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L’Ipo di Porsche e la scommessa miliardaria delle dinastie Volkswagen

Wolfgang Porsche volkswagen
Si potrebbe pensare che gli eredi miliardari della Volkswagen trascorrano la vita nel lusso, rilassandosi su yacht ai Caraibi prima di volare sulle Alpi svizzere con un jet privato. Tuttavia, per la dinastia più ricca d’Austria, la priorità è proteggere una linea industriale che risale all’invenzione del Maggiolino Volkswagen da parte di Ferdinand Porsche negli anni Trenta, anche se questo dovesse costare loro la fortuna.

Gli anziani nipoti del fondatore, Wolfgang Porsche, 79 anni, e Hans Michel Piëch, 80 anni, e i loro figli, hanno puntato tutto su un’unica azienda, la VW. Se i nuovi arrivati nel settore dei veicoli elettrici, come Tesla negli Stati Uniti e Byd in Cina, diventeranno le forze dominanti in futuro, le due famiglie rischiano di perdere il loro patrimonio combinato di 42 mld di euro, realizzando inavvertitamente una profezia di famiglia.

“La prima generazione costruisce, la seconda mantiene, mentre la terza – la mia generazione – normalmente rovina tutto”, ha predetto il defunto Ferdinand Piëch nel 2010. Erano note le sue priorità: “Volkswagen, famiglia, denaro…in quest’ordine”.

Sfortunatamente per le famiglie Porsche-Piëch, la casa tedesca si trova ad affrontare uno dei più grandi scossoni degli ultimi decenni: l’industria automobilistica sta diventando elettrica. VW ha bisogno di miliardi di investimenti, proprio mentre le crisi della catena di approvvigionamento ne comprimono le attività.

Priva di opzioni, la casa automobilistica tedesca ha presentato domenica un piano per monetizzare il suo bene più prezioso, la Porsche. Ha chiesto alla dinastia di finanziare l’Ipo di un asset che la stessa VW ha comprato da loro quando le due famiglie hanno affrontato la bancarotta 13 anni fa. La famiglia stessa guadagnerà poco dall’offerta pubblica inziale del 29 settembre, che raccoglierà circa 19 mld di euro e valuterà il marchio di auto sportive di lusso fino a 75 mld di euro, ma avendo quasi tutta la loro fortuna legata all’impero VW, non hanno altra scelta che raddoppiare la loro scommessa: tutto o niente.

La quinta casa automobilistica di maggior valore al mondo

Con una capitalizzazione di mercato di 75 mld di euro, Porsche diventerebbe la quinta casa automobilistica al mondo, davanti a Mercedes-Benz. Questa cifra può sembrare elevata per una casa automobilistica che l’anno scorso ha venduto solo 300 mila veicoli, ma le possibilità di ottenere una valutazione del genere ci sono, dato che diversi fondi hanno già manifestato la volontà di pagare questo prezzo. LAaprossima settimana, le azioni inizieranno a essere negoziate alla Borsa di Francoforte.

“L’affare è fatto”, ha dichiarato a Fortune Philippe Houchois, analista del settore auto di Jefferies. “Se Volkswagen volesse chiudere la raccolta ordini oggi, probabilmente potrebbe farlo”.

Dopo aver restituito metà del ricavato lordo agli azionisti di VW, tra cui le due famiglie, Volkswagen intascherà ben 10 mld di euro.

“Siamo ormai in dirittura d’arrivo con i piani di Ipo per Porsche”, ha dichiarato in un comunicato di domenica Arno Antlitz, responsabile finanziario di Volkswagen.

La famiglia non sarà tra i grandi vincitori dell’Ipo. Innanzitutto, l’accordo aumenta ulteriormente il rischio, quando invece le famiglie Porsche e Piëch hanno bisogno di diversificare il loro portafoglio. Loro controllano già il 31,9% delle azioni di VW, compresa la maggioranza delle azioni con diritto di voto attraverso la loro holding. Inoltre, investire direttamente in Porsche non garantisce loro una maggiore voce in capitolo di quanta ne abbiano già, dal momento che la famiglia ha già supervisione sull’azienda di auto sportive attraverso i vari posti nel consiglio di amministrazione.

“Anche se otterranno una minoranza decisiva per le decisioni di Porsche, in pratica non ne hanno bisogno”, ha dichiarato una fonte vicina al consiglio di supervisione, che ha chiesto di non essere nominata perché le trattative sono private.

Inoltre, i Porsche e i Piëch dovranno richiedere ingenti prestiti in un momento in cui le prospettive di Volkswagen e dell’economia globale non sono certo rosee e i tassi di interesse sono in aumento. Secondo i termini dell’accordo annunciato domenica, la famiglia dovrà pagare un considerevole premio del 7,5% rispetto al prezzo dell’IPO per acquistare azioni ordinarie. Anche tenendo conto del dividendo che le spetta, la holding di famiglia ha dichiarato che arriverà a registrare 7,9 mld di euro di debito per acquistare le azioni.

