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Medie imprese, le ‘locomotive’ del Sud

imprese economia

Di solito, l’espressione ‘locomotiva’, usata nel contesto delle attività produttive, è riservata al Nord Italia. Ma se il focus si sposta sulla media impresa (in particolare quella a controllo familiare) la musica cambia, secondo un report dell’Area studi di Mediobanca, del Centro studi Tagliacarne e di Unioncamere: le medie imprese del Mezzogiorno negli ultimi dieci anni hanno superato le medie imprese del Centro e del Nord.

E le prospettive, per i loro fatturati, sono migliori anche nel 2022: quasi la metà pensa di superare entro l’anno i livelli pre-Covid.

Nel dettaglio queste “ambasciatrici” delle imprese meridionali prevedono un incremento del loro giro d’affari dell’8,1% (contro il 7,2% delle altre aree d’Italia), dopo l’aumento del 10% nel 2021.

Le prospettive per il 2022 confermano i risultati degli ultimi 10 anni: tra il 2011 e il 2020, il loro fatturato è cresciuto del 35,2% (contro il 16,7% delle altre aree d’Italia), la produttività del +28,3% (contro il +20%) e la forza lavoro del +25,6% (contro il +19,8%).

In più, cresce l’impatto di queste aziende sull’economia del Sud Italia. Al netto dell’inflazione, il rapporto tra valore aggiunto delle medie imprese e Pil del mezzogiorno, secondo Mediobanca, ha raggiunto un valore di 132, da un 100 di partenza, dieci anni fa:

 

Dati Mediobanca-Istat, courtesy Mediobanca

Il focus sulle medie imprese non è inedito, per gli autori del report. Già in uno studio pubblicato lo scorso giugno avevano evidenziato la forza delle medie imprese nazionali, che sovraperformano secondo diversi fattori (valore aggiunto, dipendenti, fatturato), il PIL nazionale, le grandi imprese italiane, le medie imprese europee.

Una performance arrivata nonostante questa dimensione d’impresa abbia un grosso svantaggio: le tasse. Il tax rate sulle medie imprese corrisponde al 21,5% nel 2020, rispetto al 17,5 delle grandi imprese.

“Se le medie imprese avessero avuto dal 2011 il medesimo tax rate delle grandi avrebbero risparmiato in media 650 mln di euro l’anno, ovvero 6,5 mld di euro nel decennio”. Oppure il 10% degli investimenti fatti in 10 anni.

Già in quel report di giugno c’era un piccolo indizio dell’aumento del peso del Sud: dal 1996 al 2020 il numero di medie imprese del meridione è cresciuto di 104 unità. Con questo nuovo focus, si scopre che c’è un motivo, per questa crescita: i risultati economici collezionati finora, e quelli che si potrebbero raggiungere sfruttando opportunità come il Pnrr.

Le cifre delle medie imprese del Sud

Ma di che numeri parliamo, concretamente, nel report sulle medie imprese del meridione? Eccoli:

  • 14,6 mld di euro di fatturato
  • 11,5% del valore aggiunto del totale manifatturiero del Sud (in ritardo rispetto alle medie imprese d’Italia, che registrano circa il 15%)
  • Il 30% delle vendite è da export
  • Il 50% delle medie imprese del mezzogiorno si occupa di alimentari e bevande. Un altro 30% è attivo invece nella farmaceutica. Secondo Mediobanca, questi sono i due settori più promettenti anche per gli anni futuri.

Lo studio di Mediobanca, Unioncamere e Centro studi Tagliacarne prende in considerazione 316 medie imprese manifatturiere del Sud (quasi il 10% del totale italiano), delle quali il 40% circa si trova in Campania. Sono società di capitali tra 50 e 499 dipendenti e un fatturato tra 17 e 370 mln di euro, con una proprietà a controllo familiare. Sono escluse, quindi, le società con proprietà estera o controllate da fondi, o appartenenti al “perimetro di consolidamento” di grandi gruppi industriali, spiegano da Mediobanca.

Qual è il loro segreto? Perché le medie imprese registrano numeri del genere? Secondo Andrea Prete, il presidente di Unioncamere, le medie imprese meridionali sono “figlie di un capitalismo familiare di lunga data che si tramanda da generazioni. Sono imprese che hanno anche messo in evidenza una capacità di resilienza non inferiore rispetto alle altre presenti nel resto del Paese”.

Per Gabriele Barbaresco, direttore dell’Area studi di Mediobanca, “il modello imprenditoriale delle aziende di medie dimensioni rappresenta un esempio di iniziativa capitalistica di successo nel Mezzogiorno. Esso indica una possibile via di sviluppo di quei territori, se non alternativa almeno complementare ai grandi progetti di industrializzazione eterodiretti. È auspicabile uno studio sistematico di quelle esperienze e dei fattori di successo perché possano essere condivisi e messi a fattore comune”.

Imprese familiari, la sfida è la governance

I numeri degli ultimi 10 anni si riflettono anche sulle prospettive future. Secondo Prete le medie imprese del Sud “sono pronte a cogliere le sfide del cambiamento puntando sempre più sulla frontiera 4.0, facendo leva anche sul PNRR. Ma per questo servirà, soprattutto al Mezzogiorno, sviluppare un modello di innovazione improntato su una forte collaborazione tra imprese, Università, centri di ricerca locali”.

Anche le imprese sembrano consapevoli della necessità di un cambiamento. Secondo il report, rinnovare la governance dell’azienda è prioritario per l’85,1% delle medie imprese del Sud, che vuole un rinnovo manageriale o generazionale (contro il 78,4% delle altre aree). Intanto, la rivoluzione delle supply chain pesa anche qui: il 75,8% delle medie imprese del Mezzogiorno (in linea con le altre aree) ha diversificato i suoi fornitori, incrementandone il numero e preferendo quelli sul territorio.

Intanto, c’è ottimismo sull’anno in corso. Nello studio infatti si legge come quasi la metà delle medie imprese prevede di superare i livelli pre-Covid. Più precisamente il 44% delle medie imprese del Mezzogiorno (una percentuale simile alle altre della stessa dimensione nel resto d’Italia), si attende di riuscire a superare già quest’anno i livelli produttivi pre-Covid.

Solo il 31% delle imprese di grandi dimensioni del Sud pensa di riuscire a farlo.

Altro dato rilevante: la prontezza a sfruttare il Pnrr. Si legge nel report che “il 71% delle medie imprese meridionali punta sul PNRR: il 48% si è già attivato mentre il 23% ha in programma di farlo nel breve termine”. C’è un altro 29% che non pensa di avvantaggiarsi delle opportunità previste dal Piano, ma i numeri sono comunque migliori rispetto a quelli del Centro e del Nord:

 

Medie imprese che si sono attivate o hanno in programma di attivarsi per aderire al PNRR. Fonte: Indagine campionaria Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere, 2022

 

Se le medie imprese del mezzogiorno migliorano sulle intenzioni relative alla transizione digitale (il 76% è pronto ad investire in tecnologia tra 2022 e 2024, rispetto al 71% del triennio precedente) sono anche meno sensibili ai temi ambientali rispetto alle colleghe del Centro e del Nord. I temi ambientali interessano il 73% delle medie imprese meridionali, contro il 79,2% di quelle ubicate in altre aree.

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