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Governo Meloni, fiducia alla Camera: lavoro, pace fiscale, rivedere Pnrr e reddito di cittadinanza

“Non tradiremo”. Sono le ultime due parole pronunciate alla Camera dei Deputati da Giorgia Meloni nel suo discorso programmatico. Ha parlato spesso a braccio, senza leggere il documento di 16 pagine, che ovviamente aveva scritto e che consegnerà anche al Senato quando chiederà la fiducia anche a Palazzo Madama. In 70 minuti ha incassato più di 70 applausi. La fiducia arriva in serata: 235 voti a favore, 154 contrari, 5 astenuti. Pieno dei voti della maggioranza per una Giorgia Meloni che nel richiedere la fiducia ai deputati non ha nascosto le difficoltà di cui si dovrà fare carico, a partire dall’emergenza del caro-energia, perché l’Italia è “una nave in tempesta”. Ma ha anche promesso che alla guida della nave ha scelto un “equipaggio capace” e che lei, la comandante, ce la metterà tutta.

La prima presidente del Consiglio donna. A capo di un partito di destra che si è affermato come primo partito alle elezioni. Ha i numeri e vuole governare per i prossimi 5 anni. Ne ha diritto ed è un dovere che fa tremare i polsi. Giorgia Meloni nel richiedere la fiducia ha sottolineato ancora una volta di avere ricette chiare per cambiare registro dal fisco, al covid, fino ai migranti e al sostegno ai più deboli rivedendo il reddito di cittadinanza. Rivendica le sue origini, Giorgia Meloni.

Voto di fiducia alla Camera. Giorgia Meloni e Matteo Salvini sui banchi del Governo (ANSA/FABIO FRUSTACI)

Sa che deve superare “i pregiudizi” con cui è guardato il suo governo, anche all’estero. E non a caso per prima cosa assicura che l’Italia è saldamente posizionata con l’Occidente, contro la guerra di Putin in Ucraina, senza alcuna esitazione dentro l’alleanza atlantica. A cambiare sarà però l’atteggiamento: mai più col cappello in mano a Bruxelles, rispetto delle regole sì ma anche richiesta, legittima, di cambiarle.

La Meloni rassicura ma manda anche un messaggio a Bruxelles: non sarò mai la cheerleader di nessuno. Così si esprime nel corso della breve replica pian del voto. E qui il tono diventa più acceso. È il momento di maggior verve polemica della Meloni che si lascia andare a qualche espressione romanesca, dà del “tu” al deputato dei Verdi-Si Aboubakar Soumahoro e attacca la deputata dem Debora Serracchiani che l‘aveva accusata “di essere un passo dietro gli uomini”.“Le sembra che io sia un passo indietro agli uomini?” dice la Meloni dallo scanno occupato dal Capo del Governo. Sono molte le citazioni, dal Papa a Roger Scruton, da Steve Jobs ad Amartya Sen. Il riferimento, più volte, al Risorgimento. Una condanna delle leggi razziali “momento più basso” della storia italiana e presa di distanza da tutti i “regimi antidemocratici, fascismo compreso”.

L’Italia viene infine paragonata alla Amerigo Vespucci, “la nave più bella del mondo” e il progetto che presenta guarda a un orizzonte di qui “a 10 anni”. Negli ultimi dieci, osserva creando qualche imbarazzo negli alleati che in quei governi, in diverse combinazioni, ci sono stati, l’Italia non è mai cresciuta perché i governi cambiavano ogni due anni. Ora invece deve diventare “un affare” investire in Italia, dice elencando i capisaldi della politica economica che sono stati anche gli slogan della campagna elettorale: “non disturbare chi vuole fare”, “più assumi meno paghi”, la “tregua fiscale”. Il Pnrr da portare avanti ma con i dovuti “aggiustamenti”. La difesa degli asset “strategici”. Tutto in nome di quell’interesse della “nazione”, parola che ricorre ben 15 volte.

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