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La Sfida: mondo multipolare e aziende italiane

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Il 17 aprile Christine Lagarde, presidenta della Banca Centrale Europea, ha affermato che un mondo molto più frammentato sarà il futuro.  Il concetto di multipolarismo (“mondo frammentato” secondo Miss Lagarde) è molto dibattuto di recente. Quando è finita l’epoca del bipolarismo (Usa-Russia), abbiamo avuto diverse decadi di Pax Americana. Nato, Fondo Monetario, World Bank e WTO per circa 40 anni hanno manifestato la loro visione, spesso sinergica, in tutto il mondo. 

L’emergere della potenza cinese, favorita dall’America, e il ritorno sulla scena della Russia, erede dell’Unione Sovietica, hanno reso il mondo più ricco di “sfumature”. Queste sfumature si sono consolidate in centri di potere che oggi influenzano differenti parti del mondo. Di qui la definizione di multipolarità menzionata dalla presidenta della Bce. 

La multipolarità è stata accelerata dal Covid: dallo sfilacciamento delle filiere di fornitori agli 7-8 trilioni di euro-dollari rigurgitati nel sistema mondiale in poco più di 2 anni. La crisi ucraina ha ulteriormente estremizzato i blocchi: Occidente a favore di Zelensky, Russia contro, Cina e resto del mondo (circa 6 miliardi) oscillanti a seconda degli interessi.

Questa multipolarità è stata confermata anche da Agustín Carstens, general manager della Bank for International Settlements. Egli ha spiegato che ci sono due temi che interessano l’ordine mondiale: la (in)stabilità di aspetti macro economici e il mutare di intere filiere di fornitori.

Questi concetti possono apparire lontani dall’uomo della strada. Tuttavia, come il Covid e l’Ucraina ci hanno insegnato in meno di 3 anni, il signor Mario Rossi può anche non interessarsi alla geopolitica… ma la geopolitica si interesserà a lui, più prima che poi. 

Il mondo sta cambiando

I BRICs+, lo SCO, l’AIIB sono realtà che rappresentano il potere non occidentale. Difficile considerarle antagoniste dei classici FMI, WB, Nato e WTO ma sono realtà che stanno espandendosi su tutto il globo. 

Oggi si parla di un futuro multipolare dove alcune delle sicurezze con cui noi occidentali siamo cresciuti potrebbero svanire. 

Il dollaro era la valuta con cui si pagavano tutte le materie prime. Diverse nazioni, negli ultimi anni, hanno deciso di pagare le materie prime con altre valute: Yuan cinese, Euro e persino lo Scellino kenyota. 

L’equilibrio energetico sta mutando: India e Cina sono divenuti i maggiori compratori di petrolio e gas russi. L’Unione Europea, a causa della guerra economica contro la Russia, e obbligata dagli alleati americani, ha ridotto i suoi acquisti di energia russa, con la speranza di azzerarli entro un paio di anni. 

Lo scenario digitale è già mutato. La sovranità digitale cinese in Africa è un dato di fatto e, combinata con la massiccia presenza di capitali e aziende cinese nel continente, potrebbe portare un radicale ri-posizionamento dell’Africa nei confronti dell’Unione Europa, che guarda al continente nero per i futuri approvvigionamenti energetici. 

Non ultimo la recente tregua siglata tra la repubblica iraniana e la monarchia saudita, evento realizzato dalla Cina, ha ridefinito l’equilibrio del potere in tutto il medio oriente. 

Questi eventi imporranno, alle aziende italiane ed europee, una completa rivalutazione delle loro strategie di approvvigionamento di materie prime (energetiche o meno) e mercati dove vendere i propri prodotti o servizi. 

La geopolitica (ri)entra in fabbrica

“La prima conseguenza di questa nuova multipolarità è che, se si vuole stare sui mercati internazionali, non si può più fare industria senza sapere ciò che succede nel mondo.” Mi spiega Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia.  

