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Negozi quartiere possono vincere guerra commercio

La vera sfida dei piccoli commercianti – non solo per la domenica e i giorni di festa – è convincere il consumatore ad alzarsi dal divano, abbandonare la serie tv che sta guardando e preferire un’esperienza d’acquisto personalizzata a quella che può invece fare via smartphone o, molto meno comodamente, in un centro commerciale fuori città. Le abitudini cambiano velocemente ed è anche per questo che la grande distribuzione non è più il vero nemico dei negozi di quartiere. Anche per loro le vendite cominciano ormai a perdere punti e le chiusure sono sempre più all’ordine del giorno. Dati Istat alla mano, nel II trimestre del 2018 il commercio delle attività di quartiere ha perso l’1,6% del valore, ma la grande distribuzione segue a ruota con un -0,7%. Ad andare meglio, anzi benissimo, è l’e-commerce ‘pigliatutto’ che cresce invece del 15,3%. Una tendenza che va avanti ormai da almeno un paio d’anni e che negli Usa già nel 2017 è stata letta come una vera e propria crisi dei grandi mall.

A confermare queste cifre ci sono le notizie su difficoltà e chiusure, sempre più diffuse, dei supermercati anche in Italia. Fra le più recenti, quella di un Carrefour di Novara che chiuderà il 30 settembre, la crisi dell’Auchan a Napoli e Catania e i 14 supermercati Sigma che cessano l’attività nel sassarese. Non va meglio nemmeno ai discount, se si prende ad esempio la crisi di Superdì e Iperdì con oltre 1.000 lavoratori senza stipendio da luglio e a rischio posto di lavoro. “La grande distribuzione sta entrando in difficoltà perché spesso non c’è più una ragione che giustifichi per una famiglia l’andare fuori città a fare acquisti senza ricevere nulla in più rispetto a quello che già offrono le piattaforme e-commerce”, spiega Giuliano Noci, docente di marketing alla School of Management del Politecnico di Milano e responsabile dell’Osservatorio Multicanalità, secondo il quale proprio in questa tendenza si nasconde la soluzione che può invece far riprendere quota ai negozi “tradizionali”. Per Noci, infatti, ci sarà sempre più un ritorno agli esercizi commerciali di piccole dimensioni, soprattutto per prodotti ad alta frequenza di acquisto, se questi sapranno però cogliere i segnali che la trasformazione dei consumi sta lanciando.

Negli ultimi 10 anni, gli studi nazionali e internazionali “hanno sempre evidenziato che il punto vendita fisico non è morto, anzi avrà sempre una grande vitalità, specialmente se saprà integrarsi col mondo dell’online. Oltre 20 milioni di italiani fanno acquisti sia su internet che nei negozi, ma in futuro questi ultimi dovranno essere sicuramente diversi”, aggiunge il professore spiegando che il negozio di quartiere dovrà sempre più “diventare un punto di esperienza polisensoriale” perché i commercianti oggi “si vedono ancora come puri venditori e invece dovrebbero diventare sempre più consulenti. Servono più competenze, più esperienza su certe tipologie di prodotti e soprattutto più specializzazione nell’offerta”.

Pensare che quello del commercio online sia un fenomeno per giovani “ormai è sbagliato”, fa poi notare Noci sottolineando che a far cadere la barriera demografica “è stato l’avvento delle applicazioni di e-commerce sui cellulari”. La possibilità di poter fare acquisti via smartphone in qualunque momento ha aperto le porte di questo mondo anche a generazioni più in là con gli anni che hanno cambiato le loro abitudini di consumo. Il commercio online è diventato – soprattutto nei grandi centri urbani – “una grande comodità, soprattutto per la flessibilità di consegna e per le spedizioni sempre più rapide”.

Che il commercio elettronico stia prendendo progressivamente piede “è un fenomeno ineludibile e mondiale, il problema semmai è che in Italia siamo in relativo ritardo”, continua Noci spiegando che la lentezza italiana è dovuta fondamentalmente a due fattori: “il primo è la scarsa dimestichezza con i pagamenti in carta di credito, il secondo – e più rilevante – è invece il fatto che l’offerta non sia adeguata, in Italia la disponibilità di piattaforme e-commerce effettivamente efficaci e fungibili è minore. Al di là di Amazon e di altri grandi player c’è molto poco in Italia, nel Regno Unito ci sono tantissimi siti di e-commerce mentre da noi è meno scontato”. Letta in questo senso, anche la proposta lanciata dal vicepremier e ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, di creare un Amazon del Made in Italy per rilanciare le eccellenze italiane potrebbe avere il suo perché.

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