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Riforma fiscale, analisi dei pro e contro del disegno di legge varato dal Governo

La riforma del sistema fiscale punta a creare un nuovo rapporto fra Fisco e contribuente, e al rilancio strutturale dell’Italia sul piano economico e sociale. Varato nei giorni scorsi dal Governo Meloni, approvato con procedura d’urgenza dal consiglio dei Ministri n.25 del 16 marzo, il disegno di legge di delega di riforma fiscale si regge su tre obiettivi: riduzione del carico fiscale sulle famiglie, per favorire natalità e crescita economica; aumento dell’efficienza della struttura dei tributi;  individuazione di meccanismi fiscali a sostegno di famiglie, lavoratori ed imprese. Il Governo avrà ora 24 mesi per emanare i decreti legislativi di revisione del sistema fiscale.
La riforma, che arriva cinquant’anni dopo l’ultima grande revisione del sistema tributario italiano – legge delega n.825 del 1971 – prevede anche il riordino della normativa in un unico codice Tributario.
Il ‘Nuovo Fisco’ ridisegnato dal Governo Meloni annuncia di volere una revisione organica del sistema tributario nazionale, e a quanti hanno chiesto di entrare subito nel dettaglio dei numeri ha già risposto il vice ministro all’Economia, Maurizio Leo: “Le tre aliquote Irpef saranno operative dal 2024. Sui numeri sarei comunque cauto”, ha dichiarato il vice ministro in una recente puntata di Porta a Porta “perché la legge delega non detta numeri puntuali, saranno poi i decreti attuativi a individuarli, così come le risorse, senza sforamenti di bilancio”, e ha aggiunto “da gennaio 2024 entrerà in vigore un modulo di riforma, troveremo le risorse e le coperture necessarie, noi abbiamo indicato le priorità e a quelle faremo fede”.
Nel complesso, “la Riforma mira a favorire il lavoro dipendente” come si legge in una nota di Palazzo Chigi “con l’obiettivo prioritario di aiutare le famiglie, i giovani e le donne, ridurre la pressione fiscale per agevolare la collaborazione con il Fisco e incentivare il rientro dei capitali” dall’estero.
La lotta all’evasione fiscale è anche fra le priorità, e si punta a perseguirla con misure specifiche per incentivare l’adempimento spontaneo dei contribuenti, che potranno dialogare più apertamente con un nuovo ‘Fisco Amico’.

Le modifiche previste dalla riforma

Irpef – Imposta sul reddito delle persone fisiche
La riforma parla soprattutto di riduzione delle aliquote, che la revisione del 2022 aveva già fissato come segue: aliquota al 23% per i redditi fino a 15.000 euro, aliquota al 25% per redditi da 15 a 28.000 euro. L’aliquota sale di 10 punti percentuali per i redditi fino a 50.000 euro, mentre si attesta al 43% il prelievo fiscale sui redditi superiori. La nuova norma dovrebbe accorpare i primi due scaglioni, abbassando al contempo le aliquote, in base a quelle che saranno le risorse effettivamente disponibili. L’obiettivo finale è comunque  arrivare alla flat tax, la tassa ad aliquota unica, entro la fine del mandato del Governo. Sarà inoltre riconosciuta la deducibilità, pure forfettizzata, delle spese sostenute per produrre il reddito da lavoro dipendente o assimilato. Tutto il nuovo meccanismo di tassazione punta a raggiungere la così detta ‘equità orizzontale impositiva’, passando probabilmente da un’estensione della no tax area sia per lavoratori che per pensionati, ipotizzando la soglia a 8.500 euro e alzando quindi la fascia esente per i pensionati. Fra le novità della Riforma, anche la possibilità di estendere la cedolare secca a tutte le tipologie di affitto, anche per uso differente rispetto a quello abitativo.

Irap – Imposta Regionale sulle Attività Produttive
La riforma punta ad una revisione organica del tributo, fino all’abrogazione dello stesso. Con un’aliquota fissata al 3,90, a cui la singola Regione può apportare variazioni fino ad un punto percentuale, questa imposta vede oggi soggetti sia persone che enti e società che generino reddito d’impresa. Il 90% del gettito confluisce nelle casse regionali, e viene utilizzato fondamentalmente per finanziare il fondo sanitario nazionale. Per evitare che l’abrogazione del tributo generi scompensi, è allo studio una sovrimposta Ires che assicuri un gettito fiscale equipollente, da destinare al finanziamento del fabbisogno sanitario e a sostegno di eventuali piani di rientro delle Regioni che presentino squilibri di bilancio sanitario.

Ires – Imposta sul reddito delle società
La revisione di questa imposta sui redditi delle società e degli enti si baserà su una riduzione dell’aliquota, che già in base al decreto Crescita sarebbe andata a scalare, dal 22,5% nel 2019 al 20,5% nel 2022, e sarebbe ancora scesa al 20% nel 2023. La riduzione prevista dalla riforma sarà contemplata se, entro i due periodi d’imposta successivi a quello in cui il reddito tassato viene prodotto, si verifichino due condizioni: che una somma corrispondente al reddito prodotto venga reinvestita in azienda, anche per nuove assunzioni, e al contempo gli utili non vengano distribuiti. In questo modo la norma punta a favorire la crescita economica e l’incremento della base occupazionale.