“La geopolitica entra in fabbrica, per dirla con uno slogan. La capacità di leggere gli sviluppi internazionali consente alle aziende di limitare eventuali danni derivanti dalla fine dello status quo unipolare ma dà anche la possibilità agli imprenditori di cogliere le opportunità dalle crisi che ne derivano. Ciò che sta accadendo alle catene del valore ne è un esempio: come reazione ai blocchi produttivi imposti durante l’emergenza sanitaria prima, e alla guerra tra Russia e Ucraina poi, le catene del valore si sono accorciate, si tende a preferire la filiera corta, attraverso il nearshoring, al fine di limitare i danni dovuti agli shock esterni. Le aziende dovranno fare i conti con il ritorno del protezionismo, delle sanzioni come armi politiche e l’accelerazione della de-dollarizzazione dell’economia.”

Una visione simile è condivisa da Michele Lazzarini, responsabile delle Operations Finanza di una primaria banca nazionale. “E’ uno scenario in continua trasformazione lontano dall’aver già raggiunto la stabilità. Una guerra ai confini dell’Europa, una contrapposizione tra i cd. grandi della terra, la posizione opportunistica di alcuni Paesi, l’apparente ridisegno delle alleanze nei continenti asiatico e africano hanno mutato le possibilità ed il costo di approvvigionamento di materie prime e fonti energetiche delle aziende europee. In alcuni casi, hanno probabilmente mutato anche le possibilità di accesso a determinati mercati di sbocco dei prodotti.”

Il tema delle catene del valore è familiare anche a Andrea Pietrini, chairman di Yourgroup. 

“Monitoriamo con molta attenzione il fenomeno di mutamento delle filiere di valore”. Conferma. “Prima della pandemia, il fenomeno delle filiere era più o meno stabile. I nostri manager, sia direttori finanziari che ceo, erano impegnati su differenti dossier aziendali, tuttavia non c’erano urgenze particolari in merito a fornitori strategici o mercati dove vendere prodotti. Tutto è cambiato con il Covid: abbiamo ricevuto molte richieste da nuovi clienti per manager esperti di crisis management, finanza gestionale, valorizzazione di filiere o passaggio generazionale. Tutti elementi che connotano un fermento creativo, ma anche emergenziale, in molte aziende familiari che sono il nostro cliente tipo”. 

Cercasi Europa

La crisi ucraina ha confermato che le nazioni perseguono i propri interessi (salvo forse quelle europee). Occidente Vs Russia si è tradotto in due scenari tra loro distinti e, per certi versi, legati. Gli Usa, come spiegava Friedman di Stratfor nel 2015, hanno distanziato l’Europa dalle economiche materie prime russe: gas, petrolio, nickel, altri metalli industriali, legnami, tutte materie acquistate a prezzi convenienti dalla Russia che erano linfa vitale di  nazioni manufatturie come l’Italia. 

Addirittura il giornale europeo Politico, da sempre pro-Usa, è giunto a chiedersi perché l’America stessero facendo una guerra economica all’Europa, attraendo aziende europee con progetti e investimenti industriali su suolo a stelle e strisce. Cosa dovrebbero fare le istituzioni europee lo suggerisce il presidente di Confindustria Lombardia.  

“Oltre alla necessaria capacità di leggere il contesto, l’imprenditore ha però sempre bisogno di un indirizzo da parte delle istituzioni.” Chiarisce Buzzella. “Come imprenditori italiani ed europei ci troviamo in una scomoda posizione. Uno degli effetti di questa multipolarità è l’aver fatto emergere tutta la debolezza delle posizioni europee. L’Unione Europea assiste passivamente agli sviluppi tecnologici e alle partite industriali che si giocano tra Stati Uniti e Asia, limitandosi a battaglie ideologiche come il green e l’elettrico a tutti i costi, per sé un ossimoro se si considerano i costi ambientali legati alla produzione e allo smaltimento di batterie. Le istituzioni UE dovrebbero spiegare a cittadini e imprenditori europei come intendono gestire, oggi, il taglio di 1 milione di barili al giorno deciso dall’OPEC e questo mentre le industrie energivore sono vittima di dumping energetico sia all’interno dei confini comunitari che nei confronti dei competitors americani o cinesi.” 

