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Inflazione e Pil, le stime migliorano ma la Bce non è contenta

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Va meglio (“considerevolmente”) l’inflazione. Ma non abbastanza, e ancora una volta la Bce mette le mani avanti: la politica monetaria restrittiva dell’ultimo anno è probabilmente ancora adeguata, visto che, anche se i dati migliorano, intorno all’inflazione ruotano ancora troppi rischi.

Le incognite sulle prossime decisioni della Bce (a maggio l’appuntamento con un possibile nuovo rialzo dei tassi) però ci sono, perché ci sono segnali contrastanti lato crescita e lato inflazione. Pesa ancora il protrarsi della guerra, è vero, ma anche le tensioni sui mercati: la miccia accesa dalla Silicon valley bank e passata da Credit Suisse non si è ancora spenta, anche se oggi i titoli bancari del continente sono in rialzo.

Intanto però la Banca centrale europea rivede al rialzo di 0,5 punti percentuali le stime sul Pil dell’Eurozona, che nel 2023 dovrebbe calare all’1% dal 3,6% del 2022.

Migliorano “considerevolmente” per la Bce anche le stime sull’inflazione, data nel nuovo bollettino economico al di sotto del 3% entro la fine del 2023. Una cifra più bassa di un punto rispetto alle stime di dicembre. La causa principale sono i prezzi in calo dell’energia.

Mentre si moltiplicano le voci su un ammorbidimento della posizione della Fed americana, Francoforte sembra però ancora arroccata su una posizione da falco. Nonostante non venga ignorata l’incognita dell’accesso al credito, che il rialzo dei tassi d’interesse non aiuta.

Va detto che finora l’aumento dei tassi di riferimento di politica monetaria continua, anche se a velocità diversa, anche negli Stati Uniti: “Nell’ultimo incontro la Federal Reserve ha annunciato un aumento dei tassi di interesse di 25 punti base, rallentando rispetto la seconda metà del 2022”, ricorda a Fortune Italia Mario Rocco, Partner e Valuation, Modelling and Economics Leader di EY Italia, che sulle evoluzioni macroeconomiche ha recentemente lanciato il suo EY Macroeconomic Bulletin; le previsioni di EY indicano per l’Italia una crescita del Pil dello 0,5% nel 2023 e dell’1,3% nel 2024, mentre l’inflazione passerà dal 6,7% del 2023 al 3,1% del 2024, mostrando una certa persistenza.

Secondo l’esperto di Ey “analizzando la strategia delle principali banche centrali, si nota come stiano tutte portando avanti una politica monetaria fortemente restrittiva di contrasto all’inflazione, con la sola eccezione della Turchia. Se da un lato questa scelta di politica monetaria ‘coordinata’ si fonda sulla necessità di combattere gli alti livelli di inflazione, l’azione congiunta potrebbe ostacolare la crescita in modo più pronunciato nelle economie avanzate, a causa dell’impatto negativo dell’innalzamento dei tassi sulle scelte di consumo e investimento”.

La preoccupazione principale della Bce, intanto, è sempre la stessa: “L’inflazione dovrebbe rimanere troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato”. Anche se contestualmente al bollettino Bce, un importante dato sull’inflazione (quella spagnola, in calo) fa sperare i mercati su un’inversione della politica monetaria.

Le stime

Ecco un riassunto delle stime su inflazione e Pil della Bce:

  • Inflazione: gli esperti della BCE indicano ora che l’inflazione si collocherebbe in media al 5,3% nel 2023, al 2,9 nel 2024 e al 2,1 nel 2025.
  • Pressioni di fondo: allo stesso tempo, “le pressioni di fondo sui prezzi restano intense”, dicono gli economisti. L’inflazione al netto dei beni energetici e alimentari ha continuato ad aumentare a febbraio e gli esperti della Bce si attendono una media del 4,6 per cento nel 2023, livello più elevato rispetto a quello anticipato nelle proiezioni di dicembre. In seguito dovrebbe ridursi al 2,5 per cento nel 2024 e al 2,2 nel 2025, , via via che le spinte al rialzo derivanti dai passati shock dell’offerta e dalla riapertura delle attività economiche verranno meno e che la politica monetaria più restrittiva frenerà sempre più la domanda.
  • Pil: le proiezioni per la crescita nel 2023 sono state corrette al rialzo nello scenario di base, collocandosi in media all’1% per effetto sia del calo delle quotazioni energetiche, sia della maggiore tenuta dell’economia a fronte del difficile contesto internazionale. Gli esperti della BCE si attendono poi che la crescita aumenti ancora, all’1,6 per cento sia nel 2024 sia nel 2025, sostenuta dal vigore del mercato del lavoro, dal miglioramento del clima di fiducia e dalla ripresa dei redditi reali. Allo stesso tempo, il rafforzamento della crescita nel 2024 e nel 2025 risulta inferiore rispetto alle proiezioni di dicembre, di riflesso alla politica monetaria più restrittiva.

