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L’etichettatura irlandese del vino? Una cosa insensata che mette sotto attacco la filiera vitivinicola italiana

Il ministro irlandese della Salute, Stephen Donnelly, ha varato la legge: etichettatura degli alcolici con avvertenze sanitarie sulla nocività. Il modello è quello dei pacchetti di sigarette. Gli irlandesi troveranno queste avvertenze anche sull’etichetta del vino. D’ora in avanti un bicchiere di vino non sarà, per la legge irlandese, diverso da un pacchetto di sigarette. Abbiamo semplificato, ma il ragionamento un po’ astruso degli irlandesi è questo.

Ed è per questa ragione che esponenti delle istituzioni, giornalisti, medici, avvocati e comunicatori italiani si sono riuniti a Roma, presso Palazzo Theodoli-Bianchelli, per partecipare all’evento “Health warnings: la filiera del vino sotto attacco”.

Il dibattito è stato organizzato dal vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio e dall’onorevole Andrea di Giuseppe, in collaborazione con il magazine Oscarwine. A moderare il dibattito Mariapia Ebreo, giornalista di Fortune Italia.

Un momento dell’evento “Health warnings: la filiera del vino sotto attacco”, moderato dalla giornalista Mariapia Ebreo di Fortune Italia

L’incontro è stato l’occasione per riflettere da un lato sull’aspetto medico del vino. Fa bene? Fa male? Dall’altro sulle possibili conseguenze legali della scelta irlandese nell’ambito del diritto d’autore, i danni economici e d’immagine per i produttori di vino, le ricadute negative su tutti quei professionisti che si occupano di creatività e brand identity e, non ultimi, su chi stampa le etichette.

“Bere troppo vino fa male? Sì. Ma quello che l’Irlanda sta realizzando, con la complicità silenziosa-omissiva della Commissione europea”, ha commentato il senatore Centinaio “è un vero attacco commerciale ad una delle più importanti filiere economiche dell’Italia, mascherato dal nobile intento di tutelare la salute. È un tentativo irresponsabile che colpisce non solo il settore vitivinicolo ma anche tutto l’indotto che lo circonda”.

Il problema è che il vino non può essere paragonato ai superalcolici consumati maggiormente in Nord Europa. Basti pensare che nella top ten dei Paesi maggiori consumatori di alcol stilata da ‘Our World Data’ l’Italia non compare. Mentre l’Irlanda è al settimo posto consumando mediamente 12,88 litri all’anno. “Siamo Paesi che hanno culture diverse. Un bicchiere di vino non è un bicchiere di whisky”, ha sottolineato il senatore.

Pensiero ripreso dal deputato Andrea Di Giuseppe, che ha aggiunto: “Il silenzio dell’Europa è un silenzio-assenso. Il vino rischia di diventare un cavallo di Troia, che cosa verrà attaccato poi? La pasta? Senza una presa di posizione importante da parte dei consumatori italiani su beni e servizi che arrivano dall’Irlanda, l’azione del nostro Governo sarà certamente forte, ma non come quella che potrebbe dare la gente italiana. Mi preme dirlo perché ci aspettiamo sempre la soluzione a braccia conserte da altri, dimenticando che il grande potere resta ai consumatori“, ha precisato Di Giuseppe. L’invito ai consumatori italiani è a non acquistare beni e servizi irlandesi per ridurre le autorità di questo Paese a più miti consigli sulla etichettatura di vino. Che cos’è, boicottaggio? Eccessivo, forse. Diciamo che è qualcosa che gli assomiglia.

Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia

La filiera è in pericolo?

La filiera del vino italiano vale 31,3 mld di euro. E la struttura produttiva del comparto vitivinicolo italiano conta più di 300 mila operatori professionali. Livio Buffo, Ceo di Cenacoli e fondatore di Oscarwine, ha evidenziato “l’errore di comunicazione” nella campagna irlandese. “Non sappiamo ancora in che modo l’Irlanda farà le sue etichette. Probabilmente ci troveremo di fronte a una situazione molto simile a quella dei pacchetti di sigarette, magari con foto di fegati rovinati”. Buffo, da buon comunicatore provoca, ma quello che dice non è lontano dalla realtà.

