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Nel cervello di un miliardario, tra narcisismo e disturbi di personalità

F. Scott Fitzgerald notò che i ricchi sono “diversi da me e da voi“. E in effetti, alcune delle recenti buffonate dei super-ricchi sono state per così dire “diverse”. C’è l’assunzione di rischi estremi: miliardari che si lanciano nello spazio, che sfrecciano in auto da corsa o che si immergono nelle profondità marine più oscure in discutibili tour turistici. Poi c’è l’apparente immaturità: Elon Musk, ad esempio, l’uomo più ricco del mondo, potrebbe fare del bene al mondo o semplicemente crogiolarsi al sole sorseggiando piña colada, ma invece passa le sue giornate a discutere online di teorie cospirative selvagge o a sfidare un collega plutocrate in un combattimento in gabbia.

Che cosa rende tanto instabile una persona che ha la capacità di accumulare una fortuna così spettacolare? C’è qualcosa in quel mucchio di milioni o miliardi che porta una persona alla follia? Oppure chi ha il fegato e la creatività per guadagnare miliardi è più probabile che sia un po’ strano?

Si tratta di domande che hanno lasciato perplessi gli scienziati di varie discipline per molti anni – dopotutto, i ricchissimi di oggi (e sono per lo più uomini) non sono certo i primi a mostrare un comportamento sconcertante, che a volte sembra sfociare nella malattia mentale. Howard Hughes accumulava la sua urina; Michael Jackson ha speso milioni per far vivere giraffe, alligatori, un orso, elefanti e scimmie nel suo ranch e nello zoo privato; Steve Jobs ha mangiato solo carote e mele per settimane, nonostante la sua pelle fosse diventata arancione. I monarchi più ricchi, da Giorgio III d’Inghilterra all’imperatore romano Caligola, erano ampiamente considerati “pazzi”.

La ricerca delle origini di questi impulsi è stata oggetto di studio della psicologia e della neurologia. Esistono psicologi della ricchezza che analizzano i super ricchi e li aiutano a gestire i loro sensi di colpa e le loro angosce. La neuroeconomia, invece, cerca di fare un passo avanti rispetto a Freud e Jung, combinando neuroscienze, scienze cognitive, scienze comportamentali e psicologia sociale per mettere a nudo i meccanismi della mente dei miliardari.

Ma quando si tratta di spiegare lo strano comportamento di alcuni di questi individui, il meglio che questi studi hanno saputo proporre è stata una serie di osservazioni poco sorprendenti. C’era davvero bisogno di un professionista che ci dicesse che chi ha un patrimonio superiore ai 25 mln di dollari è “concentrato più su se stesso che sugli altri”? È forse una sorpresa che i super-ricchi facciano fatica a provare empatia verso i gruppi al di fuori della loro cerchia ristretta, come le legioni di lavoratori che creano la loro ricchezza? Forse non dovrebbe scandalizzare nessuno il fatto che il miliardario che si è fatto da solo possa possedere una dose extra di narcisismo, che gli piaccia avere il controllo o che sia estremamente competitivo. Le conclusioni del campo potrebbero essere riassunte dal famoso non-scienziato Bernie Sanders, quando ha osservato che i miliardari hanno “problemi psichiatrici”.

È facile prendersi gioco dei problemi dei paperoni del pianeta. E però, mentre la vita dei super-ricchi è andata sempre più verso l’estremo, anche i loro problemi sono aumentati. L’adagio secondo cui “il denaro non può comprare la felicità” si è rivelato tragicamente vero per le vittime dorate di quella che è diventata nota come “sindrome da ricchezza improvvisa”, che soffrono di irritabilità, insonnia, paranoia, depressione, ansia e attacchi di panico. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui molti calmano il loro cervello in preda alla ketamina, si auto-medicano con la psilocibina o si sottopongono a un’incessante dieta di mirtilli tra un bagno di ghiaccio e l’altro.

Parte del problema, hanno detto i multimilionari infelici ai ricercatori del Boston College’s Center of Wealth and Philanthropy in uno studio psicologico del 2011, è la sensazione che nessuna ricchezza sia sufficiente. Non c’è mai un punto in cui si smette di desiderare di più. I 1.000 intervistati dello studio, ognuno dei quali aveva un patrimonio di almeno 25 milioni di dollari, hanno descritto sentimenti di ansia, insoddisfazione e addirittura insicurezza finanziaria.

Uno degli intervistati ha detto ai ricercatori che non si sarebbe sentito sicuro fino a quando non avesse accumulato un miliardo di dollari, ha osservato l’Atlantic, ipotizzando che “proprio come il corpo umano non si è evoluto per gestire bene il facile accesso odierno a grassi e zuccheri in abbondanza, e desidererà un cheeseburger in più quando non dovrebbe, la mente umana, a quanto pare, non si è evoluta per gestire l’eccesso di denaro, e desidererà di più anche quando la ricchezza sarà diventata un peso piuttosto che un conforto”.

Quelle testimonianze personali hanno messo in luce il problema, ma hanno lasciato senza risposta la domanda centrale: perché così tante persone estremamente ricche sono infelici e perché si comportano in modo così strano? Ultimamente è sorto un altro ambito di studio, la genoeconomia, che tenta di rispondere alla domanda utilizzando il patrimonio di informazioni genetiche che si è reso disponibile dalla fine del secolo scorso, quando è stato mappato per la prima volta il genoma umano. Gli scienziati di questo nuovo campo – il nome è stato coniato nel 2007 – suggeriscono che alcune persone nascono con una propensione al successo finanziario e hanno cercato un “gene della ricchezza” che separa i miliardari dal resto di noi.

