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Internet of Things, un mercato da 8,3 mld: Giulio Salvadori ne analizza le direzioni d’innovazione

Giulio Salvadori, Direttore dell'Osservatorio Internet of Things e dell'Osservatorio Connected Car & Mobility del Politecnico di Milano
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Sempre più interconnessi e sempre più presenti nel nostro quotidiano. I cosiddetti oggetti intelligenti che abitano l’Internet of Things, o ancora “l’Internet delle Cose”, sono diventati parte integrante delle nostre giornate. Dalla città, al lavoro fino agli elettrodomestici e gli orologi che indossiamo, il mondo digitale è ormai parte della nostra vita di tutti i giorni. Ma cos’è L’internet of Things? “Quando parliamo di IOT parliamo di oggetti connessi a internet che hanno una propria identità univoca nel mondo digitale e quindi sono facilmente identificabili”, ci spiega Giulio Salvadori, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things e dell’Osservatorio Connected Car & Mobility del Politecnico di Milano. Sono oggetti e prodotti che raccolgono informazioni e le indirizzano alle aziende o alle pubbliche amministrazioni per aiutarle a prendere decisioni e mantenere la gestione del dispositivo sotto controllo. 

Grazie all’IOT posso distinguere un oggetto da un altro e capire come funziona, se ha un guasto o dove si trova. Pensiamo ad esempio a un’auto connessa che ha un incidente. Conoscendo l’accelerazione, la velocità e il senso di marcia di quel veicolo posso intervenire prontamente attivando il servizio di emergenza. Oppure, se pensiamo a un macchinario connesso nell’ambito della fabbrica 4.0, possiamo permetterci attraverso un dispositivo IOT di monitorare il consumo energetico, il numero, la quantità di pezzi prodotti lungo la catena produttiva. 

Come è cambiato l’Internet of Things in questi decenni? 

Sono state principalmente tre le direzioni di innovazione. Prima di tutto si sono evolute le reti dedicate al mondo IoT. Quelle tradizionali, come il wi-fi e le reti cellulari che c’ erano prima e che ancora oggi vengono utilizzate per connettere gli oggetti smart in casa grazie alle prese di corrente non erano adatte. Il problema con il mondo IOT si palesa infatti quando gli oggetti connessi non possono essere alimentati. Pensiamo a dei sensori per monitorare l’innesco di un incendio all’interno di un bosco. Questi magari hanno una batteria che può esaurirsi in un anno, cinque o dieci e la differenza di durata chiaramente incide sui costi, la sostituzione e il tempo di intervento dei tecnici che l’azienda che gestisce quel servizio di monitoraggio deve affrontare. Proprio per supportare lo sviluppo dell’IOT sono nate le cosiddette reti low power e nell’evoluzione del 5G c’è una branca dedicata interamente a questo aspetto. Quindi, diciamo una prima direzione di nuovo sviluppo è stata proprio l’incidenza sulla batteria di questi oggetti. Una seconda direzione di innovazione è quella dell’intelligenza artificiale al loro interno. Prima tutti gli oggetti connessi erano un po’ passivi, non avevano capacità decisionale e algoritmi che permettevano di prendere decisioni. Oggi abbiamo ad esempio termostati smart in casa che ci consigliano la temperatura ideale o macchinari in fabbrica che ci indicano il giusto mix produttivo. 

È la terza direzione?

La terza direzione di innovazione è legata all’interoperabilità degli oggetti che vengono prodotti da marchi differenti e che, ad oggi, nel 99% dei casi non comunicano tra loro. Bisogna tendere verso questo obiettivo affinché anche tra marche e produttori differenti si lavori a un linguaggio standard di riferimento. Su questo siamo un po’ più indietro, anche rispetto ad altre due direzioni innovazione. Però ci sono grandi consorzi, grandi alleanze anche livello internazionale che si stanno impegnando per questo. Consideri che per ognuna di queste direzioni non siamo arrivati ancora a piena una maturità, tanto più per questa terza.

Quali sono gli ambiti applicativi? 

