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Welfare aziendale: utile al Paese e strategico per le imprese

Undici milioni di famiglie italiane vivono di reddito da stipendio. In questo contesto generale, diventa sempre più rilevante il peso del welfare aziendale.  Introdotto dalla Legge di Stabilità del 2016, si è diffuso sempre di più nel corso degli anni, arrivando ad interessare anche le Pmi e le micro-imprese.

E proprio allo stato del welfare nelle piccole e medie imprese italiane è dedicato il settimo Rapporto Welfare Index Pmi, promosso da Generali Italia con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che dal 2017 fornisce annualmente uno spaccato sullo stato del welfare nelle piccole e medie imprese italiane.

Dal Rapporto emerge che il welfare ha raggiunto un alto livello di penetrazione nelle aziende, a tutti i livelli.  Oltre il 68% delle piccole e medie imprese italiane ha avviato un processo di welfare al suo interno. Sono pari al 24,7% le Pmi con livello di welfare alto, ed erano solo il 10,3% nel 2017.

Per la prima volta il fenomeno interessa anche le micro-imprese – da 6 a 9 addetti –che passano dal 7,7% del 2017 al 15,1% del 2022. Questi numeri sono tanto più interessanti, se si considera che le piccole realtà aziendali hanno scarsità di risorse, anche professionali, e non hanno specialisti che si occupano di questi temi.

Il dato ovvio è che il livello di welfare è massimo nelle aziende con oltre 250 dipendenti, con quote pari al 70,7% nel 2022 rispetto al 64,1% del 2017. Sempre elevato ed in crescita risulta il trend nelle Pmi intermedie, con addetti fra i 101 e 250, che registrano una percentuale del 66,8% nel 2022, rispetto al 59,8% nel 2017.

L’incremento è dovuto in buona parte alla semplificazione delle normative e alle risorse pubbliche stanziate per la protezione sociale, che hanno incoraggiato le aziende, anche le più piccole, a impegnarsi a propria volta a sostegno delle famiglie.

Le Pmi con welfare più evoluto registrano un maggiore impatto sociale sui propri stakeholder: lavoratori e loro famiglie, fornitori, clienti e comunità. Inoltre, contribuiscono molto di più della media alla crescita dell’occupazione di donne e giovani. E’ un problema, per il Paese, il fatto che il 42% delle aziende non abbiano donne in posizione di responsabilità, ma questo rappresenta un tema negativo anche per le imprese, una criticità da affrontare in maniera risoluta.

La situazione cambia radicalmente, invece, nelle aziende con welfare evoluto, che attuano iniziative per formare le donne, conciliare vita familiare e lavoro, flessibilità e disponibilità dei servizi per la famiglia.

Uno dei contributi più interessanti del rapporto Welfare Index Pmi è l’analisi dinamica della correlazione degli indici di welfare con i bilanci. E’ stato analizzato, in collaborazione con Cerved, un sotto-campione di circa 2.600 imprese, nell’arco di tre anni – 2019, 2020 e 2021.  Abbiamo alle spalle tre anni difficili, e questi bilanci ci mostrano come le aziende abbiano saputo reagire alla pandemia, e riprendersi nel periodo successivo. È significativo che le aziende che hanno reagito meglio siano quelle con un welfare sociale più evoluto. Da solo, certo, il welfare non è il fattore determinante per la crescita, ma ha un peso importante per tutto il contesto sociale in cui l’azienda agisce, perché indica una maggiore disponibilità ad investire, e questo rappresenta un patrimonio inestimabile in un momento di scarsità di risorse pubbliche.

Le imprese con un welfare più evoluto ottengono performance di produttività decisamente superiori alla media, crescono molto più velocemente nei risultati economici e nell’occupazione. Nel 2021 l’utile sul fatturato delle aziende con livello di welfare molto alto è stato doppio rispetto a quello delle aziende a livello base: 6,7% contro 3,7%.

Le Pmi che hanno maggiormente investito nel welfare aziendale hanno reagito meglio alla condizioni poste dalla pandemia, e dimostrato maggiore slancio nella ripresa. Guardando i dati, vediamo che nel gruppo di imprese appartenenti ai settori economici più colpiti dalla crisi, il margine operativo lordo per addetto nel periodo 2019-2021 è cresciuto del 50,5% tra le Pmi con livello elevato di welfare, mentre è diminuito del 15% tra quelle con livello base.

Le imprese che concepiscono il welfare come leva strategica di sviluppo sostenibile sono raddoppiate, erano 6,4% nel 2017 e sono diventate 14,1% nel 2022. Ben l’87,5% di queste aziende genera un impatto sociale di livello elevato, contro una media generale del 38%. Per le Pmi ad uno stadio iniziale di sviluppo del welfare tale percentuale si ferma al 6%.

Per la prima volta, l’edizione 2022 del Report è stata accompagnata da un position paper, firmato dagli esperti del Comitato guida welfare index Pmi, intitolato Il contributo del welfare aziendale al rinnovamento del welfare italiano’. Le iniziative delle imprese, se adeguatamente sostenute, possono crescere ulteriormente, nell’interesse stesso delle Pmi. La spesa totale del welfare pubblico e privato italiano nel 2021 ammonta a 785 mld. L’80% pari a 627 mld, è a carico dello Stato.  Ben 136,6 mld, pari al 17,4%, sono carico diretto delle famiglie, una cifra molto alta, stimata in una media di 5.300 euro a famiglia. Una quota molto più piccola, 2,7% del totale, è poi a carico delle aziende, parliamo di somme pari a  21,2 mld.

Dal Paper emerge quindi che il welfare aziendale può rappresentare uno strumento utile per investire maggiori risorse in settori chiave e di grande importanza nei progetti del Pnrr: sanità, formazione, inclusione sociale. Oggi il welfare aziendale, infatti, non è più solo un settore complementare del welfare pubblico, ma è diventato anche un fattore di innovazione dei sistemi tradizionali, in grado di generare nuovi modelli di servizio e accelerare la transizione verso modelli di sviluppo sostenibile.

L’esperienza del welfare aziendale può quindi espandersi, e dare un contributo rilevante al rinnovamento generale dei sistemi di assistenza, a patto che le istituzioni pubbliche attivino partnership le imprese, aiutandole a fare rete e a costruire progetti condivisi a vantaggio del territorio, con le strutture della sanità, dell’assistenza e dell’istruzione, con le organizzazioni del terzo settore.

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