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Doppia laurea per Spanó, direttore delle Risorse umane della Università Luiss Guido Carli

Laurea Francesco M. Spanò

In epoca di dibattito sulla formazione continua e la novità fresca della Doppia laurea, c’è chi segue un percorso proprio. È il caso di Francesco Maria Spanò, direttore delle risorse umane dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, che giovedì 19 gennaio si è laureato per la seconda volta a 53 anni. Con un 110 e lode per la cronaca.

Spanò ha scelto questa strada per soddisfare un bisogno di comprendere meglio il mondo dell’editoria e della comunicazione, chiudendo il suo nuovo percorso di studi alla Sapienza con una tesi sul ruolo della stampa durante il rapimento di Aldo Moro.

Abbiamo allora deciso di fargli qualche domanda in proposito. E ci accorgiamo che siamo dentro un percorso di rinascita.

“Dopo due infarti nel giro di tre anni si ha l’impressione di ripartire da nuove basi. Complice il periodo di lockdown per il Covid, ho voluto soddisfare la passione nei confronti della storia e regalarmi una nuova formazione. Ho trovato quindi questo corso di laurea in editoria e scrittura nell’ambito della Facoltà di lettere filosofia. L’obiettivo del corso è preparare professionisti a lavorare nel mondo dell’editoria, della comunicazione, dei giornali. È un corso biennale specialistico.

E perché tornare sula tragica vicenda di Moro?

Mi interessava molto lavorare sugli anni ’70. Il momento più importante di quel decennio è stato il sequestro di Aldo Moro. Ho preso spunto dal libro di Paolo Murialdi sulla storia giornalismo, dove risultava già evidente il ruolo centrale dei giornali in quei 55 giorni. È stato molto importante analizzare la pubblicistica a riguardo. Anche perché non ci sono tante monografie sul tema. Molti libri dedicano alcune pagine al rapimento, senza però trattarlo in modo completo e con questo taglio.

Poi ho potuto intervistare alcuni giornalisti, testimoni di quel periodo. Da queste conversazioni si comprende come siano state affrontate le principali questioni politiche e strategiche in quella delicata fase della nostra storia. In particolare: trattare o meno con i brigatisti; cosa pubblicare dei comunicati; le diverse interpretazioni delle lettere di Moro e così via.

Che Italia viene fuori da questa tesi?

Emerge un modo di fare informazione nel complesso maturo, anche grazie al contributo di giornali nati in quel decennio: Il manifesto, Lotta continua e altri organi di contro-informazione. Decisivo il ruolo di un quotidiano come La Repubblica, nato nel 1976, solo due anni prima della vicenda Moro. C’è poi l’emergere di un nuovo giornalismo con le radio libere. Il rischio era che la stampa svolgesse solo un ruolo di cassa di risonanza delle azioni delle Brigate Rosse. Invece attraverso i giornali è emersa con chiarezza che la maggioranza dei cittadini aveva scelto di non stare dalla parte dei rapitori. Le Br hanno capito che il popolo aveva rinunciato a qualsiasi forma di rivoluzione. Ci fu quindi qualità nel dibattito, dovuto sia ai giornalisti e ai direttori dei giornali, sia agli intellettuali che parteciparono al confronto. Il risultato del mio lavoro mi permette di dire che non sono pienamente d’accordo con chi ha affermato che il mondo della stampa fu molto asservito allo Stato e ai partiti e che ci fu molta retorica. Questo non è stato sempre vero. Si può affermare che il dibattito fu ampio.

Quindi il sequestro Moro ha avuto anche un effetto sul modo di fare giornalismo in Italia.

Sì. È stato uno spartiacque per l’informazione in Italia. C’è un prima e un dopo. Almeno per quanto riguarda la carta stampata. Ma ci sarebbe ancora da approfondire il ruolo del giornalismo italiano. Ancora oggi, nonostante la crisi dei giornali, quotidiani e periodici sono il luogo dove c’è una maggiore capacità di analisi. Questo mette il lettore nelle condizioni migliori per comprendere i fatti. Soprattutto quelli più complessi e articolati. Tornare allo studio universitario è anche un segnale di disponibilità a imparare e capire cose nuove. Soprattutto quando si ricoprono già ruoli di responsabilità.

Il mio lavoro ha influito molto nella decisione di riprendere gli studi. Proprio perché mi occupo di risorse umane in una università come la Luiss, studiare significa valorizzare il mio ruolo professionale. Il principio di continuità della formazione è molto presente negli atenei. Sappiamo che lo studio favorisce una certa apertura mentale, ma in aggiunta a questo va detto che la complessità del mondo del lavoro richiede a tutti di aggiungere sempre qualcosa di nuovo sotto l’aspetto delle competenze e della motivazione. In particolare chi si occupa delle risorse umane dovrebbe possedere non solo conoscenze giuridiche e gestionali, ma approfondire anche le scienze sociali.

Recentemente è stato approvato un disegno di legge che consente di iscriversi contemporaneamente a due corsi universitari. Cosa ne pensi?

Credo che il legislatore abbia dato questa possibilità anche perché è già presente in altri paesi ed è giusto adeguarsi. È una opportunità utile ad allargare il percorso formativo. Naturalmente si capirà con il tempo se potrà funzionare o meno.

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