Il ribasso dell’energia, l’incognita dei mercati

Gli esperti della Bce hanno però lavorato a queste stime agli inizi di marzo, prima delle recenti tensioni emerse nei mercati finanziari, si legge nel secondo bollettino economico del 2023.

Prima di questi sviluppi, il profilo dello scenario di base per l’inflazione complessiva era già stato rivisto al ribasso, soprattutto per effetto del minore contributo delle quotazioni energetiche rispetto alle attese precedenti.

L’energia, quindi, è uno dei fattori principali a incidere sul ribasso delle stime, che poggiano anche sul fattore Cina e su quello della politica economica: “Segnali sempre più numerosi indicano che l’inflazione misurata sull’indice dei prezzi al consumo (IPC) a livello mondiale avrebbe già raggiunto il proprio valore massimo nel 2022, sebbene le pressioni sui prezzi nell’economia internazionale permangano elevate. La disinflazione è sostenuta dall’affievolirsi delle tensioni dal lato dell’offerta, dal calo dei prezzi dell’energia e dall’inasprimento sincrono della politica monetaria in tutto il mondo”.

Nonostante l’inflazione resti il timore principale di Francoforte, l’impressione (o la speranza dei mercati) è che la bilancia delle preoccupazioni dei banchieri centrali cominci leggermente a spostarsi verso il fattore crescita. Ma l’analisi è più complicata: alcuni dei rischi elencati dalla Bce possono fa aumentare l’inflazione, altri rallentare la crescita.

La stessa Bce scrive che il “protrarsi di tensioni elevate nei mercati finanziari potrebbe determinare un inasprimento superiore alle attese delle condizioni creditizie nel senso più ampio e ripercuotersi sul clima di fiducia”, ad esempio.

Dall’altro lato, “la guerra ingiustificata mossa dalla Russia all’Ucraina e alla sua popolazione continua a rappresentare un significativo rischio al ribasso per l’economia e potrebbe nuovamente spingere al rialzo i costi dei beni energetici e alimentari”.

Un ulteriore freno alla crescita nell’area dell’euro potrebbe inoltre “derivare da un eventuale indebolimento dell’economia mondiale più brusco rispetto alle attese”. La stessa ripresa della Cina è un rischio al rialzo per l’inflazione, nel caso fosse superiore alle attese.

I rischi al ribasso per l’inflazione, invece includono il protrarsi di tensioni elevate nei mercati finanziari, “che potrebbero accelerare la disinflazione. Inoltre, il calo delle quotazioni energetiche potrebbe tradursi in una ridotta pressione derivante dall’inflazione di fondo e dai salari. Un indebolimento della domanda, anche per effetto di un più marcato rallentamento del credito bancario o di una trasmissione della politica monetaria più intensa rispetto alle attese, contribuirebbe inoltre a spinte sui prezzi meno forti di quanto anticipato attualmente, soprattutto nel medio periodo”.

La Bce e le banche

Sulle banche, la Bce ha ripetuto le rassicurazioni già comunicate nel giorno dell’annuncio del rialzo dei tassi: il Consiglio direttivo monitora “con attenzione le tensioni in atto sui mercati” ed è “pronto a intervenire ove necessario per preservare la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria nell’area dell’euro. Il Consiglio direttivo ha dichiarato che il settore bancario dell’area dell’euro è dotato di buona capacità di tenuta, con solide posizioni di capitale e liquidità”.

Secondo Rocco di Ey è importante sottolineare “come gli elevati tassi di interesse si stiano traducendo in maggiore stress per il settore finanziario, come mostrato dai recenti avvenimenti relativi ad alcune istituzioni finanziarie. In alcuni casi, tali istituzioni possono essere infatti vulnerabili all’aumento dei tassi di interesse, che possono per esempio tradursi in una riduzione del valore delle posizioni obbligazionarie in portafoglio. Sebbene le vicende delle ultime settimane possano sembrare dei casi isolati, si teme comunque un possibile deterioramento della fiducia del settore privato verso il settore bancario, rappresentando tali vicende dei campanelli di allarme relativi alla potenziale debolezza del settore bancario e di quello finanziario in condizioni di mercato così volatili, incerte e con tassi di interesse elevati”.

Nell’area dell’euro, dice Rocco, “beneficiamo di una regolamentazione più stringente rispetto all’ultima crisi finanziaria e di un buon coordinamento delle istituzioni con obiettivi di vigilanza bancaria e di analisi dei rischi, ma eventi di mercato isolati pongono comunque dei rischi quando ad essere coinvolti sono istituti finanziari definiti sistemici”.

Rocco aggiunge che “al fine di massimizzare l’azione della politica monetaria, risulta fondamentale creare una sinergia con la politica fiscale. Questo è ancor più importante nei paesi dell’Eurozona, caratterizzati da una forte eterogeneità e la mancanza di un sistema fiscale unico”.

 

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