Iva – Imposta Valore Aggiunto
Con l’intento di avvicinare il tributo ai presupposti previsti dall’Unione europea e le relative norme di esenzione, si provvederà a razionalizzare il numero delle aliquote e la loro misura. In vigore, oggi, c’è l’aliquota ordinaria, fissata al  22%, a cui se ne aggiungono altre tre ridotte applicate a beni e servizi specifici: 4% per alimentari, bevande e prodotti agricoli. 5% per alcuni altri alimenti. 10% per la fornitura di energia elettrica e del gas per usi domestici, i medicinali, gli interventi di recupero del patrimonio edilizio per specifici beni e servizi. La nuova norma, non potendo agire sull’aliquota al 4% per vincoli comunitari, agirà sulle altre tre. Dal punto di vista dell’Iva sui prodotti al consumo, la riforma punta ad azzerarla sui prodotti per l’infanzia e quelli di prima necessità. Lavorerà poi sulla revisione della disciplina della detrazione,  razionalizzando e semplificando le misure previste per l’accesso e l’applicazione della misura fiscale.

Statuto del Contribuente
È lo strumento di tutela dei contribuenti nei confronti del Fisco, e verrà rivisto alla luce del consolidamento di due principi: il legittimo affidamento del contribuente e la certezza del diritto. In altre parole, l’Ente impositore dovrà motivare le ragioni alla base della sua pretesa di imposta.

Il parere del tributarista

“Si tratta di una riforma ad ampio spettro, che riguarda sia i principi generali della materia che i singoli tributi” è il commento che Giuseppe Melis, Professore ordinario di Diritto tributario presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma, ha rilasciato a Fortune Italia. “L’obiettivo principale è restituire certezza all’intero ordinamento tributario, perché ad esempio oggi ogni tributo ha una sua propria disciplina, mentre è necessaria una disciplina unitaria dell’obbligazione tributaria”. Melis chiarisce alcuni punti generali, focalizzando l’attenzione sugli obiettivi della riforma, in primis proprio “la certezza del diritto, perseguita anche con la redazione di testi unici, nonché mediante specifici interventi sugli aspetti ad oggi più controversi dei singoli tributi”.
Altro obiettivo è quello della “semplificazione, non solo dei singoli tributi –  eliminando ad esempio quelli minori, che costano molto e rendono poco ma anche degli adempimenti, eliminando per esempio le scadenze di agosto, solo per citarne una”.
Abbiamo inoltre chiesto al professor Melis un’analisi di dettaglio sui singoli tributi, così come la riforma li ha immaginati: “Si persegue in primo luogo l’abrogazione dell’Irap, che è un tributo inefficiente e che ha ormai una disciplina di determinazione estremamente complessa che varia persino da soggetto a soggetto”. Per l’esperto, ha quindi un senso accorparla all’Ires, di fatto con un’aliquota più alta, ma applicata con le stesse regole dell’Ires, “per coprire quella parte di risorse destinate ad esempio alla Sanità. E poi è un tributo in crisi anche dal punto di vista soggettivo: perché dovrebbero pagarla le associazioni professionali, se il singolo professionista ne è ormai escluso? È chiaro che così si scoraggiano persino le aggregazioni professionali”. Continuando nell’analisi dei singoli contributi oggetto della riforma, Melis aggiunge: “Rispetto all’Ires, la delega vuole venire incontro ad un’esigenza assai sentita dalle imprese, che è di detassare la quota di utili mantenuti in azienda e destinati a investimenti o all’incremento dell’occupazione”.
Quanto all’Irpef si sta molto discutendo della progressività, ma per Melis ci si dimentica che  “questa è il frutto di un ‘mix’  tra imposte, spesa sociale e spesa assistenziale, sicché è riduttivo farla dipendere dalle mere aliquote senza considerare che la progressività dello stesso tributo non si ottiene solo con le aliquote”. La delega, nella lettura che ne dà l’esperto: “Punta poi a considerare la composizione del nucleo familiare, riportandola nell’alveo della fiscalità dalla quale l’assegno unico l’ha tolta, pur essendo di fatto proprio uno dei fattori più importanti per garantire personalità e progressività dell’imposizione. Si vuole inoltre perseguire l’obiettivo di avere un carico fiscale uguale, quale che sia il tipo di reddito che si produce, rimediando alle attuali discriminazioni tra categorie”.
Quanto al rapporto Fisco-contribuente, continua Melis: “La delega contiene una nuova visione che guarda con forza anche ai diritti del contribuente. Nella motivazione di un atto di accertamento, l’ente sarà adesso tenuto ad indicare subito le prove che ne stanno alla base”. Un esempio concreto? Se si riceve un atto di accertamento che contesta il valore dichiarato dalle parti rispetto ad un presunto valore di mercato e a presunti immobili similari, l’ente dovrà indicare subito nel dettaglio, mentre prima non era tenuto a farlo, quali sono i riferimenti di mercato e quali sono gli immobili similari da esso assunti a fondamento della richiesta. Ma anche le abnormi sanzioni oggi vigenti dovranno essere ricondotte a proporzionalità, come auspicato dalla Corte costituzionale con la recente sentenza del 17 marzo scorso e il contribuente non dovrà inoltre più subire sanzioni di tipo diverso in relazione allo stesso fatto, dovendosi coordinare l’applicazione delle sanzioni amministrative con quelle penali”.
In sintesi, conclude il professor Melis: “Al momento abbiamo un sistema schizofrenico e ad elevato tasso di incertezza, che alimenta il rischio ed allontana gli investitori. La riforma punta a restituire maggiore certezza e fiducia nel nostro sistema tributario e nell’amministrazione finanziaria, con l’obiettivo di attrarre capitali in Italia ed evitare una fuga verso altri Paesi”.

