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Christian Di Sanzo, l’ingegnere nucleare diventato deputato per rappresentare gli italiani all’estero

Christian Di Sanzo, eletto alla Camera dei Deputati con il Partito Democratico nella circoscrizione estera Nord e Centro America, è una voce autorevole italiana negli Stati Uniti. Il suo curriculum è prestigioso per un professionista (nello specifico un ingegnere nucleare) prestato alla politica.

Una vita passata tra Italia e Stati Uniti

Di Sanzo ha passato parte della sua formazione accademica negli States, prima come Visiting student all’UCSLA di Los Angeles, poi, grazie ad una borsa di studio al MIT di Boston. Di Sanzo ha infine concluso la sua formazione con un PhD in ingegneria presso l’università di Berkeley, in California, un centro di sapere d’eccellenza dove è entrato in contatto con lo spirito di comunità che si vive nelle università americane. In quegli anni fonda un’associazione, l’Italian Society at Berkely, con l’obiettivo di promuovere la cultura del Bel Paese e supportare i ricercatori italiani nella sua università.

Da qui un amore a prima vista. Nasce la passione di rappresentare la fitta comunità di italiani negli Stati Uniti, farsi portavoce delle loro istanze, dei loro interessi. Solo a livello mondiale sono ben 6 milioni i nostri connazionali sparsi per il pianeta, quasi il 10% della popolazione residente in Italia. Secondo Di Sanzo, queste risorse altro non sono che una ricchezza per un paese come l’Italia, piccolo per dimensioni ma con un certo soft power internazionalmente riconosciutogli.

Parallelamente al suo lavoro da consulente in McKinsey, una delle società di consulenza strategica più prestigiose al mondo, Di Sanzo segue da vicino la comunità italiana negli Stati Uniti fino a diventare il Presidente del Comites (Comitato Italiani all’estero) di Houston, Texas.

I ricercatori più apprezzati negli States? Non per essere modesti, ma quelli italiani, ci confida Di Sanzo, sono tra i più stimati. Bisognerebbe interrogarsi sul perché non riusciamo a valorizzarne la grandezza anche nel nostro paese. Questa passione lo spinge ad entrare in politica, venendo eletto nel 2022 alla Camera dei Deputati e portando alle istituzioni il tema, troppo spesso dimenticato e sottovalutato, dei tanti connazionali residenti all’estero.

Diversi i temi trattati nell’intervista e, vista la forte attenzione sul mondo della ricerca, non poteva non essere citata la corsa alle nuove tecnologie da parte di Ue e Stati Uniti, l’AI prima fra tutte, e la transizione energetica con cui è alle prese il pianeta: sarà mai percorribile senza l’ausilio del Nucleare? Infine, l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali americane impone una riflessione finale, anche su su una possibile discesa in campo di Michelle Obama al fianco dei Democratici.

Alla mano, competente e appassionato, Christian di Sanzo ha una missione politica: rappresentare la comunità degli italiani all’estero dall’interno delle istituzioni.

L’intervista

Onorevole Di Sanzo cosa ci può raccontare di questa sua lunga esperienza accademica negli Stati Uniti? Come viene vista la comunità italiana, soprattutto alla luce del fascino americano per il modo di vivere italiano e il Made in Italy?

Vede, inizialmente andai là come tanti, come questa nuova emigrazione che oggi si trasferisce negli Stati Uniti proprio per cercare nuove opportunità. Ai tempi forse si emigrava per necessità. L’idea era quella di proseguire i miei studi in ingegneria nucleare, inseguendo il grande sogno della fusione per produrre energia pulita. Alla fine, però, decisi di cambiare, andando a lavorare in consulenza e cominciando a guardare le cose da un punto di vista manageriale.

Parallelamente, entrai in contatto con la comunità di ricercatori alla quale ancora oggi sono molto legato, e di cui ne ben comprendo le esigenze. Tanti giovani ricercatori e imprenditori mantengono fortissimi legami con l’Italia e desiderano dare un contributo positivo e fattuale a quello che sarà il nostro Paese nel futuro. Nel campo accademico, poi, gli italiani sono assolutamente rispettati con posizioni di primo piano sia negli Stati Uniti sia in Canada.

Di tale eccellenza lei se ne è fatto portavoce fino a diventare il Presidente del Comitato italiano all’estero, il Comites di Houston. Da Presidente, quali sono state le sue funzioni? Quali le iniziative più significative che ha portato avanti?

Innanzitutto, vorrei precisare cosa sono i Comites. Possiamo definirli l’equivalente dei consigli comunali per noi italiani all’estero. La mia idea era quella che se fossimo riusciti a fare squadra ci saremmo uniti ancor di più come comunità, includendo tutti: nuova e vecchia emigrazione, le diverse professionalità, dai ricercatori agli imprenditori. L’azione del Comites è stata molto apprezzata. Da una parte, abbiamo informato i cittadini che abitano a Houston o in tutto il Texas, fornendogli informazione precise su alcune procedure amministrative da adempiere. Dall’altra, abbiamo cercato di avvicinare la numerosa comunità dei ricercatori a contatto con la comunità generale.

Abbiamo anche organizzato una serie di iniziative sulla salute mentale, un tema molto sentito da tutta la comunità italiana in Nord America, in particolare dai giovani che, appena trasferitisi negli States, non hanno fatto neanche in tempo ad abituarsi al cambiamento culturale che è scoppiata la Pandemia. Ecco, credo che in questo i Comites siano stati di grande supporto. Ora, da deputato, mi sto impegnando attivamente per aiutare i Comites sparsi in tutto il Nord e il Centro America a svolgere al meglio questa funzione al servizio della comunità.