Proprio il precedente delle sigarette però, ha dimostrato che questo tipo di comunicazione è fallimentare. “Servono politiche per insegnare il consumo consapevole. Il proibizionismo americano, la legge asciutta russa e altri casi ci insegnano che i divieti non portano risultati e anzi, alimentano altri problemi come la criminalità. Bisogna puntare, invece, sull’educazione dei giovani“, è il suggerimento di Buffo.

Da sinistra: Gian Marco Centinaio e Livio Buffo, Ceo Cenacoli e fondatore oscarwine

La questione della brand identity

Tra classicismo e innovazione, il branding visivo del vino oggi si concentra proprio sulla sua etichetta. Lo sa bene Pasquale Diaferia, Creative chairman di Special Team.

Diaferia ha lavorato per anni con marchi italiani eccellenze all’estero come Barilla, e sebbene abbia chiaro che “un prodotto non è una marca”, è ben conscio di quanto una confezione possa essere decisiva e l’etichetta sia in grado di comunicare l’identità dell’azienda conquistando spazio sul mercato.

“Se dico ‘Coca-Cola’ a tutti vengono in mente i colori e il logo della Coca-Cola. Stiamo parlando di qualcosa di fortemente identitario e quindi di fortemente economico. Stessa cosa per bottiglie come il Campari Bitter, l’Amaretto Disaronno. Il valore della brand identity è tutto qui. Intervenire sulle etichette significa danneggiare una politica che i produttori, grandi e piccoli, hanno affidato allo strumento di comunicazione e branding più usato ed efficiente in termini estetici, retorici e di marketing“.

Secondo Diaferia, ‘migliorare’ le etichette con particolari diciture sarebbe possibile. In Francia ad esempio, è stato adottato un piccolo promemoria sulle confezioni di alcuni prodotti: “Mangia meglio, muoviti di più”.

“Andrebbe fatto lo stesso, senza demonizzare nulla”. Ciò che va fatto, ha ribadito Diaferia, è informare.

Un bicchiere di vino al giorno

È credenza popolare che un bicchiere di vino al giorno aiuterebbe a proteggere il cuore. Eppure mai nessun ricercatore ha spiegato con esattezza in che modo questo processo possa avvenire.

Sul tema medico è intervenuto Giacomo Mangiaracina, presidente dell’Agenzia nazionale per la prevenzione. “Più che prevenzione, che mi sembra una parola piuttosto abusata, a me piace ricordare come un rischio o un danno si possano ragionevolmente ridurre. La scienza della prevenzione deve armonizzarsi con la scienza della promozione“.

“La scienza può apparire spietata e nemica perché non ammette opinioni personali, deve dire la verità, andare incontro a quella che noi chiamiamo ‘evidenza scientifica’“, ha detto Mangiaracina. “E in questo caso l’evidenza è che l’etanolo, contenuto nel vino, si configura come cancerogeno certo“.

Come sempre occorre però distinguere tra qualità e quantità. “Non esiste differenza tra le diverse bevande: tutti gli alcolici sono un fattore di rischio”, ha spiegato il professore. “A far veleno è la dose. E secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, non è possibile stabilire la dose minima di sicurezza assoluta, per cui va rilasciato tutto al nostro buon senso”.

Le cifre su consumo regolare di bevande alcoliche e ‘binge drinking’ giovanile sono in aumento. L’infortunistica stradale (dati Istat) si conferma prima causa di morte giovanile in fascia di età 15-29 anni, il 35% del totale, più di suicidi (12%) e tumori (13%). E i decessi in Italia attribuibili al bere alcolico superano i 17.000 per anno.

