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Evoluzione imprenditoriale italiana: transizione e resilienza

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Il nostro tessuto imprenditoriale, composto principalmente da micro e piccole imprese (il 99,4% del totale, che occupano il 63,4% degli addetti del settore privato non agricolo), si trova di fronte a sfide sempre più complesse derivanti dalle trasformazioni settoriali. L’interconnessione tra la globalizzazione, la rapida evoluzione tecnologica e le sfide ambientali richiede un approccio strategico che garantisca la sopravvivenza e la resilienza delle imprese e dei propri territori di riferimento. Quali criticità e quali strumenti considerare per agire in modo proattivo supportando la transizione delle imprese italiane?

Le crisi d’impresa derivano spesso da cambiamenti repentini e profondi nei settori economici. Un esempio eloquente di come questi possano influenzare l’ecosistema imprenditoriale è la profonda trasformazione del settore automotive. La metamorfosi portata dall’avvento dei veicoli elettrici, dalle nuove soluzioni di mobilità (quali l’idrogeno) e dalle sempre più stringenti normative, ha creato pressioni notevoli per le imprese tradizionali, sfidate dall’adattarsi a nuovi paradigmi tecnologici e dal cambiamento delle catene di approvvigionamento. Inoltre, bisogna considerare come oggi la competitività non sia più confinata al livello nazionale o europeo, ma coinvolga multinazionali e grandi conglomerati industriali e finanziari, che possono contare su una capacità di posizionamento e ricerca e sviluppo ineguagliabile.

Molte imprese italiane si sono quindi trovate a dover affrontare sfide e fallimenti in seguito a tali trasformazioni. Nonostante alcune di queste crisi siano state attenuate grazie a misure di sostegno promosse dal Governo (comprese quelle implementate dall’Unione Europea in risposta alla pandemia e alla guerra), occorre sottolineare come nel medio periodo le stesse imprese dovranno affrontare il phasing-out di tali misure e il confronto con un sistema finanziario sempre più attento agli indicatori ESG.

Da un lato vi è quindi un nuovo approccio che le nostre imprese dovranno adottare per rafforzare la propria resilienza: riorientare la produzione verso settori contigui ad alto potenziale, investire in ricerca e sviluppo e in formazione continua (sulla quale investe la metà delle microimprese) per rispondere alle esigenze in evoluzione del mercato sono solo alcuni esempi.

Dall’altro lato, vi sono misure di politica industriale ed economica che dovrebbero supportare il nostro tessuto imprenditoriale, a partire dalla considerazione della sua peculiarità dimensionale. Favorire iniziative di formazione (reskilling e upskilling) e assistere la ricollocazione di quei lavori che saranno maggiormente impattati dalla transizione ecologica (cosiddetti brown jobs), sono elementi imprescindibili per mitigare i possibili risvolti negativi. Anche il sostegno finanziario, tramite misure di sovvenzione temporanee può giocare un ruolo cruciale nel facilitare una transizione equa e giusta (si veda in tal senso il caso dell’ex-Ilva di Taranto, che riceverà quasi un miliardo di euro per la conversione green, la tutela e la creazione di posti di lavoro).

La necessità di garantire una transizione equa per i lavoratori, le aziende e i territori, e di affrontare i rischi associati alla perdita di posti di lavoro in settori ‘non-verdi’ richiede una cooperazione stretta tra le imprese, i sindacati, corpi intermedi e le istituzioni. Le politiche di istruzione, formazione e protezione sociale devono essere al centro di questa transizione per evitare di lasciare indietro i lavoratori più vulnerabili. L’adozione di politiche aziendali lungimiranti, insieme a misure di sostegno governativo e alla promozione di pratiche sostenibili, può aiutare i territori italiani a prosperare in un ambiente economico in continua evoluzione.

*Founder & Managing Director di Futuritaly

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