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In Italia più sei ricco meno tasse paghi. Ecco perché

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In Italia più sei ricco, meno tasse paghi. E se sei ricchissimo ne paghi ancora meno. Il dato più lampante è che l’1% degli italiani più abbienti paga meno (in proporzione) rispetto al 99% dei contribuenti. Ma sono tanti i numeri che testimoniano come il nostro sistema fiscale sia addirittura regressivo superato un certo reddito: le aliquote, che salgono lentamente al 50% nel caso del 95% più basso della distribuzione del reddito, crollano per i 5% dei contribuenti più ricchi. Addirittura l’aliquota effettiva scende al 36% per chi guadagna più di 500mila euro all’anno, secondo lo studio congiunto di Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e Università di Milano – Bicocca, pubblicato dalla rivista scientifica Journal of the European Economic Association. 

Tasse e reddito, lo studio

Oltre ad analizzare l’intero reddito nazionale, lo studio distribuisce a livello individuale anche l’ammontare delle tasse e imposte raccolte dallo Stato (Irpef, Irap, Imu, imposte sugli interessi, dividendi e tutte le transazioni finanziarie, imposte sui consumi, contributi sociali, oltre ad ulteriori imposte minori). “In questo modo – commenta Andrea Roventini, autore dello studio, direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna – abbiamo dimostrato che l’intero sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo per il 95%, con un’imposizione fiscale che sale dal 40% al 50%. Il sistema diventa addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi. Il sistema fiscale è addirittura sempre regressivo se si considera la distribuzione del patrimonio invece che quella del reddito”.

Tasse, perché i ricchi pagano meno?

Secondo lo studio, i redditi più alti hanno una minore incidenza fiscale grazie a una serie di fattori:

  • L’effettiva regressività dell’Iva (che grava meno sui cittadini abbienti che risparmiano di più)
  • Il minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro
  • La maggiore importanza, per i contribuenti più ricchi (cioè quelli che investono) delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota del 12% o del 26%.

Va anche considerato che, tra i cittadini più abbienti, pochissimi sono lavoratori dipendenti, cioè quelli che in proporzione pagano più imposte, seguiti dai lavoratori autonomi, dai pensionati e, infine, proprio da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari. Elisa Palagi, autrice dello studio e ricercatrice di Economia alla Scuola Superiore Sant’Anna, spiega che “l’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310 mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari. Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente”.

Secondo gli autori dello studio c’è “la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale del sistema fiscale italiano. L’evidenza di una regressività che favorisce solo le fasce di reddito più elevate sottolinea l’urgenza di riforme mirate che non penalizzino i redditi più bassi, ma mirino a correggere gli squilibri presenti riducendo le disuguaglianze e promuovendo una distribuzione del carico fiscale in modo proporzionato. L’avvio di questo dibattito rappresenta un passo cruciale verso un sistema fiscale italiano più giusto e inclusivo, capace di sostenere una crescita economica sostenibile e di garantire benefici tangibili per l’intera società”.

Più sei povero (e giovane), più diminuisce il reddito

La tassazione non è l’unico punto su cui si concentra lo studio, che “combina diverse fonti di dati, quali dichiarazioni dei redditi, indagini campionarie di Istat e Banca d’Italia, stime sulla distribuzione del patrimonio netto, per distribuire a livello individuale l’intero ‘reddito nazionale netto’, corretto per l’evasione fiscale. Così è stato possibile identificare le fasce di reddito che hanno perso di più negli ultimi anni”, spiega Demetrio Guzzardi, autore dello studio e ricercatore in Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Ma l’analisi che è stata fatta è anche storica: dal 2004 al 2015, mentre il reddito nazionale reale si riduceva del 15%, il 50% più povero degli italiani subiva la maggiore perdita con un calo di circa il 30%.

All’interno del 50% più povero, ad essere più colpiti sono stati i giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito.

Disuguaglianza di genere, aumenta con la ricchezza

La disuguaglianza di genere, secondo lo studio, risulta significativa per ogni classe di reddito e raggiunge valori estremi nell’1% più ricco della distribuzione, dove le donne guadagnano circa la metà degli uomini.

Ricchi e poveri, il confronto

Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Bicocca di Milano mostrano con i numeri come il reddito nazionale sia distribuito in maniera sempre più diseguale:

  • il 50% più povero degli italiani maggiorenni detiene meno del 17% del reddito nazionale e vive con meno di 13 mila euro all’anno.
  • L’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310 mila euro all’anno.
  • I 50 mila italiani che compongono lo 0,1% più ricco del Paese detengono il 4,5% del reddito nazionale con entrate medie superiori al milione di euro annuo, cifra che potrebbe essere raggiunta dal 50% più povero soltanto risparmiando l’intero reddito per 76 anni.

Usa irraggiungibili. Ma il trend è negativo

Lo studio ha riscontrato che l’Italia presenta un livello di concentrazione dei redditi simile a quello della Francia, ed è ancora molto lontata dall’estrema diseguaglianza degli Stati Uniti. Tuttavia, ciò che – leggendo lo studio – desta preoccupazione è il trend in diminuzione della quota di reddito detenuta dalle fasce di reddito meno abbienti, come sottolineato da Alessandro Santoro, autore dello studio e pro-rettore al Bilancio dell’Università di Milano – Bicocca . “A differenza della situazione in Francia, dove le fasce più deboli hanno visto un modesto aumento della loro quota di reddito – dice Alessandro Santoro – in Italia si osserva l’opposto, con le fasce più povere che diventano sempre più svantaggiate“.

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