Governance aziendale ne abbiamo? 

Coperture finanziarie, operazioni straordinarie, valute per pagare beni o servizi nel mondo. La governance delle aziende familiari, la tipologia di aziende italiane più diffusa, è sotto stress. La gestione di un’impresa in un contesto mediamente prevedibile è l’ambiente ideale per una governance familiare: ogni membro del board si è ricavato nel tempo le sue posizioni e specialità. Tuttavia le novità portano sfide a cui non si può rispondere con il classico “abbiamo sempre fatto così”. 

Conviene Lazzarini. “In uno scenario fortemente instabile, la capacità di prevedere e gestire i rischi diventa cruciale. Esistono strumenti finanziari che consentono di gestire il costo delle materie prime, delle fonti energetiche, delle diverse divise con cui gli approvvigionamenti vengono pagati. Sono strumenti accessibili con relativa facilità, ma il cui utilizzo richiede consapevolezza, cautela e l’assistenza di figure professionali. 

Altro tema è quello dimensionale. Potrebbe aver senso, per le imprese, presentarsi su mercati “incerti” con un peso specifico “maggiore”. Senza arrivare ad ipotizzare operazioni di fusione aziendale, o modifica della size media delle imprese, è possibile pensare ad alleanze per condividere con i competitor costi relativi ad attività ancillari/non distintive sul piano competitivo, oppure i costi di approvvigionamento di determinati materiali (economie di scala).” 

L’incertezza e l’assistenza di figure professionali esterne è un tema caro a Pietrini. “Le imprese familiari sono la spina dorsale dell’economia italiana. Tuttavia sono aziende che, durante momenti di grandi cambiamenti, possono essere fragili: ogni membro della famiglia ha le sue competenze, tuttavia l’acquisizione di nuove competenze richiede tempo. In questo senso i nostri manager vengono spesso arruolati come una soluzione tampone: lo stesso concetto di frazionale implica un’attività mirata, su progetti specifici. Le operazioni speciali in una azienda familiare, penso alle fusioni, acquisizioni, quotazioni in borsa etc. sono un momento altamente emotivo per i membri della famiglia: si mette in discussione il futuro dell’azienda, il futuro in cui tutti i parenti del fondatore/trice devono comprendere che ruolo avranno, che sforzi dovranno fare. In questi momenti un manager frazionale esterno, con una visione distaccata ma di amplio respiro, può fare la differenza”. 

Il cambiamento in atto è confermato anche da Buzzella. “Stiamo assistendo alla fine di un mondo. Comprendere il contesto nel quale ci muoviamo significa, per le aziende italiane minimizzare i rischi ma anche guardare alle opportunità. L’industria italiana dell’automotive, per esempio, in questo momento assiste impotente ai concorrenti extra europei che investono in nuove tecnologie, supportati da ingenti piani statali di finanziamento industriale, mentre nei confini UE deve combattere per la propria sopravvivenza minacciata da regole e divieti che ci condanneranno alla subalternità.”

Offshoring Vs Nearshoring

Il concetto di offshoring è noto: chiudere gli impianti in Italia per andare a produrre in nazioni dove il costo del lavoro è più basso. L’intero Occidente si è orientato in questo senso nelle ultime decadi. Poi le cose sono mutate: Covid e Ucraina hanno ricordato a tutti che filiere di produzione troppo geograficamente distanti sono un problema. A questo si aggiunge la crescente multipolarità, dove Cina e gli stati nella sua area di influenza, stanno rivedendo le priorità produttive, introducendo norme e regole che possono far crescere il benessere dei propri lavoratori, a danno del costo del lavoro che andrà ad aumentare. 

