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Transizione energetica, nucleare pulito e clima: le idee di Legambiente

Gli italiani non hanno paura del buio, ma dei rincari dell’energia sì. A margine della crisi energetica, il 64% dei cittadini si dice preoccupato dell’ipotesi di ulteriori aumenti, e il 55% pensa sia necessario accelerare la transizione energetica verso le fonti rinnovabili. I dati sono ripresi dall’indagine “Gli italiani e l’energia”, realizzata da Ipsos per Legambiente. Il tema è quanto mai attuale e Fortune Italia ha incontrato Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente, per approfondire l’aspetto della transizione energetica, analizzando le possibili soluzioni al problema.

Gli italiani sono preoccupati per l’aumento dei costi dell’energia, quali sono le strategie applicabili per arginare gli aumenti in tempi brevi?
L’aumento dei costi in bolletta arriva dalle speculazioni sul prezzo del gas, pertanto la strategia sarebbe una sola: togliere il gas dagli approvvigionamenti energetici delle famiglie. Per farlo, occorrerebbe investire maggiormente sulle rinnovabili, ma anche sugli impianti domestici che consentano di rispondere direttamente alle esigenze di consumo delle famiglie, si tratta di impianti singoli di autoconsumo, che stavano cominciando a diffondersi grazie alle ristrutturazioni avviate con il “bonus 110%”. La riduzione di questo incentivo, che la manovra appena varata porta al 90%, potrebbe avere delle conseguenze anche su questo punto.

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Gas. Ridurre i consumi per evitare crisi in inverno

Le “buone pratiche” quotidiane – come ridurre il tempo e la temperatura della doccia, o l’utilizzo degli elettrodomestici – possono davvero rappresentare un’alternativa valida per abbattere l’impatto delle emissioni dannose e ridurre i consumi energetici?
Tutto quello che dipende direttamente dagli stili di vita delle persone può portare dei vantaggi, anche nel breve periodo, ma rappresenta solo un pezzo della soluzione. Non si può immaginare di ridurre i consumi del 100%. Di sicuro agire sullo stile di vita rappresenta uno strumento utile, ma non può essere l’unico da mettere in campo, se non si va di pari passo con l’utilizzo dell’energia da fonti rinnovabili, anche su grande scala, e  la programmazione di impianti industriali.

La  sharing economy non riesce a decollare in Italia, come mai?
Intanto perché questo è un Paese che ha puntato molto poco sulla giusta transizione energetica. C’è un lavoro culturale da avviare, in tutti i territori, che faccia conoscere i vantaggi della condivisione dei servizi. Oggi c’è comunque più consapevolezza del ruolo che ciascuno di noi può avere per avviare un processo di cambiamento attivo. Si stanno moltiplicando le esperienze di sharing, dall’auto condivisa ai servizi nei condominii, come le casette dell’acqua che alcuni condominii stanno installando per ridurre i consumi di acqua in bottiglia. Queste forme di condivisione dei servizi aiutano concretamente a ridurre le spese e a contenere le conseguenze degli aumenti dovuti alla crisi energetica.

L’Italia vanta una leadership nel settore delle tecnologie climaticamente sostenibili, cosa servirebbe per dare un’ulteriore spinta al settore?
Quello che manca da sempre è una politica di sviluppo ed industriale di queste tecnologie. Già trent’anni fa eravamo leader nel settore degli impianti da solari termici, abbiamo avuto il boom di sistemi solari fotovoltaici, ma non abbiamo maturato una capacità produttiva che consentisse di rispondere alle esigenze di sviluppo del settore. Dobbiamo necessariamente avviare una politica industriale interna per ridurre il costo di produzione di queste tecnologie.

Il nostro Paese è una ‘potenza economica’, come si può far fronte alle esigenze energetiche della produzione industriale di un intero paese, provando a salvaguardare l’ambiente?
Le soluzioni sono note, non abbiamo un’altra scelta, ovvero dobbiamo cominciare a rivolgerci alle uniche tecnologie mature che sono effettivamente in grado di sostituire le fonti fossili, e sono quelle di energia verde, oltre alla valorizzazione dei sistemi di pompaggio energetico.

nucleare francia
Nucleare. Una delle tanti centrali nucleari nella vicina Francia

L’Italia ha rinunciato al nucleare col referendum del 1987. Ora si torna a parlare di ‘nucleare pulito’ ipotizzando anche una data per l’impianto, il 2030. È una strada perseguibile questa? Qual è la posizione di Legambiente?
L’Italia ha fortunatamente rinunciato al nucleare, e questo dà una chiara idea della volontà popolare. Poi consideriamo che il nucleare pulito non esiste, e che la data del 2030 è altrettanto improbabile: se anche avessimo tecnologie nucleari pulite e sicure, pensare di realizzare una centrale in 7 anni sarebbe fantascienza. In Europa la media per costruire una centrale nucleare è di circa 12/13 anni, ed in Italia di solito ci vogliono minimo 5 anni per autorizzare un semplice impianto fotovoltaico. È impensabile che dal 2030 in Italia ci sarà energia prodotta da centrali nucleari.

Ma il nucleare di quarta generazione?
Non esiste. Abbiamo a disposizione solo il nucleare di terza generazione, che produce scorie radioattive e presenta problemi di microdosi. Quello di quarta generazione non è mai stato sviluppato, di fatto ad oggi è un impianto che non c’è, è pura fantascienza. È giusto continuare ad andare avanti nella ricerca, ma pensare di puntare su qualcosa che ancora non esiste vuol dire dare un’indicazione erronea, e distrarre risorse dalle uniche tecnologie che sono davvero in grado di garantirci una giusta transizione energetica.

Di recente si è tenuta la Cop 27. Che fine ha fatto la finanza climatica? E l’appuntamento di Bali ha avuto una qualche utilità?
È un appuntamento che ha concretizzato un solo obiettivo, quello che punta ad aiutare i Paesi più in difficoltà. Ma per l’ennesima volta non è stato fissato nessun obiettivo vincolante per la riduzione delle emissioni non alteranti. Per fare un esempio, in chiusura del Cop26 a Glasgow, la stessa Italia si era impegnata a eliminare i sussidi pubblici per gli impianti fossili. Di fatto nulla è stato realizzato, e ad oggi quei finanziamenti sono ancora in atto, anzi l’Italia è il sesto paese del G20 per finanziamenti pubblici a fonti fossili.

Casamicciola
Frana di Casamicciola (Foto ANSA/Ciro Fusco)

In ultimo, parliamo di un tema di cronaca. Quante Casamicciola esistono in Italia e che cosa fa (o non fa) il nostro Paese per evitare tragedia che i giornali definiscono “annunciate”?
Il nostro è un paese che ha evidenti problemi di dissesto idrogeologico, che denunciamo da anni. Si contano più di 4000 comuni con problemi di dissesto censiti. Abbiamo quindi una necessità cogente: investire in adattamento al cambiamento climatico. Il territorio di Ischia è stato maltrattato per anni, ha problemi gravi di abusivismo. Bisogna investire nella messa in sicurezza dei territori. Se non lo facciamo continueremo a contare stragi, come è accaduto anche nelle Marche, nella Marmolada…  Con il nostro progetto Città Clima raccontiamo un numero impressionante di eventi climatici, sono circa 120/130 gli eventi estremi che colpiscono l’Italia ogni anno.  In Italia il Piano energia e clima andrebbe aggiornato, mentre manca completamente il Piano di adattamento climatico, pare sia fermo per approvazione in chissà che cassetto. E speriamo che, laddove lo approvino in fretta, abbia anche dei contenuti utili a far fronte ai problemi che affiggono il Paese.

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