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Italia, nuovo modello di sicurezza. Intervista al Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi | VIDEO

Matteo Piantedosi Ministro Interno fortune italia

Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno, spiega come sta affrontando la questione del rafforzamento degli organici per rispondere alle sfide criminali che arrivano dalle mafie, dal terrorismo estero e dai criminali del web.

Nel cuore della Roma istituzionale, entriamo nel Palazzo del Viminale, concepito e fatto realizzare da Giovanni Giolitti. Accedendo agli ampi cortili articolati in percorsi incrociati, saliamo lo Scalone d’onore che porta allo Studio del ministro, dove spiccano i numerosi dossier che quotidianamente deve affrontare. Matteo Piantedosi, napoletano con origini irpine, quando ci fa accomodare per l’intervista è appena uscito da una serie di riunioni. L’impressione è quella di avere a che fare con un uomo concreto e determinato. È un tecnico prestato alla politica, fino a pochi mesi fa era un Prefetto della Repubblica. Insomma, comunque la pensiate, una cosa è certa: Piantedosi è uno che di lotta alla criminalità organizzata, confisca di patrimoni mafiosi, contrasto alla criminalità cibernetica, immigrazione e altri temi relativi alla sicurezza interna e alla difesa dei cittadini se ne occupa con cognizione di causa.

Ministro, sulla sicurezza e la percezione della sicurezza nelle nostre città, le statistiche dei reati dicono che l’Italia è tra i Paesi occidentali uno dei più sicuri. Resta il tema, però, del rafforzamento degli organici per rispondere alle sfide non solo della criminalità organizzata e comune ma anche del terrorismo internazionale e dei criminali del web.

Ha detto bene: il rafforzamento degli organici. Questo governo, dopo anni di blocco del turnover, sta portando avanti un’attività di potenziamento delle strutture. Ciò consentirà di rispondere efficacemente all’esigenza di un crescente presidio capillare delle forze di polizia. Nonostante i parametri statistici dimostrino come il nostro sia un Paese tutt’altro che insicuro, riteniamo prioritario rafforzare il sistema di sicurezza in tutti i luoghi dove c’è maggiore presenza di persone. Dobbiamo rendere evidente che dove c’è lo Stato c’è sicurezza. In ogni caso rispondo alla sua domanda con alcuni dati: nella legge di Bilancio abbiamo previsto nuove assunzioni delle Forze di Polizia e dei Vigili del Fuoco. Il fondo ha una dotazione di 90 mln di euro per il 2023, con un incremento annuale progressivo fino a 125 mln dal 2033. Si tratta di risorse aggiuntive rispetto a quelle destinate alla naturale copertura del turnover. Un’operazione del genere consente non soltanto di incrementare gli organici al netto delle uscite per pensionamento, ma anche un rinnovamento generazionale. Accompagneremo i nuovi ingressi con processi di formazione al passo con i tempi. Nella sola Polizia di Stato, prenderanno servizio entro l’anno 5.735 unità di personale, di cui oltre 4.000 agenti, a fronte di 4.100 cessazioni.

In alcuni campi, penso alla mole di lavoro che svolge la polizia amministrativa (vedi ad esempio la crisi nel rilascio di documenti come i passaporti o i permessi di soggiorno), ma anche alla sicurezza informatica, forse occorre rafforzare l’alleanza tra pubblico e privato, tra mondo civile e mondo della sicurezza pubblica. È possibile una osmosi tra pubblico e privato in questi delicati settori?

È una direzione, anche questa, che abbiamo già intrapreso. Sono funzioni altrettanto importanti, anche se di ordine amministrativo, che per ragioni storiche sono svolte da articolazioni periferiche del ministero dell’Interno e della Polizia di Stato. Parliamo in particolare del rilascio di passaporti, permessi di soggiorno e altre funzioni amministrative che sono obiettivamente gravose per gli apparati pubblici. Noi abbiamo aderito con grande convinzione, ad esempio, a un’iniziativa che riteniamo di grande valore strategico: il progetto Polis di Poste Italiane, che tenderà a valorizzare la rete capillare territoriale degli uffici postali in tutti i Comuni d’Italia, proprio per decentrare almeno le attività di front office. Tutti servizi generalmente offerti ai cittadini attraverso Questure e Prefetture.

A proposito di integrazione tra pubblico e privato, l’evoluzione tecnologica comporta anche molti rischi per settori strategici di interesse nazionale. Come si può garantire la sicurezza in un’economia sempre più digitale equilibrando lo sviluppo di unità di intelligence e security digitale e il rafforzamento dei servizi di sorveglianza ‘tradizionali’?

Questa è una specializzazione storica della Polizia di Stato: un vero e proprio sistema per la protezione delle principali infrastrutture critiche del Paese. Si tratta di un’eccellenza della Polizia di Stato ad alta specializzazione, che sta accompagnando il processo di trasformazione digitale del Paese, anche attraverso l’istituzione della Direzione Centrale della Polizia Scientifica e della Sicurezza Cibernetica. Questo ci consente di sistematizzare storiche e tradizionali competenze della Polizia, anche mettendole in rete con altre iniziative nazionali, come ad esempio l’Agenzia sulla Cybersecurity.

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La digitalizzazione richiede anche nuove competenze nel campo della sicurezza. Gli Istituti di formazione costituiscono un asset fondamentale per il sistema integrato di sicurezza italiano. C’è un piano per migliorare e riqualificare le competenze delle risorse umane in ministeri chiave come quello che lei presiede?

