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Lo spettro del granchio blu, fra danni economici e perdita di biodiversità 

Uno spettro si aggira per i mari italiani: è lo spettro del granchio blu. Il Callinectes sapidus, crostaceo dalle chele azzurre proveniente dalle coste atlantiche del continente americano, è già stato ribattezzato il killer dei mari per l’aggressività onnivora con cui sta divorando vongole, cozze, pesci, provocando danni significativi all’attività dei pescatori e alla biodiversità del nostro ecosistema marino.

È di questi ultimi giorni l’allarme lanciato, fra gli altri, dal Presidente della Regione Veneto Luca Zaia. “È un’invasione”, ha detto un preoccupato Zaia, spiegando che dall’inizio dell’anno sono state raccolte oltre 300 tonnellate di granchio blu. La Regione è corsa subito ai ripari e ha posato 300 nasse per la cattura dei crostacei infestanti.

 

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Com’è approdata da oltreoceano questa specie aliena invasiva che sta proliferando a ritmi vertiginosi nel Mediterraneo? “I primi avvistamenti risalgono in realtà alla fine degli anni ’40 del secolo scorso. L’ipotesi più accreditata è che il granchio blu sia stato trasportato fin qui dalle acque utilizzate come zavorra dalle navi mercantili”, spiega a Fortune Italia Gian Marco Luna, direttore dell’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del CNR. 

Da almeno un decennio il CNR studia e monitora la presenza del granchio blu nella acque della laguna di Lesina e dunque da molto prima dell’esplosione di questi ultimi mesi anche in altre zone d’Italia. “È un fenomeno normale quando parliamo di invasioni biologiche: c’è sempre una sorta di latenza fra il momento in cui la nuova specie arriva in un ambiente e il momento in cui esplode, proliferando a ritmi sostenuti”, chiarisce Luna. Se però l’exploit è avvenuto proprio quest’anno, è assai probabile che ci fossero “condizioni favorevoli per questa esplosione; ad esempio, un’alterazione del ciclo idrologico, con l’aumento delle precipitazioni e del carico dei nutrienti in mare. L’alterazione in particolare degli ecosistemi costieri e lagunari ha probabilmente influito sull’exploit di quest’anno”. 

Ma se da noi sta causando innumerevoli problemi, dall’altra parte dell’Atlantico, il Callinectes sapidus rappresenta senza dubbio una risorsa ittica preziosa, parte integrante della tradizione culinaria americana. “Nel suo ecosistema nativo, questa specie ci sta tutto sommato bene: viene pescato e finanche controllato, poiché in alcune zone si osserva un declino della risorsa, con ogni probabilità a causa del sovra-sfruttamento da pesca”. 

In Italia sta invece seminando il terrore, colpendo in modo particolare la filiera dei molluschi bivalvi. “In certe zone in cui s’è insediato, come nel delta del Po, si sta cibando di vongole e cozze, decimando questo tipo di pesca, una filiera che per la blue economy del nostro Paese rappresenta un’economia rilevante in termini di indotto”. Il danno economico va a braccetto con quello ambientale, perché la predazione delle specie locali rischia seriamente di compromettere la biodiversità dei mari. 

Il granchio blu è solo una delle specie aliene che infestano il Mediterraneo. E in alcuni casi il cambiamento climatico gioca un ruolo decisivo in questo processo. “L’innalzamento delle temperature dei nostri mari sta favorendo l’ingresso nel Mediterraneo di specie provenienti da mari più caldi”, precisa Luna. Non è il caso del granchio blu, evidentemente, che proviene dall’Oceano Atlantico. “Pensiamo ad esempio a pesci erbivori tropicali, che possono desertificare i fondali, arrecando danni alle forme di vita vegetali. Oppure all’arrivo di specie tossiche quali il Lion Fish, un pesce scorpione maculato, avvistato nelle acque calabresi, i cui aculei contengono un veleno che in alcuni casi può essere letale per l’uomo”, avvisa l’esperto. 

È un fenomeno su cui non bisogna mai allentare l’attenzione, soprattutto perché “sta colpendo in modo particolare il Mediterraneo, che detiene il triste primato di mare più invaso al mondo”. Le soluzioni vanno nella direzione del contenimento del problema: “Da scienziati noi sappiamo che eradicare in modo completo una specie aliena è un’impresa quasi impossibile. Ma possiamo contenerle, ad esempio integrandole nella nostra alimentazione. Incentivare il consumo del granchio blu può essere una mossa valida. Il nostro istituto è impegnato da anni in questa attività di sensibilizzazione, attraverso iniziative ed eventi con pescatori e chef: una delle possibili soluzioni alla proliferazione delle specie aliene è quella di mangiarle”. 

A ciò va affiancato l’impegno delle istituzioni, che dovrebbero fra le altre “imporre un tetto alle emissioni di CO2. Le emissioni rappresentano la più importante causa del cambiamento climatico, che poi si ripercuote inevitabilmente sui nostri mari”. In molti, di fronte all’avanzata apparentemente inarrestabile del granchio blu, hanno individuato nella pesca intensiva una delle cause principali. “Non sono così sicuro che esista un legame chiaro tra pesca intensiva e specie aliene infestanti – chiarisce – perché si tratta di due attività diverse. È indubbio però che la sovrapesca rappresenti una seria minaccia per la biodiversità. Non me la sento di demonizzare la pesca tout court, è un’attività che ha una storia e una valenza economica e sociale. Dobbiamo iniziare a ragionare in termini di One Health, un unico concetto integrato di salute dell’ambiente, dell’uomo e degli animali. E convergere verso una pesca sostenibile e regolamentata sulla base dei dati scientifici”.

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