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La Fed ha fallito i suoi ‘stress test’ sulle banche

All’improvviso, la principale minaccia per il futuro economico dell’America pare riassumersi in una parola infausta: “contagio”. Il mondo finanziario parla del fatto che il rapido e brusco balzo dei tassi d’interesse ha contribuito a distruggere la Silicon Valley Bank, facendo crollare il valore delle sue obbligazioni e lasciando il creditore preferito di Big Tech a corto di fondi per saldare i risparmiatori in fuga.

Ma tutte le banche di medie dimensioni hanno subito grosse perdite anche nei portafogli a reddito fisso, che forniscono la liquidità che rassicura i clienti sulla loro sicurezza, e di cui le banche avranno bisogno se anche solo una parte di loro preleverà contanti dai conti correnti e dai fondi monetari per acquistare titoli di Stato che improvvisamente offrono rendimenti molto interessanti. Anche se la campagna straordinaria della Fed e della Fdic per contenere il contagio dovesse funzionare, la crisi probabilmente spingerà le autorità di regolamentazione a imporre nuovi rigorosi vincoli agli istituti di credito di medie dimensioni che renderanno molto più difficile ottenere prestiti per le imprese e per l’acquisto di immobili.

In parole povere, anche se la riforma Dodd-Frank ha costretto le banche ad accumulare enormi riserve di capitale che dovrebbero garantirne la sicurezza, si sta diffondendo il timore che la Svb possa innescare un effetto domino tra le banche regionali, riducendo notevolmente la disponibilità di credito e aumentando le probabilità di una profonda recessione. Il virus Svb si è già diffuso, costringendo al salvataggio di First Republic con un finanziamento di 30 mld di dollari da parte di un gruppo di guidato da JPMorgan Chase.

Ciò che è sconvolgente è che i famosi ‘stress test’ istituiti dalla Dodd-Frank, progettati per prevedere tutti i tipi di scenari ‘gravemente avversi’, hanno completamente mancato di prevedere la tempesta che ha scatenato la crisi, ovvero il balzo storico dei tassi di interesse. “Negli stress test, la Fed pensava che il problema sarebbe stato il calo del Pil, le insolvenze sui prestiti immobiliari commerciali, un’impennata della disoccupazione”, ha dichiarato a Fortune Thomas Hogan, ex economista capo della Commissione bancaria del Senato e ora senior fellow dell’American Institute for Economic Research.

“Invece abbiamo ottenuto l’opposto: una buona economia, un basso numero di disoccupati e poche insolvenze. Le cose che la Fed pensava sarebbero state un problema non lo sono state. E quello che non ritenevano importante, il rischio di un forte aumento dei tassi, sta invece causando i fallimenti del sistema finanziario”. Ecco quanto il radar della Fed era fuori bersaglio, perché gli stessi stress test non erano affatto predittivi di ciò che le banche avrebbero dovuto affrontare, e cosa significa questo per il futuro.

Una legge del 2018 ha abbassato i requisiti per le banche di medie dimensioni

Dopo la grande crisi finanziaria, la Fed ha iniziato a imporre stress test, ma solo per le banche più grandi. Poi è arrivata la legge Dodd-Frank. A partire dal 2013, questa legge ha imposto test per un universo molto più ampio: tutti gli istituti di credito che detengono attività per 50 mld di dollari o più.

La legge richiedeva alla Federal Reserve e alle altre autorità di regolamentazione di misurare ogni anno l’impatto sulla redditività e sul capitale futuri delle banche in scenari in cui l’economia subisse una forte contrazione, o in cui altre batoste colpissero specificamente il settore bancario, tra cui un rialzo dei tassi.

Negli anni successivi, le banche che superavano la soglia dei 50 mld di dollari, tra cui tutti gli importanti operatori regionali, sono state sottoposte a test estremamente impegnativi chiamati Ccar (Comprehensive Capital Analysis and Review). Guidata dalla Dodd-Frank, dal 2009 la Fed ha spinto le banche a raddoppiare il loro capitale, in uno sforzo che ha enormemente rafforzato la capacità degli istituti di credito di resistere ai tempi duri.

Ma le banche regionali hanno fatto pressione per ottenere un trattamento più soft. Sostenevano che, date le loro dimensioni più ridotte, i test imponevano loro uno sforzo maggiore in termini di denaro e personale rispetto alle banche più grandi. L’amministrazione Trump, allora animata da una forte volontà di deregolamentare, sostenne una legge chiamata ‘Economic Growth, Regulatory Relief, and Consumer Protection Act’ che nel 2018 ottenne un’approvazione bipartisan al Congresso. La legge ha innalzato la soglia per gli stress test della Fed da 50 a 100 mld di dollari. Ha inoltre stabilito standard diversi per due diverse classi di grandi banche che erano state sottoposte a un unico regime: quelle con attività da 100 a 250 mld di dollari, ovvero i player di medie dimensioni, e i colossi da 250 mld in su, come JPMorgan Chase, Citigroup o Pnc. La nuova misura ha di fatto liberato le banche regionali da alcuni dei requisiti più stringenti della Dodd-Frank.

