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Città Metropolitane: innovazione gestionale o un’occasione mancata?

Che fine hanno fatto i cosiddetti enti di area vasta? Chi gestisce oggi i livelli sovracomunali? Che fine fanno le risorse che si trovano nei bilanci di Province e Città Metropolitane? Chi rappresenta politicamente questi livelli territoriali e come si confrontano con Regioni e Comuni? Queste e altre domande ad oggi risultano senza una vera e propria risposta, poiché a seguito dell’introduzione della Legge Delrio, ormai risalente al lontano 2014, dopo un primo momento ricco di azioni e mutamenti istituzionali, tutto, purtroppo  come spesso accade in Italia, è finito in una sorta di limbo, come fermo e galleggiante in una capsula in assenza di gravità.

Buona parte degli enti interessati dalla “rivoluzione” ad oggi risultano poco attivi e soprattutto soffrono una forte carenza di obiettivi. Il distacco dai cittadini dovuto al sistema di elezione di secondo livello e l’assegnazione delle competenze, per lo più derivanti da cessioni o convenzioni con le Regioni, ha creato una realtà disomogenea e soprattutto ha deresponsabilizzato i vari livelli istituzionali creando di fatto numerose carenze nello svolgimento delle funzioni sia dirette che delegate o come recita la norma, sia fondamentali che non fondamentali.

La partecipazione è ridotta al lumicino e anche alcune intuizioni interessanti contenute nella legge 56 del 2014 (la Delrio), come ad esempio l’istituzione delle Conferenze metropolitane o il rafforzamento delle azioni legate alla pianificazione strategica, non sono state attuate o sono diventati meri atti dovuti, se non in alcune realtà isolate.

Quello che doveva essere un primo passo verso una riorganizzazione e una revisione del rapporto tra cittadini e istituzioni in senso realmente partecipativo è rimasto un embrione di qualcosa che non è stato neanche ben compreso, tantomeno attuato. 

Proprio da queste tendenze partecipative e dalla necessità di organizzare al meglio i territori, in linea con una naturale tendenza al miglioramento della qualità della vita in un’ottica di sostenibilità ambientale e di gestione “smart”, gli Enti Locali si dovrebbero riorganizzare per intraprendere un percorso di pianificazione strategica coordinato e soprattutto efficace.

L’ambito metropolitano, in effetti, in linea con i dettami comunitari e pertanto afferente ad una dimensione individuata dalla quasi totalità dei paesi europei come misura di confronto, risulta proprio in quest’ottica nodale. Una dimensione sovra-municipale che sicuramente permette nello svolgimento delle funzioni una gestione territoriale integrata, guidata da obiettivi di sviluppo locale e che faccia leva sul coinvolgimento e il protagonismo delle istituzioni e del partenariato locale. All’interno di questo quadro concettuale lo strumento attuativo che risulta più interessante e significativo, anche se forse non ancora pienamente compreso e utilizzato, è il Piano Strategico Metropolitano.

Alla base dell’introduzione del Piano Strategico Metropolitano come nuova forma giuridica di atto amministrativo emerge la necessità di rendere esplicito il passaggio da un’azione fondata esclusivamente su contenuti normativi e prescrittivi (government) all’assunzione di responsabilità su priorità strategiche selezionate e condivise, attraverso la costruzione di una struttura partecipativa e cooperativa (governance).

In questo percorso di innovazione istituzionale che ha investito le Città metropolitane, risulta centrale il tema dell’approccio contemporaneo relativamente al funzionamento delle pubbliche amministrazioni ed all’evoluzione che ha recentemente subito tale approccio anche alla luce delle necessarie modificazioni che sta portando nei vari ambiti territoriali e nella gestione dei rapporti interistituzionali, tutto ciò considerate le nuove necessità di interazione e operatività legate all’attuazione dei programmi contenuti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

In ambito Europeo il primo riferimento si può trovare nel Libro Bianco sulla Governance del 2001 nel quale sono individuati cinque principi a cui ispirare una nozione più evoluta di governance: competenza, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza. Uno dei cambiamenti proposti nel documento è quello per cui “Occorre una più stretta interazione con le autorità regionali e locali e con la società civile”; questa importante indicazione sicuramente ha iniziato ad operare un processo di cambiamento, sia nel metodo che nell’approccio delle amministrazioni locali degli Stati membri.

Soffermandoci sul concetto di partecipazione si può affermare che l’utilizzo di politiche partecipate frutto di processi adeguati di rappresentanza figurino una buona pratica e soprattutto permettano alle pubbliche amministrazioni una programmazione che abbia un profilo politico e che sia finalmente a medio e lungo termine e proprio l’ambito metropolitano, relativo ai grandi agglomerati urbani, risulta quello più utile per favorire un miglioramento delle politiche pubbliche e una reale integrazione della azione della pubblica amministrazione.

