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Povertà in crescita: occorre una strategia nazionale integrata

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Claudia Bugno*

Gli ultimi trent’anni sono stati caratterizzati da una globale riduzione del numero di individui al di sotto delle condizioni considerate minime per vivere: un progresso costante, purtroppo interrotto dal sopraggiungere della crisi pandemica del 2020. L’inversione di rotta verificatasi negli ultimi tre anni, durante i quali alla pandemia si sono sommate guerre, con conseguenti crisi delle catene di valore, inflazione, alti tassi di interesse, ha comportato un aumento di 70 milioni di persone in situazioni di indigenza, per un totale di circa 700 milioni a livello globale.

Se guardiamo all’Europa l’Italia si posiziona nella parte bassa della classifica – e sotto la media europea – in termini di individui a rischio esclusione sociale: quasi un italiano su quattro. L’approssimarsi dell’inverno getta inoltre luce sugli altissimi costi dell’energia, che in Europa risultano proibitivi per quasi un cittadino su dieci.

Lo scorso ottobre l’Istat ha pubblicato le nuove statistiche sulla miseria nel nostro Paese, che indicano oltre 5,6 milioni di persone (il 9,7% del totale, in crescita dal 9,1% dell’anno precedente) e 2,1 milioni di famiglie (oltre l’8% del totale) in condizione di povertà assoluta.

In questo contesto, risulta essenziale un’analisi approfondita di tali dati, poiché la questione si lega strettamente alla tenuta economica e sociale, comportando l’urgenza di adottare politiche mirate a controllare e mitigare l’accelerazione dei prezzi e a sostenere il potere di acquisto delle fasce che potrebbero risultare marginalizzate.

Al contempo, un approccio proattivo per affrontare l’argomento deve essere fondato sulla prevenzione, concentrando gli sforzi sul garantire fin dalle giovani generazioni gli strumenti e le competenze necessari per rendere i cittadini resilienti agli shock economici. La stessa Unesco ha dimostrato che una migliore scolarizzazione può contribuire a far diminuire la povertà addirittura più che dimezzandola. L’educazione finanziaria, ad esempio, rappresenta uno degli aspetti cruciali di questo approccio, che mira a colmare il divario formativo fin dalla prima infanzia, puntando a creare una popolazione consapevole e responsabile. Ciò è tanto più vero se consideriamo l’aumento dell’aspettativa di vita, il mutato scenario previdenziale e il sempre più diffuso utilizzo di strumenti complessi.

In tal senso, non stupisce come gli Stati Uniti abbiano, fin dal 2003, affidato alla Commissione per l’alfabetizzazione e l’istruzione finanziaria (formata da 23 organizzazioni governative federali e guidata dal Segretario del Tesoro) il compito di sviluppare un’agenda di intervento nazionale finalizzata a questo scopo. Anche altri Paesi stanno sviluppando strategie nazionali di lungo periodo: la Spagna, ad esempio, attraverso la propria banca nazionale sta oggi implementando il suo quarto piano quadriennale (2022-2025), focalizzato sulle sfide derivanti dalla digitalizzazione della società e sul potenziale offerto dallo stesso settore per la promozione della finanza sostenibile.

Il nostro Paese sconta un discreto ritardo nel confronto internazionale. Il Ministero dell’Istruzione ha stipulato solo nel 2012 una serie di protocolli d’intesa con i soggetti più coinvolti nella diffusione della cultura economica, avviando una prima sperimentazione nelle scuole. E solo nel 2017 ha visto la luce, dopo più di 8 anni di discussione, il Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria.

Più in generale, la multidimensionalità della povertà e lo scenario odierno caratterizzato da crisi di natura diversa devono richiamare l’attenzione sulla necessità di dotarci di un quadro nazionale integrato di contrasto e prevenzione della marginalizzazione socioeconomica. Un quadro composto da stakeholder multilivello: dal locale al nazionale, dal pubblico al privato, passando per il ruolo fondamentale del terzo settore.

Questo perché la tutela di tali fasce di popolazione dovrebbe essere una priorità di sviluppo per ogni Sistema-Paese. In questo contesto, i dati possono fungere da bussola critica per guidare lo sviluppo di politiche pubbliche e programmi mirati, al fine di creare un sistema che risponda in modo efficiente ed efficace alle esigenze e alle vulnerabilità in termini di sviluppo

*Founder e Managing Director di Futuritaly, strategic advisor con lunga esperienza nel mondo pubblico e industrial 

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