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Francesca Nanni: spettacolarizzazione tra i mali della giustizia | VIDEO

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Dalla carenza di organico alla spettacolarizzazione della giustizia: intervista a Francesca Nanni, prima donna procuratrice generale di Milano

Francesca Nanni, ligure di nascita, ha indossato la toga nel 1986. È stata magistrato inquirente a Sanremo e poi a Genova, dove ha svolto le funzioni di pubblico ministero alla locale procura distrettuale antimafia quand’era giovanissima.

Non ama i riflettori. È un magistrato che fa parlare gli atti delle sue inchieste, i provvedimenti che ha adottato per risolvere negli anni casi delicatissimi come il sequestro di persona a scopo di estorsione dell’imprenditore Claudio Marzocco, prigioniero in Aspromonte e rilasciato senza il pagamento del riscatto; l’inchiesta per corruzione che travolse l’organizzazione del Festival di Sanremo. Difficile trovare articoli su di lei, interviste, dichiarazioni. È una donna amabile, di grande cultura, eccellente giurista, tutta sostanza, forma zero.

Eppure motivi per vantarsi di una carriera eccellente ne avrebbe: si è occupata di infiltrazioni della ‘Ndrangheta in Liguria quando solo a parlare di presenze mafiose sopra Roma ti accusavano di essere un folle. Ha firmato inchieste su gioco d’azzardo, usura, riciclaggio, traffico di droga, terrorismo internazionale di matrice islamica. L’ha sempre fatto con massimo impegno e nella massima riservatezza. Francesca Nanni, quando si è insediata come prima donna procuratrice generale di Milano nel gennaio del 2021, nel primo ufficio giudiziario d’Italia, ha detto pochissime parole: “Il mio modello è Francesco Saverio Borrelli”. Lei siede oggi al posto di Borrelli. Discorsi sulle donne che hanno bucato il soffitto di cristallo non li ama, non perché non ci creda ma perché è una di quelle donne che badano alla sostanza. E infatti, alla domanda “come la chiamo, signora procuratore o procuratrice?”, risponde con un sorriso: “Signora procuratore va bene, ma se mi chiama procuratrice va bene lo stesso”. Comincia così l’intervista a Francesca Nanni, con un sorriso.

Quanto incide la carenza di personale nello smaltire l’arretrato mostruoso del contenzioso giudiziario nel nostro Paese?

Tantissimo. Tengo a sottolineare che gli uffici requirenti – quindi tutte le procure e le procure generali – sono stati esclusi dall’assegnazione di personale recentemente assunto con i fondi del Pnrr. Nonostante alcuni concorsi ordinari, noi continuiamo quindi ad avere le stesse carenze di personale che abbiamo sempre segnalato. C’è bisogno di personale di cancelleria. Le dico una cosa, che può sembrare estrema: preferisco avere una carenza nell’organico dei magistrati piuttosto che una carenza nell’organico del personale amministrativo.

I cancellieri, però, continuano ad andare in pensione. E l’età media di chi ancora lavora è molto alta.

Bisognerebbe intensificare questi concorsi, rendere questi posti un po’ più appetibili, forse anche con una maggiorazione di retribuzione.

Siamo passati dal processo analogico a quello digitale. Questa transizione sarà utile per lo smaltimento degli arretrati, per migliorare e accelerare i processi?

Ci sono cose indispensabili e utili. Non si deve pensare però che la digitalizzazione risolva tutti i problemi. Non è la panacea di tutti i mali. Sulla digitalizzazione notiamo un difetto. Molto spesso i programmi messi a nostra disposizione non sono adeguati alla complessità delle nostre procedure. Questo crea delle problematiche. Le chiamiamo false pendenze: si creano nel passaggio dei fascicoli da un ufficio all’altro. Ciclicamente dobbiamo provvedere a ripulire i ruoli e a sistemarli. Questo per quanto riguarda la qualità della digitalizzazione.

Poi c’è l’intelligenza artificiale.

Non si può sostituire il lavoro del giudice con una macchina che faccia valutazioni o addirittura assuma decisioni. Però l’intelligenza artificiale può essere molto utile nel diritto, per formare dei data lake, dai quali attingere le percentuali di accoglimento o non accoglimento di una determinata tesi. In questo caso, questo lavoro sui dati tratti dalle precedenti decisioni e sentenze in un certo luogo, ad esempio a livello distrettuale o nazionale, può essere sicuramente molto utile.

Ha mai ‘usato’ l’intelligenza artificiale?

No, ma io lavoro costantemente con almeno due o tre banche dati di procedimenti giurisdizionali dai quali attingo informazioni per chiarire il mio pensiero e orientare le mie decisioni.

