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Il calcio del futuro sarà competitivo se sarà sostenibile

Calcio e sostenibilità fino a poco tempo fa sembravano due rette parallele destinate a non incrociarsi. Negli ultimi due anni però la Uefa ha mosso i primi passi decisi per far entrare la sostenibilità nell’agenda del mondo del pallone. “Soldi vs idee: il calcio e la sostenibilità“, l’evento ospitato dall’Università Bocconi, ha affrontato un tema attualissimo e ormai improrogabile. Soldi vs idee è anche il titolo del libro di Michele Uva e Maria Luisa Colledani – relatori del convegno – un’analisi puntuale delle principali questioni che ruotano oggi attorno al campo da gioco.

“Soldi vs idee è stato un cavallo di battaglia di Arrigo Sacchi, uno che ha sempre propeso per le idee”, spiega Ariela Caglio, docente di management accounting alla Bocconi. “La sostenibilità è multidimensionale: si declina in chiave economica, sociale, ambientale. Il Financial Fair Play ha avuto un impatto positivo innegabile sui conti economici dei club”.

Gli ESG sono dei criteri usati per misurare le performance delle organizzazioni in tema di sostenibilità ambientale, sociale e di governance. Nella fattispecie, la E (environment) valuta le emissioni di CO2, l’impatto sul cambiamento climatico, l’utilizzo di energie rinnovabili, l’attenzione alla biodiversità. La S attiene invece al rispetto dei diritti umani, all’attenzione per benessere e sicurezza dei lavoratori. E poi la governance: qualità e diversità degli organi di governo, politiche di remunerazione, lotta alla corruzione. “Questi criteri – chiarisce Caglio –  sono entrati nel mondo del calcio attraverso dei ranking che valutano l’operato dei club in queste tre dimensioni”.

Un momento del convegno “Soldi vs idee: il calcio e la sostenibilità” ospitato dalla Bocconi

“Il calcio è un prodotto globale dell’industria dell’intrattenimento e in quanto tale deve competere con gli altri prodotti globali, quali gli sport americani o il cricket indiano, una delle più potenti macchine da soldi in ambito sportivo. La sfida è quella di provare a comprendere come rendere il calcio un prodotto competitivo e sostenibile nel lungo periodo”, analizza il moderatore del convegno Gianmarco Ottaviano, professore ordinario di economia della Bocconi.

“Introdurre la sostenibilità nel calcio non è stata una sfida semplice”, racconta Michele Uva, social and environmental sustainability director Uefa. “Mancava persino il termine: nel calcio si parlava solo di responsabilità sociale, che al 99% veniva declinata come attività di beneficienza. Abbiamo studiato sei mesi per mettere in campo una strategia. Abbiamo creato i target, undici policy, sette sulla parte sociale e quattro su quella ambientale”.

stadio sport calcio impatto

A quel punto è iniziato il coinvolgimento delle federazioni. “Abbiamo imposto alle federazioni di nominare un manager della sostenibilità come requisito per accedere ai fondi Uefa. Poi abbiamo coinvolto le leghe e i club. Anche le squadre – conclude Uva – dovranno avere un manager per ottenere la licenza per partecipare alle competizioni Uefa. Vogliamo diventare i leader della sostenibilità nel settore sportivo. Se l’Uefa tocca un tasto, attiva 1 miliardo di tifosi nel mondo, circa 70 milioni di praticanti in Europa, 3mila club professionistici: serve un’azione collettiva, ognuno deve fare la propria parte”.

“Il calcio moderno è iniziato negli anni ’80 quando si sono affacciati sulla scena i diritti televisivi e quando hanno iniziato a generarsi i ricavi commerciali da sponsorizzazioni. Lì c’è stato il vero boom economico”, spiega Alessandro Antonello, Ceo corporate dell’Inter. “Il calcio è un settore atipico rispetto ad altri: deve coniugare competitività sportiva e sostenibilità economica. E il rispetto dell’avversario, non solo sul campo ma anche per tutelare il sistema, affinché non ci siano club che abbiano una posizione monopolistica. Senza un avversario viene meno lo sport”.

Il presidente del Milan Paolo Scaroni sottolinea l’importanza cruciale di disporre di uno stadio di proprietà per accrescere i ricavi dei club italiani. “I club con cui competiamo in Europa hanno incassi attorno ai 100 mln, noi ci attestiamo sui 40. I 60 mancanti compromettono la nostra sostenibilità economica. È ormai una saga decennale, la questione stadio. Non vogliamo aumentare i prezzi dei settori popolari, ma avere la possibilità di avvicinare le grandi aziende che offrono posti e servizi esclusivi ai loro clienti e sono disposte a pagare cifre astronomiche. È ciò che avviene in Inghilterra da vent’anni”. 

In Italia gli introiti della Premier League sono un miraggio lontano. “Il tema dei ricavi della Premier League è importante. Incassa 7 miliardi contro i 2,8 miliardi della Serie A. Non credo che riusciremo a colmare questo gap ma ci proveremo, ovviamente i risultati che stiamo ottenendo in Champions League aiutano. Avvicinano i tifosi a vedere il nostro campionato. Nella ripartizione dei ricavi in Inghilterra i club piccoli sono trattati meglio che in Italia, ma ciò è possibile perché è più grande la torta dei ricavi. Il Newcastle dai ricavi tv ha ottenuto più di Milan e Inter: credo che sia abbastanza per dare l’idea di quanto siamo indietro”. 

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