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Digital Lobbying & smart data: il caso ADL Consulting

L’attività di lobbying richiede un alto tasso di competenza e professionalità. Talvolta, in un settore così specialistico, è l’approccio utilizzato a fare la differenza tra le varie agenzie. Ne abbiamo parlato con Claudio Di Mario, Founding Partner di ADL Consulting, che fa dell’analisi dei dati e degli strumenti digitali un peculiare tratto distintivo.

Avete inserito il concetto innovativo Digital Lobbying nel vostro nome già 10 anni fa. Perché e che cosa vuol dire?

È stata una intuizione sul campo che ha portato alla creazione di ADL Consulting mettendo la “D” di Digital a cerniera delle attività di Advocacy e Lobbying facendone una leva strategica. Le traiettorie e le potenzialità del digitale in tutte le sue declinazioni erano visibili 10 anni fa sia a livello di organizzazione della conoscenza che nell’importanza dei dati e delle nuove forme di comunicazione social.

Con Digital Lobbying si intende la gestione strategica delle relazioni istituzionali attraverso smart data e strumenti digitali. Un esempio è la piattaforma KMIND, di cui siamo autori e sviluppatori, che elabora dati provenienti dai fonti e banche dati esterne, istituzionali e legislative, media tradizionali e social network che  sono monitorate e collegate in tempo reale con le attività interne messe in campo dai membri dell’organizzazione. Il monitoraggio di ogni stakeholder di interesse offre una panoramica chiara del network aziendale nel suo complesso e del posizionamento istituzionale. Questo approccio data driven permette di coniugare la velocità decisionale con l’esigenza di adottare un processo collaborativo di valutazione strategica, in modo da minimizzare possibili errori di posizionamento e massimizzare le opportunità di un intervento coordinato e tempestivo.

Soluzioni digitali che elaborano dati e metadati permettono la costruzione di matrici, dashboard e cruscotti di indicatori precisi e di altri strumenti quali mappe, tabelle, grafi. Tali raffigurazioni grafiche e intuitive si prestano perfettamente a rappresentare situazioni anche complesse in modo “plastico” e flessibile. Oggi questa piattaforma è adottata da aziende e organizzazioni che approcciano stakeholder interni ed esterni su tre grandi assi: competenze, innovazione digitale e reputazione.

In un settore strategico come quello dei Public Affairs, che contribuisce in modo sostanziale alla creazione del valore per le organizzazioni profit e no profit, l’intersezione tra questi elementi diventa cruciale. L’applicazione di tali tecnologie digitali innovative alla nostra attività aumenta, di fatto, le capacità delle organizzazioni di prendere decisioni veloci ed efficaci sulla base di un approccio scientifico e di indicatori misurabili. 

Si tratta di un cambiamento a livello di processi e di strumenti, ma è prima di tutto una trasformazione che investe il mindset delle persone e delle organizzazioni e le abilita a gestire in maniera più efficace informazioni complesse e frammentate. 

Oltre alle fonti legislative, sono sempre più rilevanti le informazioni in tempo reale disponibili su canali media e social network che hanno impatto in termini economico finanziari sulle attività di investor relation e risk management e che richiedono urgenti azioni di lobbying. Informazioni da utilizzare a supporto delle decisioni strategiche del Vertice aziendale permettendo la gestione e la condivisione rapida della conoscenza all’interno delle organizzazioni, ponendo al centro l’esperienza delle persone e la robustezza dei dati.
Abbiamo evidenza che questo approccio dei Public Affairs basato sui dati è piuttosto apprezzato dai rappresentanti delle Istituzioni e delle Autorità di regolazione che per competenza e ruolo sono chiamati spesso in emergenza a prendere decisioni importanti in settori nevralgici. Dati e analisi che nel rispetto dei ruoli concorrono a costruire una migliore soluzione legislativa e alla costruzione di una solida reputazione nel rapporto con il decisore.

Un approccio ingegneristico applicato al mondo delle Relazioni pubbliche sembra quasi un paradosso…
Nel libro Digital Lobbying, scritto a quattro mani con Marialessandra Carro, illustriamo e approfondiamo il metodo e gli strumenti a disposizione. È ingegneristico nel senso che la trasformazione digitale investe tutte le classiche fasi di un processo di Public Affairs, dalla ricerca delle informazioni alla messa in campo dell’azione, fino alla valutazione dei risultati ottenuti. In particolare il nostro modello di digital lobbying si sviluppa in sei diverse fasi: Monitoraggio, Analisi, Valutazioni Strategiche, Posizionamento, Azione, Valutazione dei risultati. 

Queste consentono di enucleare le diverse finalità e le molteplici attività caratteristiche dei vari momenti logici e tendenzialmente cronologici che compongono un processo di lobbying e public affairs. Si tratta di un processo di costruzione accrescitivo della conoscenza basato sulla sinergia e l’integrazione tra il ruolo di diverse tecnologie innovative da una parte e dei vari professionisti al servizio dei quali quelle tecnologie operano dall’altra. Ogni fase aggiunge nuovi tasselli di dati, informazioni e insight.