La legislazione ha dato alla Fed un’ampia libertà nel definire i dettagli. La legge prevedeva solo che i controlli per le banche da 100 a 250 mld di dollari fossero “periodici” e lasciava alla Fed la scelta sulla frequenza. Mentre le banche da 250 mld di dollari in su sono ancora sottoposte ai test ogni anno, la banca centrale ha inserito il gruppo da 100 a 250 mld di dollari in un ciclo biennale, in cui vengono valutate solo negli anni pari. Una regola chiamata Standardized Liquidity Ratio (rapporto di liquidità standardizzato) viene derogata per le banche di medie dimensioni, il che significa che possono detenere meno capitale liquido rispetto agli istituti di credito di alto livello, ad esempio, se la maggior parte dei loro finanziamenti avviene attraverso i depositi e non dipendono molto dai prestiti a breve termine per sostenere i loro mutui. Il gruppo da 100 a 250 mld di dollari non è più obbligato a fornire ‘piani di risoluzione’, noti come ‘testamenti biologici’, che mostrino come la dirigenza intende staccare la spina all’istituto in caso di fallimento.

Una banca entra nel piano biennale non nel trimestre in cui le sue attività raggiungono almeno 100 mld di dollari, ma solo dopo aver raggiunto una media di quel numero o superiore per quattro trimestri. Anche quando un istituto di credito raggiunge la soglia dei 100 mld di dollari per quattro trimestri, non è immediatamente soggetto ai test. La Fed supervisiona un periodo di transizione di due o tre anni in cui guida la banca attraverso prove pratiche per prepararsi ai test ufficiali. Ad esempio, Charles Schwab ha raggiunto la categoria degli oltre 100 miliardi di dollari nel 2019, ma non ha sostenuto il primo esame fino al 2022. La Silicon Valley Bank non ha raggiunto la soglia dei 100 miliardi di dollari di attività medie fino alla fine del 2021 e quindi non è stata inclusa nel test del 2022, né ha mai sostenuto un esame della Fed.

Gli scenari di “forte stress” della Fed non hanno tenuto conto dell’enorme aumento dei tassi

Nel febbraio del 2022, la Fed ha reso nota l’intera gamma di banche da testare per l’anno in corso e quello che considerava il peggior scenario economico possibile. Gli istituti di credito avrebbero ottenuto la sufficienza se avessero posseduto un capitale sufficiente per far fronte a quelli che la banca centrale considerava i venti contrari più forti possibili, scatenati contemporaneamente. La rosa degli istituti di credito del 2022 comprendeva 34 banche statunitensi, tra cui tutte le regionali secondo la definizione della Fed di attività superiori a 100 mld di dollari. Poiché le banche di medie dimensioni vengono valutate solo negli anni pari, sono state escluse nel 2021, quando il numero si è ridotto ai soli 21 maggiori istituti di credito americani, Wells Fargo, JPMorgan Chase e Citigroup. Nel 2022 sono stati esaminati istituti regionali come M&T, Huntington, Citizens e Fifth Third che (essendo al di sotto dei 250 mld di dollari di attività) non sono stati esaminati nel 2021 e, data la regola biennale, non sono presenti nella lista per il 2023 che la Fed ha pubblicato a febbraio.

La Fed ha fornito due serie di previsioni. La ‘standard’ esprime ciò che la banca centrale ritiene più probabile, mentre lo scenario ‘gravemente avverso’ prevede il futuro più negativo che la Fed ritiene possibile. Entrambi gli scenari coprono il periodo compreso tra il primo trimestre del 2022 e il primo trimestre del 2025. Ma la Fed ha anche fornito previsioni trimestrali per il Pil, l’inflazione, i tassi d’interesse e altri parametri per tutti questi 13 trimestri. Vediamo quindi cosa la Fed ha valutato come probabile e come più pessimistico per la situazione attuale, poco più di un anno dopo, nel primo trimestre del 2023.

La Fed ha azzeccato lo scenario di base, prevedendo un’economia sana e indovinando una crescita robusta del Pil e un basso tasso di disoccupazione. Ma si è sbagliata clamorosamente sull’inflazione e sui tassi di interesse. Si consideri che nel febbraio 2022, quando la Fed ha pubblicato questi numeri, l’indice dei prezzi al consumo (Cpi) stava già avanzando al 6,5% e il rendimento dei Treasury a 10 anni era schizzato al 2% e stava salendo rapidamente. Eppure, in qualche modo, la Fed prevedeva che l’inflazione sarebbe scesa al 2,3% nel primo trimestre del 2023, per poi diminuire leggermente all’inizio del 2025. Ha previsto che in questo momento il Treasury a tre mesi avrebbe reso lo 0,9%.

