanità ed il fondamento della sicurezza generale. La comunità internazionale porta in primo piano e al centro la questione dello sviluppo per creare un ambiente internazionale favorevole ad esso.

Le tematiche relative allo sviluppo globale contribuiscono ad istituire un panorama internazionale inclusivo in quanto realizzerebbero un sistema di governance totale più giusto ed equo di quello che stiamo vivendo da un ventennio a questa parte, con alleanze aggressive che non fanno altro che provocare e promuovere guerre decentrate.

Il concetto generale di sicurezza nazionale e destino umano si completano a vicenda e insieme costituiscono la via che dovrebbero percorrere i Paesi per un futuro di pace. Essi hanno una stretta logica interna e perseguono congiuntamente il valore e lo scopo della “persona” posta in quello sviluppo che dovrebbe essere priorità di ogni governo.

Pertanto, la situazione generale sia del progresso nazionale che estero di ogni Paese dovrebbe essere coordinata complessivamente a favore del benessere dell’uomo, posto al di là di qualsiasi Stato.

La sicurezza nazionale generale deve concentrarsi sulla pianificazione globale di quella esterna e interna. La pace e l’ordine internazionali e lo sviluppo comune di tutta l’umanità sono gli interessi strategici che dovrebbero caratterizzare i membri dell’Onu al di là delle loro posizioni geografiche e geopolitiche.

Per quanto riguarda la sicurezza internazionale, invece, l’idea di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità si può sostenere solo con la creazione di un mondo universalmente sicuro, in cui manifesto non sia solo il destino di un unico Paese, ma di tutti.

In altre parole, una comunità con un futuro condiviso per l’umanità è l’obiettivo più alto del concetto di sicurezza universale. Tutto questo significa: porre le persone al centro.

Nell’ambito della globalizzazione, i flussi di popolazione su larga scala portano nuove sfide alla sicurezza nazionale. Queste sono destinate ad essere affrontate al più alto livello. Il termine “destino” nella comunità del futuro condiviso non è solo il destino comune e a lungo termine di tutta l’umanità, ma anche il destino di ogni individuo. La sicurezza personale è l’interesse fondamentale di ogni cittadino. Per tal motivo, il concetto di sicurezza nazionale propone chiaramente di realizzare la sicurezza delle persone come scopo, che rifletta pienamente uno stile diverso da quello sino ad ora imposto, a forza di bombe “necessarie” a portare la democrazia e massacri da fuoco amico e non.

Un costruttore di pace, un contributore allo sviluppo globale e un difensore dell’ordine internazionale si deve concentrare innanzitutto sulla salvaguardia degli interessi comuni di tutti i popoli del mondo, e non ponendo uno solo “first” a discapito di tutti gli altri.

Per quanto riguarda le singole governance nazionali, esse devono tenere conto delle ragionevoli preoccupazioni degli altri Paesi e promuovere lo sviluppo comune di tutti secondo le proprie capacità, e senza imposizioni esterne.

Nella visione globale della sicurezza nazionale, la certezza di una politica valida, e di suoi seri interpreti, è un altro fattore fondamentale.

La visione tradizionale indica che sicurezza significa assenza di minacce interne, e sicurezza nazionale assenza di minacce da parte di nemici stranieri. Oggi il significato di sicurezza si è notevolmente ampliato.

Rispetto al tradizionale concetto di sicurezza, la parola ‘globale’ riflette pienamente che il concetto odierno è più completo e sistematico. Di conseguenza, il motivo per cui l’idea di comunità con un futuro condiviso è riconosciuta da tutti i Paesi del mondo è che essa idea sia una ricetta efficace per superare il fenomeno della “frammentazione” globale nell’attuale mondo.

Tutto sta, però, a interpretare la parola ‘globale’. Oggi, lo ripetiamo, la differenza più significativa è tra la prospettiva internazionale cinese e quella liberale occidentale. Il socialismo in sé ha contenuti ideologici, storici, e tradizionali di integrazione ed è dedicato alla ricerca della cooperazione e della liberazione di tutti i popoli secondo i cinque principi di Bandung (1955), sui quali la Cina ha sempre basato la sua politica estera con coerenza:

  1. i) rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale;
  2. ii) non-aggressione reciproca;

iii) non interferenza reciproca negli affari interni di ciascuno;

  1. iv) uguaglianza e reciproco beneficio;
  2. v) coesistenza pacifica.

La prospettiva liberale, invece, persegue la globalizzazione in superficie, ma in realtà essa è guidata dai Paesi liberal-capitalisti occidentali al servizio dei loro interessi e delle proprie multinazionali. Al momento, i Paesi occidentali sviluppati a coda degli Stati Uniti d’America stanno apparendo come una forza anti-globalizzazione, il motivo è che scoprono che la globalizzazione si discosta sempre più dai desideri di colui che li domina.

La stessa storia della Dottrina Monroe – che nel 2023 celebrerà il suo Duecentesimo Anniversario. Nel sec. XIX, l’establishment statunitense sottolineò che la Dottrina Monroe era parte del diritto internazionale, ma una volta che gli Stati Uniti consolidarono la loro egemonia nelle Americhe, chiarirono che la Dottrina Monroe non era un principio legale, valeva a dire, che se non era soddisfatto un determinato requisito, il governo degli Stati Uniti d’America avrebbe dovuto dare una risposta ad un intervento illegale oltre il diritto internazionale: e ciò sarebbe stato imbarazzante.

In conclusione i Paesi del mondo devono prima risolvere i problemi di sviluppo, povertà e ridurre gli episodi di frizione. Le questioni di sicurezza globale non tradizionali come la sicurezza alimentare, la carenza di risorse, le esplosioni demografiche, l’inquinamento ambientale, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive, le pandemie e i crimini transnazionali, si raggiungono solo con l’accordo di tutti.

*President of International World Group

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