“Volkswagen ha bisogno di accelerare la sua transizione e dall’inizio di quest’anno è diventato sempre più chiaro che il management ha bisogno di più denaro di quanto l’azienda possa generare”, ha aggiunto la fonte. “L’idea dell’Ipo di Porsche è stata quindi presa da VW e non dalla famiglia, come molti potrebbero credere”.

VW ha dichiarato in un comunicato che l’Ipo di Porsche “creerà una maggiore flessibilità imprenditoriale e finanziaria” per accelerare i suoi piani futuri. Non ha voluto commentare ulteriormente le sue motivazioni. In passato, tuttavia, i dirigenti hanno sostenuto che non dipende dai proventi dell’Ipo la sua transizione industriale. Una transizione dalla mera produzione di auto (poi rivendute dai concessionari) alla vendita a tutto tondo di mezzi di trasporto connessi e sostenibili direttamente al consumatore.

Porsche SE, la holding finanziaria quotata in borsa che raggruppa le quote delle due famiglie in VW, ha rifiutato di commentare le decisioni.

Colpiti dalla carenza di semiconduttori

Porsche e Piëch scommettono non tanto su un aumento del prezzo delle azioni Porsche, quanto su un consistente rimbalzo del valore della loro partecipazione in VW. È una scommessa rischiosa e la posta in gioco non è mai stata così alta.

I dirigenti dell’industria automobilistica prevedono un cambio di paradigma che vedrà un cambiamento maggiore nei prossimi cinque anni rispetto ai 50 precedenti. Le auto stanno rapidamente diventando elettriche e più autonome, differenziandosi sempre di più attraverso il codice software piuttosto che attraverso pistoni, alb e trasmissioni.

Tuttavia, proprio quando le case automobilistiche storiche hanno iniziato a scavare nelle loro tasche per tutte le nuove tecnologie in fase di sviluppo, la crisi si è fatta sempre più pesante.

Le chiusure per pandemia, la carenza di semiconduttori e l’impennata dei prezzi dell’energia dovuta alla guerra in Ucraina hanno messo in crisi un settore che gestisce vaste catene di fornitura internazionali, sensibili alla minima interruzione. Se manca anche solo un microchip da un dollaro per un airbag, un’auto con parti installate per decine di migliaia di dollari non può essere venduta.

L’amministratore delegato di Tesla, Elon Musk, ha descritto a metà giugno la realtà piena di incognite che l’industria deve affrontare: “C’è una casa automobilistica che le sta provando tutte per andare in bancarotta”.

Per il terzo anno consecutivo, le fabbriche nazionali della Volkswagen hanno faticato a produrre automobili, questa volta a causa della dipendenza da cavi elettrici importati da siti a basso costo in Ucraina. Le carenze dovute alla guerra hanno bloccato la produzione della sua ammiraglia elettrica, il crossover ID4 di produzione tedesca, le cui vendite negli Stati Uniti sono crollate del 71% nel secondo trimestre, secondo Kelley Blue Book.

Nonostante una ripresa in agosto, l’azienda è in procinto di registrare il volume annuale più basso dal 2010, quando ha consegnato solo 7,2 milioni di auto ai clienti di tutto il mondo. Anche nel 2015, quando ha interrotto la vendita di alcuni modelli a causa della frode sulle emissioni diesel, ha comunque superato la soglia dei 9,9 milioni a fine anno.

Eppure VW sta pianificando di spendere la bellezza di 159 mld di euro fino al 2026. Gli investimenti per lo sviluppo e la produzione dei veicoli elettrici previsti dal gruppo costeranno non meno di 52 miliardi di euro, con un enorme aumento del 50% rispetto alla cifra preventivata solo un anno prima.

La famiglia Porsche-Piëch ha perso circa 9 miliardi di euro di ricchezza combinata negli ultimi 12 mesi, mentre il valore di mercato di Volkswagen è crollato del 24%, a 87 miliardi di dollari. Se si sottrae a questa cifra il probabile valore di mercato di Porsche, il resto del gruppo – comprese le joint venture cinesi di grande successo e marchi interessanti come Audi – ha un valore implicito di circa 16 miliardi di dollari, molto al di sotto dei nuovi arrivati Rivian e Lucid, per non parlare di altri operatori storici come Suzuki o l’indiana Tata Motors. Nel frattempo Tesla continua a crescere e ora vale ben oltre 950 miliardi di dollari, più delle altre 15 case automobilistiche messe insieme.