A partire dall’importanza dell’ambito metropolitano, in termini proprio di governance e quindi di pianificazione strategica, risulta fondamentale analizzare le interazioni tra i vari livelli di Governo locale e le utilità che una concreta integrazione porterebbero in termini di efficacia delle politiche pubbliche.

La legge 56/2014, sicuramente, nonostante le note difficoltà applicative, si poneva come un primo passo nella direzione dell’attuazione di un miglioramento dei livelli di coordinamento tra gli Enti locali e quindi di creazione di una vera e propria governance multilivello e individuava proprio le Città metropolitane come i soggetti che avrebbero dovuto attuare le politiche di pianificazione strategica e di integrazione, necessarie per il miglioramento in termini di performance, richiesto anche dalle istituzioni europee.

Attualmente però, anche a causa di una reale disomogeneità territoriale e per la mancanza di obiettivi politici, soprattutto le funzioni di pianificazione strategica risultano piuttosto compresse, rispetto alle poche, ma con un carattere più cogente, funzioni operative rimaste in capo agli enti di area vasta, quali ad esempio l’edilizia scolastica negli istituti di secondo livello e la gestione della viabilità di competenza. Un ragionamento differente, a mio parere, andrebbe fatto per quanto concerne le competenze in campo ambientale, che sicuramente si caratterizzano per il livello sovracomunale risultando quindi compatibili con una gestione “di area vasta”.

La definizione “multilivello” della governance territoriale si può sintetizzare in una nota risoluzione del Comitato delle Regioni, Carta della governance multilivello in Europa (aprile 2014), nella quale si parla di:

“azione coordinata dell’Unione europea, degli Stati membri e degli enti regionali e locali, fondata sui principi di sussidiarietà, proporzionalità e partenariato, che si concretizzi attraverso una cooperazione operativa e istituzionalizzata intesa a elaborare ed attuare le politiche dell’Unione. In tale contesto, rispettiamo appieno la pari legittimità e responsabilità di ciascun livello e il principio di leale cooperazione”.

Nella legge 56/2014 viene richiamato infatti il principio di sussidiarietà, anche in ossequio al dettato costituzionale, e viene impostata una nuova modalità di gestione delle funzioni, ripartite tra fondamentali e non fondamentali e soprattutto viene attribuito quel ruolo di coordinamento e supporto che dovranno avere le Province e le Città metropolitane rispetto ai Comuni. Tale ruolo, soprattutto per quanto concerne il coordinamento risulta attualmente ben poco assunto e praticato.

Le Conferenze Metropolitane, composte dai Sindaci dei Comuni compresi nella Città metropolitana, ad esempio, spesso diventano meri atti dovuti finalizzati all’espletamento delle attività legate alle procedure di ratifica degli atti fondamentali di gestione degli enti di area vasta, come ad esempio l’approvazione dei bilanci e purtroppo non sono utilizzate come strumenti utili ad intercettare i bisogni provenienti dai territori perdendo così quelle funzioni consultive e propulsive previste dalla norma.

Purtroppo la normativa non prevede nessun vero controllo sull’operato o sull’espletamento dell’opera di programmazione o di pianificazione che gli enti di area vasta dovrebbero svolgere.

Partendo dal concetto di governance multilivello e dal ruolo fondamentale dei Comuni, così come statuito oggi dalla Costituzione, si può meglio comprendere la volontà del legislatore che, con la legge 56/2014, provò ad introdurre nella pratica i concetti espressi in termini di principi in ambito costituzionale, nel tentativo appunto di regolare e organizzare quei rapporti di collaborazione e coordinamento tra istituzioni, considerati già allora fondamentali per una buona gestione e amministrazione dei territori e oggi diventati imprescindibili considerati alla luce del ruolo di beneficiari/soggetti attuatori che assumono gli Enti Locali del PNRR.

Risulta evidente che proprio gli enti di area vasta potrebbero supplire alle carenze tecniche e di organico, dei piccoli enti Comunali, che oggi rallentano fortemente l’attuazione dei progetti legati al PNRR.

Oggi il ruolo delle Città metropolitane e delle Province quali Enti di secondo livello, ma con competenze di supporto e coordinamento, innanzitutto nel campo della pianificazione strategica, potrebbe essere davvero utile e soprattutto aumentare sensibilmente i livelli di efficacia dell’azione della Pubblica Amministrazione soprattutto se fosse ben compreso e correttamente recepito dall’ambito municipale e quindi proprio dai Comuni detentori delle funzioni amministrative e primo contatto con i cittadini/utenti.