Il professionista dei Public Affairs ha oggi a disposizione strumenti digitali e metodi di rendicontazione che una volta erano appannaggio di settori quali l’investor relations, il marketing, il risk management o la business intelligence.

Questo approccio al lobbying determina anche un cambiamento delle competenze necessarie? Che profili ricercate?

Saranno fondamentali figure, sia junior che senior, che abbiano competenze e interessi interdisciplinari, oltre alle imprescindibili basi del diritto e del funzionamento dei meccanismi decisionali istituzionali, una predisposizione all’analisi dei dati e una spiccata intelligenza emotiva. Profili non facili da reperire e molto contendibili tanto che abbiamo avviato una partnership con la Graduate School of Management del Politecnico di Milano – la più importante business school italiana – e la John Cabot University la più importante università americana in Europa al fine di realizzare il primo Executive MBA con possibilità di specializzazione finale in Digital Lobbying e Public Affairs Management. 

Ciò evidenzia come si tratti di un tema strategico e generazionale a tutti i livelli e che coinvolge le organizzazioni nel loro investimento in quella che possiamo definire la nuova frontiera della Corporate Political Responsibility  (CPR) a supporto di strumenti come, ad esempio, il D.Lgs 231/01 inerente la “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica. Del valore strategico della CPR si discuterà anche nel prossimo Forum Public Affairs 2023, il 25 maggio.

Se si volesse applicare un approccio così ‘scientifico’ alla regolamentazione della rappresentanza di interessi, quali sarebbero gli elementi caratterizzanti di questa legge?

In realtà non parlerei di una legge ma, più che altro, di un pacchetto di riforme. È evidente a tutti che regolamentare la rappresentanza degli interessi, nonché la partecipazione trasparente alla fase ascendente di costruzione di una norma, sarebbe una soluzione di “facciata” o quanto meno debole. Per essere realmente efficaci, accanto ad una legge sulle lobby serve una legge nazionale sul conflitto di interessi e sul finanziamento pubblico ai partiti. 

Nel mentre, si deve incentivare l’attivazione di dinamiche virtuose e trasparenti – sfruttando le opportunità offerte dal digitale – come quella già adottata volontariamente e meritoriamente da alcuni rappresentanti delle istituzioni, ovvero pubblicare le informazioni minime in merito all’incontro con un rappresentante di interessi: data, referente e semplice oggetto; 

Inoltre, per sottolineare un approccio scientifico alla qualità legislativa e della rappresentanza degli interessi, rimane fondamentale l’applicazione di strumenti quali l’analisi di impatto regolatorio e il decison making basato su dati e fonti che, ci tengo a sottolinearlo, siano verificabili. 

Il digitale rappresenta una grande opportunità di trasparenza del processo decisionale a tutti i livelli, da quello comunitario a quello degli enti locali. Gli strumenti ci sono.

In questi 10 anni siete sempre rimasti fedeli alla ‘specializzazione settoriale’ e la sua società può essere paragonata ad una boutique di consulenza. Come si confronta una simile realtà con un mercato in fermento che, ad oggi, sembra si stia muovendo verso la promozione di player più grandi e ‘strutturati’?

E’ indubbio che ci sia un certo fermento. Il mercato in cui agiamo ha una serie di aspetti delicati e sensibili legati al profilo dei clienti, specialmente quelli leader di mercato, che si avvalgono di agenzie di Public Affairs. Dipende senza dubbio dai settori, dai rapporti di filiera, dal tipo di servizi di consulenza che vengono offerti se pre competitivi o meno, e in quest’ultimo caso senza nulla togliere a soluzioni organizzative interne tipo “chinese wall” quello che osserviamo nella qualità del nostro lavoro è la crescente valorizzazione da parte dei clienti di un rapporto di consulenza specialistico, fiduciario e dedicato.

Il mercato della consulenza strategica richiede grande efficacia organizzativa del team, rapidità di reazione, competenze verticali sempre aggiornate e “visione di gioco”; per questo stiamo adottando da anni un modello di solide partnership strategiche con altre società best in class nei rispettivi verticali, per rispondere tempestivamente alle nuove sfidanti esigenze dei nostri clienti.

In ADL Consulting abbiamo investito molte risorse nell’innovazione per i Public Affairs e, per portarle sul mercato, ci siamo ispirati ad alcune opere di Italo Calvino sui concetti di Esattezza, Rapidità, Leggerezza, Molteplicità, Visibilità, Coerenza. 

Traendo spunto liberamente da “Lezioni americane” credo che questo si possa sintetizzare con una frase che abbiamo nella nostra sala riunioni: “Alla turbolenza e alla complessità si risponde con la leggerezza organizzativa che privilegia l’intelligenza, la creatività e le idee”.

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