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Perché in Italia le scaleup sono poche e come supportarle 

Le scaleup italiane sono in crescita, ma l’Italia è ancora parecchio indietro rispetto ad altri Paesi europei. Per capire le ragioni del ritardo ed elaborare proposte utili a colmare il divario valorizzando l’ecosistema scaleup, a Roma è andata in scena la seconda conferenza annuale dell’ESI, l’European Scaleup Institute, che ha visto il confronto fra alcuni dei massimi esperti in materia. 

“Abbiamo sviluppato molti insight per capire come fare scaleup in maniera sempre più efficace”, sottolinea il professore della Rotterdam School of Management Justin Jansen, nel corso del panel ‘Support for scaleups: Funding, Education & Ecosystems’, moderato da Alessandro Pulcini di Fortune Italia. “Dobbiamo tradurre questi insight in programmi che supportino gli imprenditori e i team: è questa la nostra ambizione. Credo sia giusto che gli imprenditori, nonostante le pressioni per crescere in fretta, si prendano del tempo per capire che cosa vuol dire guidare l’azienda”.  

La due giorni romana della conferenza – ospitata dalla Luiss Business School per la prima giornata e quindi dallo Zest Hub di via Marsala – è stata anche l’occasione per presentare l’European scaleup monitor, un nuovo tool che consente di monitorare in tempo reale l’andamento del mercato Ue delle startup e, nella fattispecie, l’evoluzione in scaleup. 

Promosso dall’ESI, il tool identifica come scaleup le aziende che hanno meno di dieci anni e una crescita del fatturato del 40% in almeno due degli ultimi tre anni. Al momento, sono 818 le scaleup presenti in Italia. Un quarto si trova in Lombardia (218); segue il Lazio, che ne ospita 116.

“Il nostro Paese arriva dopo rispetto a tanti altri”, evidenzia Francesco Cerruti, General Manager di Italian Tech Alliance. “Nel 2023 sono stati investiti 1,18 miliardi. Il gap con Spagna, Francia e Germania è ancora grande, ma si sta riducendo, fra il 2022 e il 2023 si è praticamente dimezzato. Eventi come questo sono preziosi, perché contribuiscono a ridurre la distanza fra centri di ricerca, università e investitori. Ed è quello che stiamo cercando di fare con Italian Tech Alliance: rendere più fluida la collaborazione fra questi tre attori, che in Italia si parlano troppo poco”. 

Paolo Cellini, Board Member di Deep Ocean Capital, ha passato in rassegna i principali problemi che affliggono il contesto europeo delle startup. “Abbiamo un mercato frammentato, così come sono frammentati i fondi di venture capital. Non è un caso che molte scaleup vengono comprate da aziende americane”. 

“Il sistema italiano è ancora primitivo – chiarisce Valerio Caracciolo, Vice President di Italian Angels for Growth – Negli ultimi anni sta evolvendo rapidamente, ma è ancora abbastanza acerbo. Serve un approccio che definirei ‘darwiniano’: se una startup cresce troppo lentamente, non può prendere risorse che sarebbe meglio destinare ad altre aziende. Il founder non può vedere la startup come un’azienda normale, con orari normali. Deve essere un mantra, la tua vita: serve tanto impegno”. 

“Le tecnologie digitali sono un mondo ormai trasversale a qualunque settore industriale – commenta Roberto Magnifico, Board Member di Zest Innovation – Il loro impatto sarà sempre più pervasivo. In Italiano i talenti imprenditoriali e le nuove tecnologie non mancano, ma serve un terreno fertile per farli crescere. Servono le risorse necessarie per fargli superare la fase pre-seed, aiutandoli a mitigare il profilo di rischio e rendendoli più appetibili per le fasi successive di investimento”. 

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Paideia

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