Un’azione continua di confronto tra i vari livelli istituzionali risulterebbe indubbiamente una modalità operativa utile a favorire lo scambio delle buone pratiche, ma soprattutto a migliorare l’ascolto e la comprensione dei cittadini. Ancora meglio sarebbe se tramite strumenti esistenti quali ad esempio quelli di pianificazione strategica si operasse mettendo a confronto le istituzioni pubbliche e quelle private in un regime di parità e con la previsione di operare in un sistema improntato a una vera governance collaborativa.

In conclusione si può affermare che da questa analisi emerga uno stato di attuazione ancora insufficiente e che non sembra ancora avviarsi nella direzione dettata dalle Istituzioni in ambito europeo e internazionale circa la governance del territorio. 

Ci sono comunque alcune realtà, prevalentemente nel nord del paese, che hanno compreso la portata e l’importanza dei processi di pianificazione strategica e il ruolo che le Città metropolitane potrebbero e dovrebbero svolgere al servizio della cittadinanza.

Il percorso in realtà è ancora lungo, soprattutto in quello che sarà il passaggio necessario dalla fase di pianificazione e strategia alla fase di azione e operatività, passaggio che nella storia delle istituzioni nel nostro paese è stato sempre travagliato e spesso osteggiato.

D’altro canto l’innovazione introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, che oltre ad affermare il principio di sussidiarietà (art. 118) ha introdotto il complesso e controverso principio di equiordinazione tra lo Stato e le altre istituzioni territoriali (art. 114) ha sicuramente condizionato il legislatore nelle successive azioni.

“Ma sembra anche indubbio che il nuovo articolo 114 innova l’interpretazione dei principi fondamentali, incidendo profondamente sulla forma dello Stato: che ormai è quella di un ordinamento strutturalmente policentrico, basato su un forte pluralismo istituzionale tra soggetti dotati di eguale dignità costituzionale, tutti componenti essenziali della Repubblica; la cui unità e indivisibilità postula dunque meccanismi di coordinamento non gerarchico, ma basati sulla leale cooperazione, sulle intese peer to peer”.

Poi con la contestuale introduzione dei concetti legati alla sussidiarietà giungono tutte le novelle normative volte a sveltire la pubblica amministrazione, a rendere i suoi processi trasparenti e partecipati, ad avvicinare concretamente le istituzioni ai cittadini che si dovrebbero sentire parte del meccanismo, amplificando il concetto di rappresentanza.

Seppure oggi l’impianto normativo vada in questa direzione in modo ormai inequivocabile, purtroppo quello che lo stesso Bassanini definì il “modello panpublicistico, statalista e centralista, che aveva prodotto uno stato invadente, dirigista, burocratico e, per la verità assai poco efficiente”, ancora in parte esplica le sue azioni ed è fortemente radicato nelle amministrazioni pubbliche.

Un interessante parallelismo con il mondo scientifico e i suoi paradigmi si ritrova in un saggio di Levi sul Manifesto di Ventotene, in cui proprio riallacciandosi all’opera di Thomas Kuhn, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, si definiscono le scoperte scientifiche come l’osteggiata rottura di paradigmi preesistenti.

“quando si scoprono dei fatti che non possono essere spiegati dal paradigma dominante, questo deve essere abbandonato, perché si è trasformato in un ostacolo alla comprensione e alla spiegazione della realtà. E’ quanto è avvenuto al paradigma statocentrico per quanto riguarda lo studio della politica”.

Questa resistenza al cambiamento la si può ritrovare nel processo di formazione di modelli politici innovativi. Infatti la riluttanza rispetto a nuove forme di gestione del potere, con molta probabilità, rallenta anche oggi l’applicazione dei principi di governance partecipata e condivisa negli Enti territoriali e nello Stato in genere.

Un barlume di speranza però ci giunge da alcuni amministratori che, avendo a cuore lo sviluppo del territorio, cercano, seppure in solitudine, e lottando contro i burocrati, di cambiare, di sveltire, di innovare, a volte raggiungendo anche risultati insperati; dimostrando agli scettici che un cambiamento vero e profondo si può attuare e che la richiesta di sburocratizzazione che giunge da più parti può e deve essere ascoltata e soddisfatta, anche per riuscire a sopravvivere in un contesto internazionale ed europeo ricco di sfide e di competizione.

*Ph.D. Student in Industrial and Management Engineering
Department of Mechanical and Aerospace Engineering – DIMA
Sapienza University of Rome

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