A luglio la famiglia ne ha avuto abbastanza: il Ceo Herbert Diess, un dirigente rispettato persino da Musk di Tesla, si è dimesso ed è stato sostituito dal capo del marchio Porsche, Oliver Blume, che ora sarà Ceo di entrambi  i brand.

Rischio concentrato

Non doveva andare così per la famiglia. Non molto tempo fa, Porsche era ancora un’azienda di grande successo, di cui i due rami della famiglia detenevano il controllo totale.

Un misto di arroganza e follia li ha spinti a tentare l’acquisizione, finanziati con un debito miliardario, della ben più grande Volkswagen, proprio prima della crisi finanziaria globale. Quando il crollo di Lehman Brothers ha spinto le banche a bloccare l’accesso al credito, la famiglia è stata costretta a vendere le attività Porsche per soli 8,4 miliardi di euro in un’operazione congiunta con VW per evitare la bancarotta.

Tutto ciò che rimase fu la loro partecipazione di maggioranza in Volkswagen e da allora il benessere della famiglia è stato inevitabilmente legato a quello del colosso tedesco. Concentrando gran parte della loro fortuna in un’unica azienda, i Porsche e i Piëch hanno ignorato la prima regola della gestione patrimoniale: la diversificazione del portafoglio.

Il patriarca della famiglia Wolfgang Porsche ha portato Philipp von Hagen, un ex banchiere di Rothschild, un decennio fa per setacciare il mercato alla ricerca di investimenti interessanti e diversificare il rischio della famiglia come hanno fatto altre dinastie industriali europee. La famiglia Agnelli e gli svedesi Wallenberg ne sono un esempio lampante: le loro due rispettive holding finanziarie, Exor e Investor AB, possiedono quote in un’ampia varietà di settori.

Fonti dell’azienda affermano che von Hagen aveva preparato potenziali accordi di investimento con giovani e promettenti startup come Uber e l’israeliana Mobileye, poi acquistata da Intel, ma la famiglia non ha fatto passi avanti. Porsche SE ha rifiutato di commentare.

In realtà, i Porsche e i Piëch hanno peggiorato il loro problema, aumentando la loro partecipazione in VW anno dopo anno, anche se questo non ha portato a un maggiore controllo strategico. La scorsa primavera, le due famiglie hanno versato altri 400 mln di euro nella casa automobilistica, cioè l’intero budget di investimento per il 2022.

Alla fine, von Hagen se n’è andato due anni fa. Secondo Houchois, “probabilmente ha guadagnato più in termini di stipendio di quanto sia riuscito a spendere per diversificare il portafoglio”. Von Hagen non ha risposto a una richiesta di commento inviata tramite LinkedIn.

Un trattamento speciale

Sebbene si sia detto che con l’Ipo la famiglia ha finalmente la possibilità di ristabilire le sue storiche rivendicazioni su Porsche, Wolfgang Porsche e Hans Michel Piëch hanno già un ruolo di primo piano nei consigli di amministrazione di VW. Tre dei quattro principali dirigenti della loro holding finanziaria lavorano anche per il Gruppo Volkswagen, e l’amministratore delegato di Porsche SE, Hans Dieter Pötsch, è presidente di VW.

Inoltre, il settore delle auto sportive è fiorito sotto VW, con vendite di veicoli triplicate da quando è stato posto sotto l’ala della casa automobilistica tedesca. Il marchio gode persino di un trattamento speciale, poiché contribuisce a un quarto dell’utile operativo del gruppo nonostante le dimensioni relativamente ridotte.

Quando è arrivato il momento di assegnare la scarsissima scorta di preziosi microchip ai vari marchi della Volkswagen durante la penuria dell’anno scorso, i massimi dirigenti hanno ammesso privatamente a Fortune di aver privilegiato le auto con un margine più alto, rispetto ai modelli meno redditizi. Finora solo i marchi di lusso Lamborghini e Bentley hanno registrato un aumento delle vendite quest’anno, mentre i volumi di Porsche sono rimasti stabili. Le vendite di marchi meno esclusivi come Volkswagen e Audi hanno subito cali a due cifre.

“Porsche ha beneficiato per anni delle dimensioni di Volkswagen, in termini di acquisti congiunti o di accesso a determinate tecnologie in altri settori del gruppo. Nel frattempo poteva sempre opporsi a tutto ciò che non le piaceva, se necessario, ricorrendo all’aiuto della famiglia”, ha detto Houchois.

Con l’intero patrimonio attualmente vincolato a VW, la verità è che i Porsche e i Piëch non possono voltare le spalle alla casa automobilistica nel momento del bisogno. Ciò significherebbe, in ultima analisi, la loro stessa rovina.

L’articolo originale è su Fortune.com

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