Sì, una professionalizzazione che viene sicuramente curata attraverso una programmazione della formazione specifica e specialistica in questi settori. La letteratura cinematografica tende spesso a semplificare l’immaginario del poliziotto. C’è un grande investimento sulla preparazione, sull’attività di formazione continua e un grande lavoro sul campo; ci sono inoltre profili ad alta specializzazione tecnica quali ingegneri, fisici, tecnici informatici.

Il 2023 è l’Anno europeo delle competenze. In un momento storico nel quale le transizioni gemelle (quella verde e quella digitale) simboleggiano le nuove priorità di sviluppo europee e nazionali, come si può garantire che questa occasione di grande trasformazione per il Paese non lasci indietro territori spesso dimenticati e competenze potenzialmente strategiche?

Come ministero dell’Interno da questo punto di vista possiamo rappresentare un importante asset per il sistema Paese. La nostra peculiarità è quella di essere per definizione l’amministrazione con la maggior capillarità e proiezione territoriale. Un’organizzazione strutturata per livelli provinciali o addirittura infraprovinciali, attraverso la rete dei commissariati di polizia. Tramite gli apparati e gli uffici del ministero dell’Interno saremo in grado di accompagnare i progetti di diffusione delle competenze; noi siamo i candidati ideali per raggiungere tutti gli angoli del Paese.

A distanza di pochi giorni lo Stato ha arrestato latitanti eccellenti in Italia (Matteo Messina Denaro a casa sua, nel Trapanese) e all’estero (Giovanni Strangio a Bali). Da un lato c’è il coordinamento delle forze di polizia interna e dall’altro la cooperazione internazionale: quali riflessioni scaturiscono da questi successi?

La cooperazione è fondamentale. Ed è una cooperazione solida da molti anni, che prevede dei network già istituzionalizzati molto attivi, curati dal Dipartimento della pubblica sicurezza col Servizio di cooperazione internazionale di polizia. Ci sono collegamenti tra appartenenti alle polizie di tutta Europa e di tutto il mondo. Noi partecipiamo attivamente al sistema Interpol. Alcune delle operazioni a cui lei ha fatto riferimento sono state svolte proprio grazie a queste collaborazioni.

Il nostro tessuto economico è caratterizzato da una miriade di piccole e medie imprese, in crescente difficoltà a gestire scadenze, inflazione, costo dell’energia. In questo momento difficile le organizzazioni criminali, che dispongono di importanti liquidità, hanno maggiore facilità di accesso al mondo dell’economia legale con i loro capitali. Il rischio è l’inquinamento dell’economia. Ci sono poi i fondi del Pnrr, anche queste risorse appetite e appetibili per il crimine organizzato. Che cosa si sta facendo per difendere l’economia legale?

Anche su questo versante vorrei citare la mia Amministrazione come modello. È un’esperienza consolidata, quella della preservazione dei circuiti economici legali dalle infiltrazioni degli interessi criminali. C’è tutto il sistema che fa capo all’emanazione delle interdittive antimafia che stiamo potenziando ulteriormente proprio in vista di questa grande sfida legata alla gestione del Pnrr. Parlo di un potenziamento degli organici. Sono in corso procedure di assunzione che interessano oltre 400 unità di personale da destinare alla rete territoriale delle Prefetture. Stiamo, inoltre, affinando alcuni meccanismi per incrociare le banche dati e individuare eventuali criticità, al fine di far emergere possibili inquinamenti mafiosi.

Le migrazioni attraverso le rotte del Mediterraneo sono da sempre un tema caldo del dibattito europeo. Molto spesso impedire le partenze significa anche evitare di trasformare il mare in un enorme cimitero.

La nostra attività è prevalentemente orientata, con il coordinamento del presidente del Consiglio, a prevenire le partenze. Io e gli altri colleghi di Governo abbiamo aperto un dialogo costante con i ministri dei Paesi di origine e di transito dei migranti che arrivano dal Nord dell’Africa. Presto mi recherò anche in Paesi dell’Africa centrale. Il sostegno a questi Paesi va rafforzato con formule di  aiuto allo sviluppo economico, per evitare che le persone si mettano in viaggio e finiscano, dietro il miraggio di un futuro più roseo, per perdere la vita o per ritrovarsi nei meandri dell’emarginazione. Pochi giorni dopo la nostra intervista al ministro, uno dei tanti tentativi di approdo sulle coste d’Italia di un barcone carico di migranti, questa volta partito dalle coste turche, si è trasformato in una carneficina. Si temono cento morti. Una tragedia di proporzioni inimmaginabili. Sono 26mila i morti in mare in dieci anni. Sono le vittime dei cosiddetti viaggi della speranza. Migranti partiti dall’Africa e dall’Asia col sogno di raggiungere l’Europa ma annegati durante la traversata, prima di toccare terra. È l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) a tenere il conto delle vittime con il Missing migrant project, attivo dal 2014. Il progetto prende in considerazione tre rotte: Mediterraneo Centrale, Occidentale e Orientale. La prima, che collega Libia e Tunisia all’Italia, è la più letale in tutto il mondo. Oltre 17mila tra morti e dispersi registrati dal 2014 ad oggi. E c’è evidenza che molti naufragi restano ‘invisibili’ – appaiono imbarcazioni senza nessuno a bordo, oppure affiorano resti di barche – sfuggendo così al conto dell’Oim.

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