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Dentro l’algoritmo ci deve essere spazio per tutti

Conoscenza, competenza, tecnologia e metodi di fabbricazione, fanno quello che noi oggi intendiamo con le parole trasferimento tecnologico. Che è una questione seria, tremendamente seria, perché in un mondo rapidamente cambiato l’economia immateriale e la rivoluzione digitale stanno configurando davvero una realtà nuova: non soltanto per le esperienze o gli strumenti che via via stanno arrivando, ma perché essa è portatrice di una rivoluzione molto più profonda di quella industriale dell’Ottocento, la più simile tra quelle che abbiamo vissuto.

Lo scossone dunque è e sarà profondo nella sua rilevanza generale nelle dinamiche sociali così come sarà identitario e personale nelle vite dei singoli, perché parlerà e toccherà comunque inevitabilmente la vita di ciascuno di noi. Tuttavia non dobbiamo avere paura né dobbiamo spaventarci per le conseguenze radicali di questa immane rottura.

Perché? Perché il passaggio dall’economia materiale di beni e cose che si potevano toccare, cioè tangibili, a quella immateriale, tra relazioni, intermediazioni, algoritmi, può offrire molti spazi e molte libertà nel rispetto reciproco, sempre che il trasferimento tecnologico avvenga dentro la consapevolezza della necessità di preservare, nella vita sociale e nei singoli, il senso delle relazioni, del rispetto e della tutela innanzitutto della vita e della salute, della sicurezza reciproca e, naturalmente, delle prospettive di un lavoro che deve continuare a essere adeguato alle nostre speranze e aspettative.

Questa è la sfida allora: gestire il trasferimento tecnologico con strategie, modelli e strumenti che ci consentano di governare il cambiamento in corso, volgendolo a vantaggio di tutti.

Perché dentro l’algoritmo ci deve essere spazio per tutti. Non soltanto per quelli che lo creano e lo gestiscono ma anche per quelli che lo vivono e ne subiscono inconsapevolmente gli effetti.

Come fare allora?

Innanzitutto va creato un sistema che, proteggendo chi innova, incentivi questo processo tramite programmi di valorizzazione dei brevetti e della loro creativa innovatività; in modo tale che, nel prendersi cura dei titoli di proprietà industriale, si dia piena tranquillità, forza e spazio alla loro diffusione e alla loro socializzazione per tutti. Perché l’idea (e il brevetto) di uno sia però patrimonio che positivamente ‘sperimentano’ tutti.

Poi bisogna incentivare la propensione ad avvicinarsi a questi temi, cercando di innalzare il livello di maturità tecnologica del Paese da un lato e, dall’altro, la curiosità delle giovani generazioni, stimolandole verso una maggiore passione per le tematiche e gli studi STEM (acronimo inglese che sta per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Insomma il Paese di Rita Levi Montalcini e della fisica e presidente del Cern Fabiola Gianotti deve impegnarsi di più nel promuovere la curiosità delle nuove generazioni verso la scienza e le sue prospettive. Anche su questo d’altronde si gioca il nostro futuro, prima che il loro.

Infine è necessario rafforzare il rapporto tra il sistema della ricerca, a partire da quella accademica, con il sistema delle imprese, in modo tale che il flusso del dialogo possa rafforzare il trasferimento tecnologico, in una osmosi che deve essere sempre di più un gesto naturale di confronto, senza pregiudizi ideologici né pure e semplici strumentalizzazioni finalistiche di mercato. Ancora una volta sarà avvenuto il ‘miracolo’  culturale che c’è dietro questo tema, ossia che il trasferimento tecnologico si sarà fatto vita quotidiana per tutti. Senza distinzione di competenze, capacità e censo. Non poco, verrebbe da dire.

 

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