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Margiotta rieletto Segretario della Confsal: PNRR, lavoro, formazione e sicurezza temi cardine di un sindacato non politicizzato

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“La mia riconferma come Segretario generale della Confsal, la Confederazione generale dei sindacati autonomi dei lavoratori, è stata accolta dal Congresso con grande apprezzamento per il lavoro svolto in questi anni. Sono estremamente felice di essere stato rieletto all’unanimità”, commenta Angelo Raffaele Margiotta in un’intervista a Fortune Italia. Con determinazione, Margiotta traccia la linea da seguire e sottolinea ciò che differenzia la sua organizzazione sindacale da altre: “La nostra approccio nei confronti del governo consiste nell’affrontare le questioni di merito senza schierarci a favore o contro basandoci sul colore politico. Questo ci permetterà di creare un fronte del dialogo”. Durante l’intervista, abbiamo raccolto le sue proposte in materia di lavoro, formazione, sviluppo del Sud e Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Segretario, qual è oggi il ruolo che la Confsal intende giocare nei rapporti con la politica? 

Confsal oggi ha trovato un riconoscimento sia con una maggiore rappresentanza al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, sia con l’ammissione ai tavoli negoziali ai più alti livelli, ai ministeri e a Palazzo Chigi. Noi intendiamo vivere questa stagione di agibilità negoziale formando quello che a me piace definire il ‘fronte del dialogo’, un sindacato non ideologico che non contrasta o favorisce un Governo in base al suo colore politico, ma si attiene al merito dei provvedimenti. Un dialogo che, se necessario, sarà anche duro e di opposizione. 

Come procede l’interlocuzione con l’attuale Governo?

Il Governo ha aperto il confronto con le parti sociali in un’ottica pluralista, ammettendo cioè ai tavoli tutte le confederazioni rappresentative e non soltanto le federazioni riunite nel cosiddetto ‘patto triplice’. Così facendo ha ripudiato quella logica ad escludendum che veniva imposta alla propria parte politica dai sindacati politicizzati. Su questo fronte la Confsal ha registrato una comunanza di visione con la Cisl: siamo entrambi nel ‘club del diavolo’. 

Una visione comune che abbraccia quali aspetti?

Anzitutto il metodo, l’apertura al dialogo col Governo. Ieri, ad esempio, c’è stato un confronto al ministero del Lavoro sulla riforma previdenziale. La Confsal, così come la Cisl, ha discusso entrando nel merito. Abbiamo posto la questione indicando le misure che riteniamo necessarie per rendere il calcolo retributivo più equo per i lavoratori, attraverso una rivalutazione dei contributi versati ogni anno. Questo è un esempio.

Può farmene un altro? 

Parliamo di sicurezza sul lavoro. Abbiamo portato una proposta che prevede dieci punti specifici per arrivare a quella che noi definiamo la prevenzione partecipata. Questo decalogo è stato sottoscritto dal Presidente della Commissione Lavoro della Camera, un pacchetto che nasce da un profondo studio e un’analisi attenta.

Sono tempi in cui si parla moltissimo di Pnrr. Quali potranno essere, a suo avviso, le ricadute occupazionali di questi interventi?

Buona parte dei fondi andrà restituita. La nostra preoccupazione è che il Piano, se non avrà un impatto sul tessuto economico con la creazione di nuova occupazione, potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang. A noi preoccupa soprattutto il Sud, dove i tempi dell’amministrazione sono più lenti rispetto al resto del Paese. Faccio un appello alle istituzioni del Mezzogiorno, affinché con i loro ritardi non provochino danni irreparabili. Gli enti locali che non dispongono di tutte le capacità professionali per assicurare una messa a terra efficace dei progetti, si consorzino. Costituiscano cioè dei consorzi ai quali affidare il compito di attuare alcune delle fasi, comuni a tutti. Poi ognuno è responsabile delle quote destinate ai propri territori, che devono essere impiegate nel miglior modo possibile.  

A proposito di Mezzogiorno. Come si arresta l’emorragia dei giovani del Sud che emigrano in cerca di migliori opportunità lavorative? 

Negli ultimi 7-8 anni il Sud ha perso circa mezzo milione di giovani. Si tratta del potenziale umano che doveva diventare capitale umano, e che, insieme al progetto industriale, rappresenta uno dei due pilastri per portare avanti qualsiasi discorso di sviluppo economico. Prendiamo atto che il divario, anziché ridursi, continua ad aumentare. Ci abbiamo messo anni per individuare le ZES, le zone economiche speciali. La nostra proposta è di fare di tutto il Mezzogiorno un’unica zona di sviluppo privilegiato.   

Una proposta forte. 

Noi stiamo dicendo a tutti i tavoli: privilegiate l’economia debole. Il mondo economico non è tutto uguale. C’è un 90% di economia forte che regge il mercato e la contrattazione. E poi c’è un’economia debole, formata da quei settori produttivi e quelle classi dimensionali di aziende che non dispongono di una redditività sufficiente nemmeno a garantire salari dignitosi. Proponiamo che le risorse della fiscalità vadano a sostenere quell’economia debole che pure dà lavoro a 3-4 milioni di persone.

Un’altro tema centrale è quello della formazione, col crescente mismatch tra domanda e offerta di lavoro. 

Abbiamo centinaia di migliaia di posti di lavoro specialistici, mentre il lato dell’offerta è caratterizzato da profili con competenze generiche. Manca una ‘fabbrica delle competenze’, un sistema della formazione. Abbiamo tanti sottosistemi che non fanno sistema. L’istruzione tecnica superiore, un segmento con un alto tasso di professionalizzazione, è qualcosa di insignificante. Il numero di giovani che seguono questi percorsi è irrisorio rispetto a quello di altri Paesi europei. Bisogna fortificare l’istruzione tecnica superiore, raccordare la formazione professionale regionale e chiedere uno sforzo al mondo accademico che oggi si limita a una trasposizione didattica del sapere scientifico, e non del sapere reale, che corrisponde a ciò che serve nel mondo del lavoro. L’università dà quel che sa e non quel che serve, rivelandosi un grande inganno sociale per i giovani che la frequentano.

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