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Etica, AI e integrità professionale

Etica, AI
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La velocità dell’evoluzione tecnologica, in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale (AI), ci pone di fronte a scelte di natura etica fondamentali riguardo al nostro futuro. Perché se è vero che le potenzialità dell’AI sono immense, il modo in cui decidiamo di integrarla nella nostra società determinerà se sarà uno strumento di beneficio o di divisione.

Nella programmazione dell’AI e nella sua impetuosa evoluzione le questioni morali, giuridiche, filosofiche e tecniche devono essere considerate in maniera equanime per garantire che essa non solo avanzi in termini tecnologici ma anche in modo eticamente responsabile. Occorre una trasparenza totale nel processo decisionale delle macchine per assicurare che le loro azioni siano eticamente giustificate e non dettate da pregiudizi inconsci. Il rischio che corriamo si chiama ‘algocrazia’, dove la tecnologia domina sull’etica.

Macchine che surrogano medici, giudici, burocrati o generali dell’Esercito rappresentano già un rischio su cui confrontarci. In tempi di guerre e crisi geopolitiche (vedi Ucraina, Medio Oriente) rischi come quelli legati ai sistemi d’arma autonomi o alla manipolazione delle informazioni per creare confusione in regimi democratici sono inquietanti. Uno degli aspetti più provocatori del dibattito sull’AI è la tendenza che abbiamo a umanizzare le macchine, attribuendo loro qualità e capacità tipicamente umane.

In questo numero della rivista chiariamo – grazie al contributo di scienziati illuminati – che le macchine non possiedono coscienza o emozioni e non possono comprendere il mondo come gli esseri umani. Almeno per ora. Questo riconoscimento è essenziale per prevenire delusioni e per utilizzare l’AI in modo efficace e appropriato. Insomma, per capirci, gestire correttamente l’AI (in termini etici) significa non solo evitare minacce alla nostra umanità, ma anche di esaltarla, aiutandoci a navigare e prosperare in un futuro tecnologicamente avanzato.

Forse è per questo che Papa Francesco nel considerare l’intelligenza artificiale un tema cruciale per l’umanità esorta a un trattato internazionale che ne regoli lo sviluppo e l’uso etico. La sua presenza al G7 in Puglia a giugno, su invito dell’Italia, sottolinea l’urgenza di stabilire regole comuni a livello governativo per affrontare queste sfide. Quello che il Pontefice riconosce ed evidenzia sono le potenzialità dell’AI, ma anche i pericoli di una “dittatura tecnologica”.

Veniamo ora alle questioni professionali, giornalistiche. L’AI sta producendo un impatto devastante sull’informazione. Quella informazione che è nata come cane da guardia delle istituzioni e si sta trasformando in cagnolino da salotto. In questo Paese si affacciano al proscenio nazionale gruppi editoriali o pseudo tali che si accompagnano quasi sempre ad associazioni più o meno chiare di lobbying che portano, traducono, difendono interessi più o meno confessabili e trasformano le notizie in pubblicità, marketing o altri contenuti a pagamento.

Con i sistemi di intelligenza artificiale l’informazione si sta riducendo a un dispensario di comunicati stampa tradotti in bella forma con ChatGpt e altri sistemi simili. Forma bella, sostanza nulla. Il cuore del contenuto di giornali, riviste, Tg, siti web e altri contenitori digitali non è più solo ciò che fa notizia, ma ciò che può essere venduto come notizia.

Ed è per questo che nelle redazioni dei giornali ci sono sempre meno giornalisti e sempre più content manager, event manager, social media strategist e/o produttori/procacciatori di affari vari che nulla hanno a che vedere con l’informazione. Forse è per questo motivo che i collaboratori che scrivono per i giornali, quand’anche esibiscano un tesserino di iscrizione all’Ordine dei giornalisti, sono più o meno tutti personaggi con lo stesso pedigree professionale: assistenti parlamentari, collaboratori a gettone, portaborse di senatori, deputati o ex ministri usati come strumento di lobbying. Mediterei su queste cose. Comincerei a parlarne.

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