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Robot killer nel mirino

Negli Stati Uniti cresce il dibattito sulle richieste della polizia di poter utilizzare robot “armati” a supporto delle operazioni più rischiose

Sei anni fa, nel pieno dell’assalto più letale sferrato alle forze dell’ordine statunitensi dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, il capo della polizia di Dallas, David Brown, ha preso una decisione senza precedenti. Con un uomo che si presumeva avesse sparato e ucciso cinque agenti asserragliato in un parcheggio, Brown ha ordinato alla sua squadra di recuperare il robot destinato allo smaltimento delle bombe Remotec Andros Mark V-A1 del dipartimento. Ha dato quindi disposizione agli agenti di applicare al robot un blocco di esplosivo al plastico C-4, di inviarlo vicino al sospettato e farlo esplodere. Gli agenti hanno eseguito l’ordine e l’assalitore, l’ex riservista dell’esercito Micah Johnson, di 25 anni, è rimasto ucciso nell’esplosione. L’episodio del 2016 a Dallas è stato, e resta, l’unico caso conosciuto in cui, negli Stati Uniti, forze dell’ordine locali hanno utilizzato un robot controllato da un agente per porre fine alla vita di un sospetto.

Negli anni successivi, l’innovazione ha riacceso il dibattito sulla possibilità che la polizia utilizzi robot armati, enfatizzato dai recenti scontri verificatisi a San Francisco e nella vicina Oakland. Tra i crescenti timori di sparatorie di massa, alcuni dipartimenti di polizia stanno guardando con sempre maggiore interesse ai robot armati come ultima risorsa per piegare i sospetti senza mettere in pericolo gli agenti. Ma alcuni difensori delle libertà civili e della giustizia, in occasione di un rapporto nazionale sulla brutalità della polizia, hanno messo in guardia sul rischio che le forze dell’ordine possano avere in dotazione un’ulteriore arma mortale di cui abusare.

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