È donna il presidente della Corte costituzionale, è donna il presidente della Corte di Cassazione. Questo le fa pensare che le donne in Italia hanno finalmente un ruolo importante anche nella magistratura?

Parliamo di due donne eccellenti. Questi esempi non rispecchiano però la realtà della presenza femminile negli incarichi dirigenziali, soprattutto nella magistratura requirente, dove siamo veramente poche. Se mettiamo insieme procure e procure generali arriviamo intorno al 20% della presenza femminile. Se prendiamo le procure generali siamo ancora meno. C’è molta strada da fare.

Le faccio una domanda e le chiedo schiettezza. Se ci fossero più donne nei posti di vertice della magistratura inquirente e requirente, la giustizia nel nostro Paese funzionerebbe meglio?

Penso che, se ci saranno delle donne e saranno scelte secondo corretti criteri di merito e di professionalità, le cose miglioreranno. Detto questo, ho riscontrato nella mia esperienza che normalmente le donne dirigenti o che svolgono incarichi semidirettivi, hanno un tratto di maggior concretezza. Sono portate ai ruoli organizzativi perché sono particolarmente concrete.

Le decisioni dei magistrati in genere hanno un impatto non solo sulla libertà personale di ognuno di noi, ma anche sulla vita economica e sociale del Paese. Quanto è importante la competenza tecnico-professionale dei magistrati e anche quella valoriale quando prendono decisioni?

Entrambi gli aspetti sono importanti. Non a caso, le nostre valutazioni ci portano proprio a sottolineare tutti questi profili. Profili di equilibrio, di autonomia, di indipendenza e poi tutti i profili professionali. Il nostro lavoro ha qualcosa in più e deve mantenere questa spinta emozionale in più, che è la convinzione – spero non solo illusione – di fare qualcosa per gli altri. Se tu perdi questo valore in più, perdi il senso di questo lavoro. Che poi è quello che ti fa andare avanti in mezzo a tante difficoltà, in mezzo a tante incomprensioni, in mezzo anche a un almeno parziale discredito sociale. Perché è inutile nasconderselo, in questo periodo la magistratura non gode di un particolare favore a livello di opinione pubblica.

Quanto le dispiace la spettacolarizzazione della giustizia e il fatto che molto spesso certi processi si celebrano più nei salotti televisivi che nelle aule dei tribunali?

Quando facevo il procuratore in primo grado, insieme ai miei sostituti, ci rendemmo conto che, finché il caso eclatante, l’omicidio o la rapina, aveva una limitata rilevanza mediatica, noi riuscivamo a lavorare bene. Quando si scatenava per i motivi più disparati il putiferio mediatico, il nostro lavoro diventava più difficile. Non solo il lavoro dei magistrati, ma anche quello delle forze di polizia. A volte penso che invece di porre dei limiti – che per carità ci devono essere – si dovrebbe cercare di stabilire delle modalità di comunicazione, cioè stabilire come e quando comunicare. Tenga conto che l’attività del magistrato, anche del magistrato inquirente, non è destinata a rimanere segreta. Ci sono dei momenti che devono essere segreti, poi questa attività è svolta nell’interesse pubblico e deve essere conosciuta dal pubblico. Ora c’è un effetto distorto del sistema, per cui tutta l’attenzione si concentra sulla fase delle indagini. Noto invece con dispiacere – forse è parte di quella disaffezione di cui parlavamo prima, nonché un effetto perverso della eccessiva durata dei processi – che non interessa l’esito dei processi. Nel mio piccolo, quando posso, richiamo l’attenzione sull’esito. L’opinione pubblica dovrebbe essere abituata a esigere, conoscere e valutare anche l’esito del processo.

Istituzione della Procura europea e qualità della cooperazione dei sistemi giustizia dei Paesi Ue. Qual è il suo giudizio?

La collaborazione internazionale in Europa e anche fuori dall’Europa con alcuni Paesi è ottima. E necessariamente deve essere così. Il crimine non conosce frontiere; con la facilità di trasferimento di denaro e merci, se non puntiamo sulla collaborazione internazionale siamo finiti. Detto questo, la Procura europea è un istituto di grande significato, però a mio avviso un po’ frutto di un compromesso. Per fare un passo veramente importante in avanti, punterei su una competenza magari più ristretta della Procura europea e sull’istituzione di un giudice europeo.
E forse anche su un codice, una procedura unificata. Invece così abbiamo la prima parte, le indagini, svolta da questo organismo internazionale. E poi si ripercorrono gli stessi cammini previsti dalla procedura nazionale. Questo crea un po’ uno squilibrio.

 

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