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“Il primo libro di teorie dei media”, l’ultima fatica editoriale di Ruggero Eugeni

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Si parla di innovazioni tecnologiche, e immediatamente vengono in mente i media che – almeno nella percezione comune – sono oggi divenuti uno dei canali più immediati e influenti per la diffusione delle nuove tecnologie all’interno della società.  Ma qual è il ruolo effettivo dei media nel popolarizzare e nel diffondere le innovazioni tecnologiche?

E, per converso, in che misura le nuove tecnologie determinano i nuovi assetti dei media? Ne abbiamo parlato con Ruggero Eugeni, docente di Semiotica dei Media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: il volume Il primo libro di teorie dei media da lui curato per Einaudi è appena arrivato in libreria (ma ovviamente anche sui bookstore digitali in forma di ebook!). E gli aspetti “tecnologici” costituiscono i piatti forti dell’opera. 

Professor Eugeni, non passa settimana senza che emergano delle novità tecnologiche che in un modo o nell’altro coinvolgono i media: dai visori Vision Pro di realtà aumentata e virtuale della Apple all’automia della Tesla, sembra che ogni novità tecnologica sia inestricabilmente legato al mondo della comunicazione.

È vero, e la ragione è profonda. Fino agli anni Ottanta del Novecento le innovazioni tecnologiche arrivavano nella società in filiere separate: per esempio il mondo dei media era percepito come isolato rispetto a quello, poniamo, della difesa o della sorveglianza.

Questo non vuol dire che alcune tecnologie non fossero comuni a questi diversi mondi: per esempio la fotografia e il cinema erano utilizzati fin dalla Prima guerra mondiale per la ricognizione aerea; ma questi legami non erano né esibiti né percepiti. Dagli anni Ottanta con la cosiddetta “convergenza digitale” questo principio viene meno e le tecnologie mediali entrano a far parte di una rete di innovazioni trasversale rispetto ai differenti utilizzi sociali.

Può fare un esempio? 

Prendiamo le telecamere “leggere”, prima analogiche poi digitali: queste hanno rinnovato il modo di fare televisione (Umberto Eco invitava negli anni Settanta a forme di “guerriglia semiologica” imbracciando la propria telecamerina!), e hanno diffuso uno sguardo “in prima persona” che ha caratterizzato i videogiochi a partire dagli anni Ottanta, da Doom in poi. Al tempo stesso, esse hanno consentito la nascita dei sistemi di videosorveglianza, in particolare nelle aree urbane e dopo l’avvento del digitale: decisivo il clima politico post 11 settembre.

E sono divenute dotazione delle forze armate e di quelle di polizia per documentare le proprie operazioni.  Ma, calandosi negli smartphones, hanno anche rinnovato il modo in cui archiviamo i ricordi personali e di famiglia; e al tempo stesso hanno determinato la possibilità di documentare in diretta eventi storici: dalle primavere arabe alla nascita di Black Lives Matter, le testimonianze raccolte in questo modo si sono rivelate fondamentali. Insomma: le tecnologie visuali convergono anche nei media ma nascono e circolano in molti altri ambiti.

Questo vuol dire che i confini dei media appaiono incerti, da un punto di vista tecnologico?

Si, perché in questa dinamica i media sono divenuti uno dei grandi punti di raccolta e di rilancio di tecnologie sviluppate altrove. Faccio anche qui un esempio. Le tecnologie algoritmiche di riconoscimento visuale vengono elaborate a partire dall’inizio degli anni Sessanta in ambito militare. Esse dovevano servire a due scopi: riconoscere automaticamente gli insediamenti del nemico a partire dalle foto satellitari o eseguite dagli aerei di ricognizione; e riconoscere i volti umani collegandoli possibilmente a una identità precisa.

Queste tecnologie hanno conosciuto un enorme sviluppo negli ultimi quindici anni circa perché la rinnovata disponibilità di immagini fornita dal Web e la incrementata potenza di calcolo dei nuovi processori ha consentito l’avvento di Reti Neurali Profonde che grazie ad un addestramento di machine learning sono in grado di riconoscere con un’ottima percentuale di riuscita oggetti, persone, eventi.

I campi di applicazione sono infiniti: per esempio la diagnostica medica, con la individuazione di una malattia anche a partire da immagini poco definite; l’osservazione astronomica, che unisce segnali di differente natura e luogo di ricezione in immagini unitarie; la sorveglianza, che può risalire alla identità di un soggetto a partire dalle immagini di una videocamera; i processi di controllo industriale, che possono  automaticamente individuare una componente difettosa, e così via. Ma gli stessi algoritmi vengono applicati per sbloccare i nostri telefonini, applicare al nostro volto un filtro di beautification, o invecchiare digitalmente Harrison Ford nell’ultimo Indiana Jones.

Quanto sta dicendo implica forse che il ruolo tecnologico dei media è destinato a diventare sempre più marginale?

Esattamente il contrario: io penso che sia l’intero sistema sociale a essere divenuto ormai un sistema mediale. Le innovazioni tecnologiche hanno senso e speranza di vita se si innestano su una infrastruttura di comunicazione: di conseguenza, esse vengono percepite come componenti mediali; sotto questo aspetto, è il concetto di media che va piuttosto modificato e allargato. Faccio un ultimo esempio: le automobili a guida parzialmente o totalmente autonoma.

Queste funzionano a partire da una enorme quantità di sensori (telecamere, camere a infrarossi, radar a onde millimetriche, Lidar ossia radar a raggi laser, sonar, etc.): tali sensori mappano in tempo reale l’ambiente circostante, affinché una serie complessa di algoritmi possa incrociare i dati così ottenuti con quelli custoditi in memoria e ricevuti dai sistemi di navigazione: di qui alcune scelte autonome dell’auto (per esempio in molti modelli recenti il parcheggio automatico), e altre demandate all’autista in presenza o remoto.

In questi ultimi casi, l’autista “guida” l’auto grazie a un ampio sistema di schermi digitali di vario genere che trasmettono una serie complessa di informazioni visive (e che in un futuro non lontano sono destinati a essere sostituiti da sistemi di realtà virtuale o aumentata). Telecamere, sensori, algoritmi, schermi, realtà virtuale: se ci aggiungiamo i sistemi di entertainment sonoro e audiovisivo che fanno parte integrante dell’abitacolo, non possiamo che concludere che l’automobile sta diventando un mobile media.

“Il primo libro di teoria dei media”, il volume curato da Ruggero Eugeni (Einaudi, 312 pagine)

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