Hanno fatto qualche progresso, ma c’è un problema: questa propensione genetica, si è scoperto, sembra essere spesso associata alla probabilità di disturbi di personalità. Ciò avviene attraverso un processo noto come pleiotropia, il fenomeno per cui un locus genico influenza due o più tratti. La ricerca ha mostrato una certa correlazione tra il livello di istruzione e la predisposizione alla schizofrenia, all’autismo, ai disturbi d’ansia e ad altre condizioni.

È emerso che non esiste un unico “gene della ricchezza”, afferma Daniel Benjamin, professore presso la Anderson School of Management dell’UCLA e la David Geffen School of Medicine, che lavora nel settore da due decenni. Negli studi di Benjamin sul livello di istruzione, invece di un singolo ago genetico nel pagliaio genomico, lui e i suoi colleghi hanno identificato 3.952 distinti “polimorfismi a singolo nucleotide” – ed è sicuro di non averli ancora trovati tutti. L’ipotesi è che questi SNP associati al livello di istruzione, tra i milioni presenti nel genoma umano, ci dicano qualcosa sulla base genetica dello spirito imprenditoriale. Gli SNP si combinano per creare ogni sorta di diversità umana, che può includere, per esempio, l’accoppiamento di una propensione per le suite e i superyacht con un’apertura alle teorie cospirative.

Pensare “fuori dagli schemi” ha certamente portato a molte innovazioni, dal Chia Pet al personal computer. Ha anche portato ad alcuni allarmanti fraintendimenti della realtà: la famigerata ossessione di Henry Ford per i Protocolli dei Savi di Sion; la fissazione del multimilionario del cuscino Mike Lindell per una falsa narrativa sulle macchine per votare; i flirt di Elon Musk con Q-Anon.

La disponibilità ad abbracciare nuove idee bizzarre – magari un telefono portatile in grado di riprodurre musica, girare film e tradurre lo Swahili – potrebbe essere la chiave per fare fortuna. E c’è motivo di pensare che gli SNP studiati dal dottor Benjamin e dal suo team siano associati a una sorta di estrema apertura mentale. “Non mi sorprenderebbe se un effetto collaterale fosse quello di essere particolarmente flessibili dal punto di vista intellettuale, cercando molti tipi di opinioni diverse”, spiega a Fortune. “Queste sono probabilmente caratteristiche utili per avere successo nel mondo degli affari. Quando le applichi nel contesto dei vaccini o di qualsiasi altra cosa, iniziano a sembrare teorie cospirative”.

Abbiamo chiesto al professor Benjamin se in futuro qualcuno riuscirà a trovare l’indice poligenico che definisce il genoma di un miliardario. “Penso che succederà”, ha risposto. Secondo le stime del professor Benjamin, entro dieci anni questa scienza raggiungerà la maturità, nel senso che i dati genetici saranno incorporati nella ricerca tradizionale delle scienze sociali. Quindi potrebbe non passare molto tempo prima che il fenomeno inauguri una nuova era di genitori iperprotettivi che inizia prima della nascita.

Ma data la possibile associazione dell’acquisizione di ricchezza con il disagio psicologico, è consigliabile una simile ingerenza? Il dottor Benjamin sottolinea che questo tipo di selezione degli embrioni, se dovesse avvenire su larga scala, potrebbe aumentare le disuguaglianze e avere altre conseguenze negative: “Potrebbero esserci più persone con determinate patologie psichiatriche”. E se questa progenie pre-programmata per lo zelo nel fare soldi avesse anche maggiori probabilità di finire a vagare in una villa, a fare micro-dosi di LSD e a inviare tweet irritanti?

Questo dilemma genitoriale, ancora ipotetico, solleva una domanda intrigante: Se le peculiarità dei super-ricchi sono bloccate all’interno del loro codice genetico insieme alle tendenze alla compulsione stravagante, queste stranezze combinate potrebbero essere la causa della loro ricchezza e non l’effetto? In tal caso, la stranezza del miliardario potrebbe non essere qualcosa da evitare, ma da ricercare.

Naturalmente, in un mondo in cui alcune persone nascono con enormi privilegi e opportunità, e molte altre affrontano grandi barriere e svantaggi, la genetica può giocare solo una piccola parte in una storia di successo. Qualsiasi nozione di successo che si basi troppo sul determinismo biologico corre il rischio di sconfinare nel campo sgradevole dell’eugenetica, con tutte le sue distorsioni e il suo razzismo.

Inoltre, sottolinea il professor Benjamin, nonostante il suo interesse per la genetica, quando si tratta di comportamento umano, ci sono molte forze altrettanto potenti dell’ereditarietà che potrebbero spingere i super ricchi verso un comportamento caotico. Anche i titani dell’industria non sono immuni dalla pressione dei pari, ovvero dal desiderio di stare al passo con il miliardario della porta accanto.

“Se i tuoi amici vanno nello spazio, allora vuoi farlo anche tu, dice Benjamin. “Forse”, riflette, “è la noia”.

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com

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