Le conseguenze, per Confersercenti

“Anzitutto è una riforma che deve essere realizzata a invarianza di gettito, significa che comunque non devono esserci oneri ulteriori da parte dello Stato” chiarisce subito il punto Mauro Bussoni, segretario generale Confersercenti, che si dice consapevole del fatto che la riforma porterà vantaggi per alcuni, ma non per tutti: “Come sappiamo si va verso una rimodulazione delle aliquote, qualcuno ne trarrà beneficio, altri meno, stessa considerazione per l’abolizione dell’Irap, o per la flat tax per attività commerciali e lavoratori dipendenti”. Bussoni fa un elenco delle situazioni annunciate dalla riforma e delle eventuali ricadute che queste potranno avere sul comparto da lui rappresentato: “Bisognerà capire se ci sarà una Ires con addizionale”. Quello che preoccupa Confesercenti “è che rimangano senza risposta tante Piccole medie imprese che già oggi non pagano l’Irap, e di fatto non beneficeranno della sua eventuale abolizione. Per non parlare delle imprese commerciali che non avranno vantaggi dalla flat-tax perché hanno un volume commerciale superiore agli 80mila euro”. Nella sua analisi, Bussoni sottolinea un aspetto forse non sempre considerato, ma fondamentale, se si pensa alle eventuali conseguenze della riforma e dei campi effettivi di applicazione: “Ci sembra che nella riforma manchi un regime di tassazione per la concorrenza delle grandi piattaforme dell’online, e su questa partita noi vorremmo che ci fosse un riferimento chiaro”. Busoni ricorda la direttiva comunitaria, che dovrebbe consentire di uniformare i trattamenti fiscali a livello europeo, ma evidenza che “c’è un problema di tassazione effettiva per quanto riguarda lo Stato, è tutta ricchezza e benefici che vengono esportati dal nostro Paese e che creano elementi di concorrenza reale, oltretutto con il rischio non solo di natura occupazionale, non solo di danni per le imprese che rappresentiamo, ma anche un problema di coesione sociale”. Il segretario generale di Confesercenti si dice certo del fatto che questa riforma sia “una partita, un puzzler che va messo insieme, e quando si potrà si capirà meglio. Per ora abbiamo una serie di indicazioni che sono anche positive, perché si va verso una maggiore semplificazione del sistema tributario, la norma annuncia di voler introdurre un miglior rapporto fra agenzia delle entrate e contribuenti”. Busoni però continua il suo elenco anche di elementi che, a suo dire, meritano una riflessione ulteriore, come “la partita dei tributi locali, che rischia di incidere in modo significativo sulle imprese, sul costo del lavoro. Gli elementi di incertezza sono tanti, che potrebbero diventare elementi di preoccupazione“. Rispetto ai tributi locali, ad esempio, Busoni fa un esempio concreto, basato sull’esperienza recente: “Grazie all’esperienza Covid si è capito che sull’occupazione di suolo pubblico non bisogna esagerare, gli spazi esterni che sono stati concessi alle attività commerciali, a titolo gratuito, hanno reso più belle le nostre città, più vivaci, prima di Covid si dovevano sostenere invece costi elevatissimi. Lo stesso vale per raccolta rifiuti solidi urbani, in sintesi, direi che c’è la materia della tassazione locale che va rivista”. Il segretario generale di Confesercenti conclude ricordando che “mantenere un’impresa oggi costa, e sempre più diventa difficile per le imprese piccole anche per questo andrebbero riviste radicalmente le tassazioni”. La Flat-tax? “È chiaro che c’è chi ci guadagna, c’è chi non la può applicare e ne è svantaggiato, noi su questo siamo a metà strada, dal punto di vista dell’equità forse non è il massimo, le imprese del commercio non sono penalizzate, per i professionisti e gli atri sì”.

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