Nella realtà, l’inflazione ha raggiunto il 6% a febbraio, dopo un aumento del 6,5% nel 2022. Anche dopo il grande calo innescato dalla crisi bancaria, il rendimento del decennale si è attestato al 3,4% a metà marzo. Il rendimento del Tesoro a tre mesi è del 4,4%, oltre quattro volte quello previsto dalla Fed.

Passando al “gravemente sfavorevole”, la Fed vedeva le prospettive più negative come una confluenza di una profonda recessione globale, “amplificata da una prolungata continuazione del lavoro a distanza” che portasse a un crollo del settore immobiliare commerciale, unito a momenti difficili nel mercato azionario. Per la Fed, questi erano i segnali di pericolo. Ancora una volta, l’inflazione e i tassi non solo non hanno creato allarme nelle proiezioni della banca centrale, ma sono diventati praticamente inattivi. Il calo del Pil e l’umore cupo degli investitori avrebbero abbassato la traiettoria del Cpi all’1,4% entro il primo trimestre del 2023, per poi rimanere sotto il 2% fino al 2025. Per quanto riguarda il Treasury a tre mesi, non chiedetelo. La Fed ha previsto che in questo momento sarebbe stato bloccato a un minuscolo 0,1%, un quarantesimo del numero effettivo. A giugno la Fed ha annunciato che tutte le banche esaminate hanno superato gli stress test.

Ciò che la Fed vedeva come grandi minacce potenziali non si è materializzato, e le minacce che si sono materializzate non le ha viste arrivare“, afferma Hogan. “Alla fine del 2021, il presidente Powell aveva smesso di usare la parola ‘transitoria’ quando parlava di inflazione, ma ha agito solo molto più tardi. Ha iniziato ad alzare i tassi solo nel marzo del 2022. Quindi la Fed ha dovuto aumentarli molto velocemente, e questo problema è stato causato dall’aver ignorato l’inflazione per così tanto tempo“. Hogan aggiunge che la Fed ha eseguito stress test complicati e sofisticati, ma non ha considerato che l’enorme balzo della offerta di moneta era destinato a stimolare un’inflazione così alta che solo un forte aumento dei tassi avrebbe potuto domare la bestia. E come abbiamo visto con SVB e First Republic, l’impennata dei tassi può trasformare quelle che sembrano stabili banche regionali in focolai di rischio da un giorno all’altro.

La strada da percorrere

È possibile che ciò che gli stress test non hanno previsto e che ha scatenato il panico – il fatto che l’impennata dei tassi avrebbe ridotto la liquidità delle banche regionali – non si trasformi in ulteriori corse agli sportelli. “La Fed e la Fdic hanno tirato fuori tutti i bazooka garantendo tutti i depositi di Svb e Signature Bank e aprendo la finestra di sconto della Fed alle banche”, afferma Todd Phillips, consulente normativo ed ex funzionario della Fdic. “Da qui in poi si tratterà più che altro di irrigidire le normative. Abbassare i requisiti nel 2018 è stato un errore. Il Congresso e le autorità di regolamentazione hanno detto: ‘Non siate aggressivi con le banche di queste dimensioni’. Ora ne vediamo i risultati”.

La legge Trump ha concesso alla Fed, alla Fdic e all’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) il diritto di revocare le agevolazioni per le banche di medie dimensioni se lo ritengono necessario. Non è necessaria una nuova legislazione. Le autorità potrebbero autonomamente cambiare il ciclo di stress-test per le banche regionali, passando da due anni a quello annuale richiesto per i colossi. Le autorità di regolamentazione hanno anche la facoltà di ripristinare il requisito del testamento biologico e di eliminare un’esenzione specifica per le banche di medie dimensioni che consente loro di evitare di imputare le perdite non realizzate sugli investimenti al loro capitale.

Probabilmente assisteremo a una serie di riforme che costringeranno le grandi società regionali a detenere capitali molto più liquidi. Questo potrebbe spingerle ad aumentare il capitale, diluendo gli azionisti e facendo crollare i prezzi delle loro azioni. I requisiti patrimoniali più elevati limiterebbero anche la quota di finanziamenti che possono prestare ai clienti, restringendo il credito e aumentando le probabilità di una profonda recessione.

Oggi la Fed dispone di molti strumenti, oltre agli stress test, per garantire la solidità delle banche. Anche negli esami, viene spesso chiamato in causa l’andamento dei tassi. Michael Barr, il vicepresidente responsabile della supervisione, ha già valutato se le banche di medie dimensioni detengono troppo poco capitale e sta valutando nuove regole per aumentare i loro buffer. Si spera che la Fed abbia seguito da vicino le banche di medie dimensioni indebolite dal calo dei loro portafogli obbligazionari, consigliando e chiedendo loro di dimostrare di avere una solida liquidità che rassicurerà i depositanti e ripristinerà la fiducia e la sicurezza che sono la spina dorsale del più grande sistema bancario del mondo.

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com 

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