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E se la serialità televisiva fosse al servizio del cinema?

La serie tv può nutrire il cinema. E dal cinema è nutrita. La serialità sta vivendo un’età dell’oro grazie alle piattaforme, ma non è affatto un mondo da contrapporre al cinema. Produttori e registi ormai si muovono con disinvoltura tra questi due universi.  

Riccardo Tozzi, presidente di Cattleya, ha intuito per primo che la serialità in Italia potesse essere qualcosa di diverso. Era il 2008 e su Sky arrivava “Romanzo criminale – La serie”. “In un paese un po’ arretrato ha il privilegio di conoscere il futuro: succederà quello che succede nei paesi più avanzati” ci racconta. “In America era nata questa nuova serialità, quella de “I Soprano”, legata a servizi nuovi, come le pay-tv, e ci è parso che non fosse della stessa pasta della fiction. Ci interessava per il linguaggio, la ricchezza drammaturgica, il grande spazio che riservava alla creatività della produzione. Quando Sky ha aperto le porte dicendo che voleva fare una produzione in stile HBO, ci siamo lanciati con “Romanzo criminale”, un crime postmoderno dove si indagano i cattivi. È stata una rivoluzione”. Cattleya ha una linea editoriale, creare serie di genere, in cui il cinema italiano era grande: il poliziottesco è diventato il crime (“Gomorra”e “Suburra”), e il peplum una serie come “Romulus”, prodotta per Sky con la Groenlandia di Matteo Rovere. “Il genere è un codice che aiuta molto dal punto di vista narrativo” riflette Tozzi, che ha prodotto lo spin-off italiano della serie Prime Video “Citadel, Citadel: Diana”. Una volta c’erano solo le pay-tv, ora ci sono le piattaforme. “Hanno pubblici diversi, cercano il pubblico in modo diverso” spiega Tozzi. “Devi adattare la tua progettazione al destinatario. Le strutture editoriali dei servizi media e l’interlocuzione servono a questo. Sky, come pay-tv, ha prevalente l’effetto immagine, spinge la vendita degli abbonamenti. Netflix ha un pubblico mondiale gigantesco, ed è finalizzata a raccoglierlo: l’algoritmo è come l’auditel di una volta. Una serie che fai per Disney+ non è la stessa che faresti per Sky ed è stimolante”.

Matteo Rovere, founder di Groenlandia, dopo i film “Veloce come il vento” e “Il primo Re”, ha puntato sulla serialità a partire da “Romulus”. “Si intuiva che la serialità sarebbe diventata uno spazio linguistico importante per i registi” ci ha spiegato Rovere. “Le serie hanno budget superiori a quelli dei film e dal punto di vista creativo è possibile costruire arene molto ambiziose, come per Romulus o “La legge di Lydia Poët”. La serialità è uno spazio di grande comunicazione con il pubblico e di grande sperimentazione”. Romulus è legata al film “Il primo Re”. “Avevo immaginato i due progetti parallelamente” spiega Rovere. “Per ragioni produttive ho fatto prima il film”. Cinema e serialità “sono come due pedali, anche se quando uno sale l’altro tende ad andare giù” ci spiega Tozzi. “La serialità italiana ha beneficiato dell’esperienza cinematografica: le prime a farla sono state due società di cinema, Cattleya e Wildside. In Italia non abbiamo un’altissima cultura drammaturgica, il teatro degli inglesi, le scuole americane, ma sull’immagine siamo davanti a tutti”. 

Per Giuseppe Saccà, Ceo di 302 Original Content solleva un dubbio: “Durante il lungo periodo di pandemia, non dovendoci confrontare in maniera stringente con il botteghino, abbiamo avuto una finestra di opportunità unica: investire in nuovi linguaggi, nuovi codici visivi e nuovi autori. Certamente chi tiene le redini dell’industria si è trovato a confrontarsi con una situazione senza precedenti e a dover sostenere molte aziende in difficoltà. Mi domando tuttavia se non fosse possibile sfruttare l’altro rovescio della medaglia, per avviare questo importante lavoro di ricerca. Quanto ci siamo davvero impegnati nel porre le nuove generazioni al centro del racconto o dietro la cabina di regia?”.

Per i registi muoversi tra cinema e serie è naturale. Paola Randi, dopo i film “Into Paradiso” e “Tito e gli alieni”, ha diretto le serie “Luna nera” e “Zero” per Netflix, e poi il film “La Befana vien di notte II”. “Mi sono avvicinata alle serie con entusiasmo” racconta. “Da piccola passavo un sacco di tempo davanti ai telefilm. Quando Netflix è sbarcata in Italia ero felice, finalmente si poteva uscire dai nostri schemi. I miei film sono il mio mondo, ma sono un’appassionata di genere. Con le serie ho sperimentato: sono arrivata sul set di “Luna nera” e la prima scena era complicatissima, a me sembrava Natale. L’avvento delle piattaforme ha aperto la strada a una quantità di giovani registi e registe. E a territori mai esplorati prima”. 

Elisa Amoruso, dopo i film “Chiara Ferragni – Unposted” e “Maledetta primavera”, ha girato serie come “Fedeltà” (Netflix) e “The Good Mothers” (Disney+). “Netflix aveva pensato di trarre una serie dal romanzo “Fedeltà” ci racconta. “Il progetto fin dalla scrittura si sposava meglio con la struttura seriale. In “The Good Mothers” c’erano più voci: anche quì il racconto si prestava meglio ad un adattamento seriale per dare spazio a tutte. Lo spettatore è abituato alla serialità e si aspetta che un discorso venga portato avanti. L’affezione ai personaggi consente di sviluppare la storia su più piani temporali, dare diverse vite allo stesso personaggio”.

“La serie può nutrire il cinema e dal cinema è nutrita, la matrice rimane sempre la qualità filmica” spiega Matteo Rovere. “La serialità è una dimensione produttiva molto ampia, che ci insegna a gestire meccanismi molto complessi dal punto di vista organizzativo, e riuscire a prendere il meglio di questa esperienza e trasferirlo sul cinema ci può portare ad avere idee più ambiziose, ma che vengono realizzate meglio, con criteri produttivi più logici. I registi, con le serie, imparano l’elasticità che è utile quando anche sui film è necessario condividere la propria idea con gli altri”. Chi torna a fare cinema, dopo le serie, è più forte. “Quello che dà una serie è l’allenamento” riflette Elisa Amoruso. “Ti alleni a girare per 10-12 settimane e, se all’inizio è faticoso, a un certo punto prendi il ritmo. Questa esperienza sarà un tesoro prezioso per il mio prossimo film”. “Per “La Befana vien di notte II” sono arrivata con un know-how importante” spiega Paola Randi. “Luna nera mi aveva permesso di sperimentare tecniche ed effetti. Da Francesca Comencini ho imparato che, nelle serie e nel cinema d’azione, tutto si basa sui personaggi. Marco Bellocchio mi disse: gira il più possibile. E funziona! Più stai sul set più vengono nuove idee”. “Tornando al cinema dopo l’esperienza televisiva hai le spalle più larghe”, commenta Riccardo Tozzi. “La serialità è una palestra, servono più muscoli”. “Penso che nel cinema dovremmo cercare un rinnovamento” conclude. “Non fare i film che abbiamo già fatto, perché sono battuti dalle serie. Mentre nella serialità ce la stiamo cavando bene, nel cinema, e non per mancanza di mezzi, siamo un po’ pigri. Il cinema può prendere dalla serialità il metodo di lavoro, soprattutto sulla sceneggiatura. Dovremmo concentrarci sul cinema intendendolo come innovazione e ricerca”.  

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