Avendo lei una formazione da ingegnere, cosa pensa di questa corsa globale all’AI? Qual è la differenza tra l’approccio statunitense ed europeo e come valuta l’AI Act europeo?

La differenza è un po’ quella sostanziale che si vede spesso nell’approcciarsi all’evoluzione tecnologica da parte dell’Ue e degli Stati Uniti. Negli States c’è l’idea di lasciare andare avanti l’evoluzione tecnologica e solo dopo cercare di regolarla. Di fatto, per le aziende private americane l’ordine esecutivo del Presidente Biden rappresenta delle mere raccomandazioni volontarie, non fornisce degli obblighi formali a cui devono sottostare le aziende quando usano l’AI. L’Europa, al contrario, sta seguendo un approccio diverso. Come Socialisti e Democratici europei abbiamo guidato l’intera parte negoziale e siamo giunti ad un Regolamento complesso, molto articolato ma assolutamente necessario perché va a regolare l’AI facendo una suddivisione tra i casi d’uso più delicati. Molta attenzione è stata data alla privacy, limitando i casi di sorveglianza con strumenti di intelligenza artificiale come il riconoscimento Biometrico. Parallelamente, però, è stata lasciata aperta una finestra all’innovazione, alla crescita potenziale della produttività grazie all’applicazione dell’AI nell’industria. Con l’AI Act siamo nella giusta direzione.

L’Ue è alle prese con un’altra transizione, altrettanto cruciale: quella energetica. Secondo lei, senza il nucleare, è davvero possibile pensare un’industria decarbonizzata anche nei cosiddetti settori hard to abate?

Oggi abbiamo la fortuna di avere a disposizione diverse tecnologie: dal Carbon Capture Storage, cioè la cattura del carbonio, alle rinnovabili e l’idrogeno. Ma sicuramente l’energia nucleare può giocare un ruolo fondamentale in futuro, può diventare parte della soluzione al problema delle emissioni inquinanti. In Parlamento, abbiamo recentemente discusso una mozione su quella che deve essere la direzione del Governo sul nucleare. Come PD, è stata presentata la mia mozione che punta molto sulla ricerca e la formazione. La formazione di ingegneri nucleari ci serve a prescindere, sia per il deposito nazionale delle scorie radioattive sia in prospettiva futura. Bisogna innanzitutto capire se questa fonte possa trovare degli usi commerciali diffusi che, oggi, con i reattori di terza generazione, sono stati un po’ deludenti a causa degli alti costi di manutenzione. In futuro, credo sia molto importante che l’Italia guardi alla ricerca e alla sperimentazione. Vedremo quello che ci prospetterà la quarta generazione di reattori, attendendo speranzosi la fusione nucleare.

Venendo alla sua intensa attività da deputato, durante l’esame della legge di bilancio lei ha presentato un ordine del giorno per impegnare il Governo a riconoscere la possibilità dell’iscrizione volontaria al Servizio Sanitario Nazionale anche agli italiani all’estero residenti in paesi al di fuori dell’Unione europea e dell’area EFTA. Qual è la normativa vigente e cosa spera di ottenere con una possibile legge su questo tema?

Questa è un’iniziativa molto delicata che impatta ovviamente soprattutto chi vive in Oceania, in Nord e in Sud America. In Italia, oggi l’eccellenza medica risiede nel pubblico e se non si ha l’accesso al settore, come molti residenti all’estero, di fatto non ci si può curare. Le nuove generazioni che sono emigrate e che si sono spostate spesso e volentieri hanno le famiglie in Italia. In questo nuovo mondo delle migrazioni è dunque importante avere la possibilità di trascorrere anche lunghi periodi nel proprio paese. Come è accaduto durante il Covid, molti sono voluti tornare in Italia e trascorrere più tempo con le famiglie. Ecco, in questo caso è cruciale poter avere accesso al servizio sanitario e usufruire dell’eccellenza del pubblico.

Concludendo, volevo chiederle innanzitutto come valuta questa scelta, netta, atlantista, del Governo italiano? Inoltre, si vocifera nella stampa italiana su una possibile discesa in campo di Michelle Obama alle presidenziali del novembre negli Stati Uniti. Indiscrezione o fake news?

La scelta atlantista del Governo italiano ci ha sorpreso tutti molto positivamente. Era una delle più grandi preoccupazioni del PD alla nascita di questo Governo perché alcuni degli alleati della Presidente del Consiglio in passato hanno sostenuto posizioni molto vicine alla Russia. Una linea che sposiamo dell’attuale maggioranza è tuttavia il suo continuo sostegno all’Ucraina che ci posiziona chiaramente in una posizione filo-atlantista che l’Italia deve continuare a tenere senza se e senza ma. Bisogna sostenere l’Ucraina. Sotto questo punto di vista, sarebbe infatti importante una maggiore azione diplomatica di pressione politica da parte dell’Unione europea. Per quanto riguarda invece la candidatura di Michelle Obama, questa è una notizia che ha preso piede solo in Italia. Di fatto, però, non è una notizia seria poiché se lo fosse sarebbe stata riportata dal New York Times, dal Washington Post, da Politico. Negli Stati Uniti è invece apparsa solo sul New York Post, una fattispecie di tabloid di scarsa qualità, ripresa poi da alcuni giornali italiani che l’hanno fatta diventare virale. È divertente vedere come la stampa italiana abbia abboccato. La verità però è una: i candidati rimangono due, Biden e Trump. Che ci piaccia oppure no, per adesso la situazione rimane questa.

La videointervista

 

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