Il reshoring è la nuova tendenza: riportare le produzioni occidentali “a casa”. Un crescente  numero di aziende occidentali stanno riportando in patria, o in aree/stati amici (come il Messico) parte della loro filiera, specialmente i segmenti più strategici. 

Sul tema Lazzarini ha le idee chiare. “Un’ulteriore riflessione può essere legata alla convenienza (o meno) di continuare ad usufruire della produzione delocalizzata, in paesi a basso costo della manodopera, di semilavorati o prodotti finiti. Nel nuovo scenario, tale scelta continuerà a rivelarsi conveniente? Oppure i costi approvvigionamento di materie prime/fonti energetiche, o le oscillazioni delle divise in cui i Paesi esportatori di materie prime/energia chiederanno di essere pagati, renderanno non più conveniente tale scelta? È possibile pensare ad una “re-internalizzazione” di determinate attività produttive, giustificata dai ragionamenti ora accennati? Oppure cambierà la “mappa geografica” dei Paesi a basso costo della manodopera per cui è opportuna una ri-localizzazione di determinate attività (e, nel caso, con quali profili di costo/rischio/beneficio)?” Conclude interrogativo Lazzarini. 

Su reshoring anche Buzzella ha una visione strutturata. “Un’opportunità di sviluppo importante alla luce della riorganizzazione in atto a livello globale dovrebbe essere, per l’Italia, il recupero di una centralità nel Mediterraneo. E qui torniamo al concetto di nearshoring. L’influenza e l’equilibrio che avevamo raggiunto nei decenni passati, e che aveva garantito pace e stabilità nell’intera area, si è interrotta con la caduta del Presidente libico Gheddafi. L’Italia, con le sue relazioni politiche, energetiche e industriali, fu la principale vittima collaterale dell’avventura bellica del 2011. Il sistema Italia e la nostra industria ha interesse a supportare il nearshoring, sia per favorire le rotte commerciali, sia per l’approvvigionamento energetico e di capitale umano.” Conclude Buzzella.

Il capitale umano, la conoscenza acquisita negli anni, sul campo, è una risorsa estremamente preziosa per le Pmi. I manager di grandi aziende che hanno una visione d’insieme non sono un numero infinito. Molte imprese familiari non possono permettersi i costi di avere il Cfo di una multinazionale a tempo indeterminato. In tal senso Pietrini ha le idee chiare. “Investire in risorse umane di valore è sempre sfidante. Ancor di più in un momento come questo dove I costi sono sicuri ma i ritorni di investimento ancora da comprendere a pieno. Il reshoring è cosa nuova: per una multinazionale è un fenomeno comprensibile, i cui processi sono integrabili in una strategia globali. Quando parliamo di una media impresa, a guida familiare, il reshoring significa lo spostamento quasi totale di tutti gli assetti produttivi. Significa aprire da zero una sede operativa in un paese amico oppure nella stessa Italia. Uno sforzo non solo economici ma anche intellettuale. Lo stress generato da una strategia del genere, per quanto comprensibile in via teorica, spesso può surclassare le energie che il nucleo familiare che dirige l’azienda può disporre. In tal senso i fractional, provenendo da ambienti altamente stressanti come quelli delle grandi aziende, hanno la capacità di organizzare e gestire il cambiamento in modo sinergico rispetto alla famiglia a guida dell’azienda”. Conclude Pietrini. 

Ci sono ancora molte variabili che devono essere comprese. Il termine multipolare non deve spingere a considerare un mondo con alcuni poli tra di loro slegati e fortificati. A differenza della guerra fredda e il mondo bipolare dell’epoca, un mondo multipolare sarà molto più fluido, con alleanze che sfumano tra un polo e l’altro. Uno scenario che vedrà le aziende italiane affrontare sfide complesse e grandi opportunità, se si saprà giocare nel modo opportuno.

@enricoverga

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