“Ovviamente questo desta preoccupazioni. L’obiettivo principale delle politiche della salute dovrebbe essere quello di tutelare i giovani dalle pressioni sociali e promozionali che incentivano il consumo di bevande alcoliche, come anche l’adozione di modelli di vita che prevedano l’assunzione di nicotina e altre droghe. L’adozione di comportamenti responsabili inoltre, è finalizzato anche alla prevenzione della cronicità che determina una spesa sanitaria elevata. È importante sedersi a questo tavolo e parlarne, ma è ancor più importante che certi discorsi escano dalle sale e arrivino dove devono, ovvero ai cittadini”, è stata la conclusione di Mangiaracina.

La tutela del diritto d’autore

Parafrasando Alexandre Dumas, l’avvocato Francesca Boschiero dello Studio F-Legal ha detto: “Il vino è la parte intellettuale di un pasto”. Il binomio tra vino e arte ben si lega al tema della proprietà intellettuale, discussa da Boschiero all’interno del tavolo.

“Credo che il tema della proprietà intellettuale nel settore vitivinicolo sia particolarmente interessante e ancora poco esplorato. Da una parte abbiamo i marchi, dall’altra il diritto d’autore che riguarda la tutela di tutti gli elementi creativi: dai testi alla brochure. Il marchio e il diritto d’autore sono un investimento. Sono aspetti che devono essere oggetto di contrattualistica. Ed è chiaro che allora occorrano delle tutele”.

Rispetto all’etichettatura irlandese, la proprietà intellettuale secondo Boschiero è centrale perché si misura con un contesto che implica la necessità di un bilanciamento tra interessi come quello del diritto alla salute e quello della proprietà intellettuale. Il dato ultimo dell’Oms indica che circa un quarto dei Paesi aderenti all’Oms ha una legge sull’etichetta che però riguarda solo i danni a breve termine. “Ci muoviamo su un contesto internazionale in cui bisogna verificare e capire fino a che punto possono essere imposte queste etichettature dal legislatore senza andare a interferire nell’esercizio col diritto di proprietà intellettuale”.

Il metodo irlandese è “semplicistico”

A rappresentare i produttori, all’evento era presente Lorenzo Cesconi, presidente della Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti. “Noi vignaioli non sottovalutiamo e non sottovaluteremo mai la necessità di riflettere con attenzione sul complesso intreccio tra alcol e salute. Per questo motivo crediamo che le avvertenze sanitarie in etichetta, così come proposte dal governo irlandese, non siano la risposta giusta, perché semplicistiche e inefficaci“.

Gli obiettivi di salute pubblica, ha detto Cesconi “sono condivisibili”. Ma le soluzioni non possono passare da proposte del genere. “I vini dei vignaioli sono per definizione orientati a essere consumati in modo misurato e consapevole. Dietro ogni bottiglia c’è un territorio curato e mantenuto, e dentro ogni bottiglia ci sono secoli di cultura materiale e immateriale. Altre bevande alcoliche, al contrario, sono realizzate per il semplice obiettivo dell’ebrezza, facile e a basso costo. Purtroppo sono quelle il cui consumo è incentivato. Partiamo da qui, risolviamo questo paradosso e raggiungeremo gli obiettivi di promozione della salute, di conservazione del paesaggio storico e di tutela del territorio, valorizzando una cultura millenaria”.

Inclusività ed etichette consapevoli

A Pietro Monti, vignaiolo nelle Langhe, titolare della azienda agricola Roccasanta e consigliere Fivi è stato affidato l’intervento conclusivo. Monti ha perso la vista in seguito ad un incidente. Ha ricordato la sua battaglia e i suoi progetti per lo sviluppo di etichette per non vedenti.

“Non vengo da una famiglia di vignaioli e quella del vino per me è sempre stata una passione. Della mia esperienza voglio portare sicuramente il concetto che anche un cieco può essere un imprenditore. Ma anche che nessuna categoria deve essere trattata diversamente dalla società. Perché un non vedente non deve sapere cosa sta acquistando?”

L’esempio delle etichette in braille e con QR Code di Monti è indice di una maggiore inclusività. Ma l’inclusività deve essere rivolta non solo a una persona con disabilità. “Anche a un consumatore poco consapevole”, ha detto l’imprenditore. “È importante che le etichette siano leggibili e chiare per tutti, senza allarmismi“.

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