Spazziamo veramente in tanti ambiti molto diversi tra loro. Da quelli più consumer, quindi legati al mondo dell’utente finale come la casa Smart, gli elettrodomestici e le videocamere connesse, i dispositivi wearable per monitorare le condizioni fisiche di una persona, dei bambini o degli animali fino, ad esempio, a tutto il tema dell’auto connessa. Nel settore dell’industria 4.0 abbiamo poi l’aspetto della fabbrica legato alla logistica che permette di tracciare la merce da quando viene prodotta fino alla destinazione. Oppure pensiamo alle città intelligenti dove si trovano servizi legati alla smart city come i semafori che comunicano con l’auto, i parcheggi intelligenti e il tema dell’illuminazione.  

Quanto vale il mercato dello IOT in Italia?

Nel 2022 si stima un valore di 8,3 miliardi di euro e una crescita del 13% rispetto al 2021. A trainarlo sono principalmente il mondo dell’auto connessa, quella dei contatori gas ed elettrici che permettono di monitorare la lettura del gas e dell’elettricità e il settore dell’agricoltura 4.0. Aumenta il suo utilizzo anche negli edifici grazie soprattutto al superbonus che gli ha dato una spinta nel 2022.

E in ambito internazionale?

Secondo una raccolta da fonti secondarie nei Paesi europei si palesa una crescita tra il 10% e il 20%. Quindi allineata a quella che sta avvenendo più o meno in Italia. Per quanto riguarda invece il numero degli oggetti connessi per persona a livello italiano invece ce ne sono 2,1 per abitante mentre a livello internazionale 1,5 per cittadino. Si deve comunque tener conto che all’interno dell’analisi coesistono Stati come la Cina e gli USA che chiaramente hanno numeri superiori rispetto a quelli registrati dal nostro Paese e anche continenti come quello africano che rappresentano numeri di gran lunga inferiori. 

E quali sono le prospettive tecnologiche per IOT?

Due le abbiamo citate prima e sono quelle dell’intelligenza artificiale e della interoperabilità. Poi c’è tutto il filone legato all’integrazione dell’IOT con la sostenibilità ambientale. Sempre più studi e sperimentazioni prevedono l’utilizzo di sensori del mondo IOT per andare a monitorare la salute dell’ambiente. Pensiamo a quelli utilizzati per rilevare il livello di scioglimento dei ghiacciai, i disboscamenti delle foreste o le specie in via di estinzione.

Altre direzioni di sviluppo si articolano anche sull’analisi dei dati. Oggi su questo aspetto siamo un po’ più indietro. In Italia, tra chi ha già avviato progetti di IOT, solo il 30% di quelle che fanno parte di grandi imprese e  il 12% delle Pmi hanno effettivamente iniziato ad analizzare i dati raccolti. Insomma, un’azienda su tre delle grandi e una su dieci tra le medie e piccole.

Ora serve fare il passo successivo e capire che cosa farci con queste informazioni, come ottimizzare consumi energetici, risparmiare i tempi, costi e come offrire un miglior livello di servizio per il cliente. 

Rispetto ai dati, come viene gestita la privacy e la loro security?

Esistono chiaramente delle normative molto importanti in vigore. Una è nel lato privacy. Il CDR (Corporate Digital Responsibility) obbliga le aziende che sviluppano prodotti connessi a capire già in fase di progettazione quali saranno le finalità con cui verranno utilizzati perché, per gestirne i dati, si dovranno chiedere i giusti consensi al consumatore. Nel mondo delll’Internet of Things però è molto più complesso rispetto al mondo tradizionale capire in principio quali saranno queste finalità perché è facile che ci si accorga solo mentre si sviluppa un prodotto che potrebbe essere utilizzato anche per qualcosa in più. 

Lato invece cybersecurity siamo un po’ più di un più indietro. 

La normativa a livello europeo è in fase di definizione e si chiama Cyber Resilience Act. È una normativa che prevede di andare a valutare gli impatti possibili che potrebbero avvenire in un sistema connesso, dovuti a eventuali attacchi intenzionali ma devo dire che le aziende si stanno già muovendo. Il 75% delle grandi imprese ha già studiato e valutato i possibili attacchi hacker  e le possibili risposte dei propri sistemi, mentre siamo sul cinquanta percento delle piccole e medie imprese che ha già verificato questo.

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