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La competitività passa dall’inclusione e la parità di genere

Diversità, inclusione e parità di genere sono tre concetti sempre più centrali nel mondo del lavoro, e rappresentano al contempo tre sfide con cui imprese ed istituzioni sono chiamate a confrontarsi quotidianamente. Il panorama professionale negli ultimi anni ha vissuto trasformazioni sostanziali, che in Italia hanno interessato da un lato un capovolgimento delle competenze richieste, dall’altro una crescita del cosiddetto gender gap. Ne parla Paola Cutaia, coach professionista che da anni assiste imprenditori, manager e dirigenti del settore pubblico, privato e no profit. Consulente per aziende italiane e internazionali, Cutaia ha collaborato per molto tempo con i vertici delle istituzioni nazionali ed è stata direttrice generale di Amnesty International Italia.

Quanto è diffusa oggi, in Italia, la parità di genere in ambito lavorativo?
Il World Economic Forum, che stila ogni anno una classifica globale del divario di genere, ha evidenziato un brusco peggioramento del gender gap in Italia: siamo passati dalla 50esima posizione del 2016 alla 82esima nel 2017 sui 144 Paesi presi in esame. Il report del WEF considera il divario in termini di lavoro, di opportunità, di educazione e di rappresentanza politica. Ed è sul lavoro e sulle retribuzioni che si evidenziano le differenze maggiori: l’Italia su questo si classifica solo al 126esimo posto. Anche i dati del rapporto Ocse evidenziano che la parità di genere è un elemento fondamentale per assicurare crescita economica e prosperità. Secondo questo rapporto i Paesi nord europei hanno aumentato il proprio Pil fra il 10 e il 20% in 50 anni grazie all’aumento dell’occupazione femminile.

A suo avviso, quali sono le cause principali che ne determinano una scarsa affermazione?
Tra i vari fattori ne esistono alcuni che possiamo definire “culturali” o “sociali” che limitano la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Sono ancora molto forti nel nostro Paese gli stereotipi di genere che condizionano scelte e comportamenti in famiglia, nella società e nelle aziende. Questi stereotipi indirizzano, ad esempio, le scelte di studio e di carriera, così come le assunzioni e le promozioni. Inoltre fanno percepire alcuni comportamenti come inadatti alle donne: dal prendere la parola nelle riunioni, al chiedere un aumento di stipendio, fino al competere con altri candidati per un posto di lavoro, solo per fare alcuni esempi concreti. Purtroppo non è facile rendersene conto pienamente, sia per le donne che per gli uomini. Tra l’altro le donne devono ancora farsi carico della maggior parte del lavoro familiare e di cura dei figli, nonostante si assista a un sempre maggiore coinvolgimento dei padri. Questa differenza penalizza ancora pesantemente le donne dal punto di vista delle opportunità di lavoro e di carriera.

In base alle sue molteplici esperienze con istituzioni ed aziende, come giudicherebbe oggi il contesto professionale nazionale in tema di diversità, inclusione e responsabilità sociale di impresa?
È un momento interessante, con profonde differenze tra una realtà e l’altra. Alcune grandi aziende, soprattutto multinazionali, investono da molti anni tempo, energie e formazione nei programmi di diversity & inclusion perché hanno potuto verificare che un ambiente di lavoro diversificato – per genere, provenienza, età – ha un impatto positivo sui risultati economici dell’azienda. Purtroppo, invece, molte altre aziende non prendono affatto in considerazione questo aspetto: imprenditori e dirigenti sono ancora molto legati a una visione tradizionale della società e a vecchi stereotipi. Questo gli impedisce di prendere in considerazione i dati che evidenziano le migliori performance delle aziende che utilizzano la diversità per ottenere un vantaggio competitivo sulla concorrenza, precludendosi non poche opportunità. Per quanto riguarda la responsabilità sociale è con piacere che registro una evoluzione in corso nella cultura delle aziende: stiamo passando dalla logica del finanziamento di piccoli o grandi progetti ad impatto sociale, ma limitati nel tempo e nello spazio, ad una più diffusa cultura della filantropia intesa in senso strategico come motore di miglioramento sociale.

In Italia la presenza femminile diventa particolarmente carente quando parliamo di incarichi dirigenziali. Come si spiega questo fenomeno?
Nel nostro Paese il 24% dei manager in posizioni di vertice è donna. Siamo ancora lontani da una situazione di parità. È da notare anche che le manager sono più presenti in funzioni di staff e di supporto – risorse umane, amministrazione, comunicazione – rispetto alle funzioni di linea, secondo una ricerca del Boston Consulting Group. In una situazione come quella italiana, alle barriere all’accesso delle donne nel mercato del lavoro e alla carriera si aggiungono ulteriori difficoltà per le donne che aspirano a raggiungere posizioni manageriali e di vertice. Per esempio, è ancora piuttosto diffusa la cultura che ritiene che determinati incarichi e certi livelli di responsabilità non siano adatti alle donne, così come è difficile per le donne trovare modelli a cui ispirarsi all’interno di quelle aziende in cui i dirigenti sono ancora soprattuto uomini.

All’estero come si presenta la situazione? Si potrebbe trarre spunto da qualche Paese in particolare per accelerare la diffusione della parità di genere a livello nazionale?
Penso che dovremmo ispirarci maggiormente alla considerazione che ha guidato le iniziative legislative di molti Paesi europei: l’uguaglianza non si realizza da sola, ma per legge. L’ultima e più avanzata legislazione in tema di parità salariale in Europa è stata introdotta quest’anno dall’Islanda: sono le aziende e la PA che devono dimostare la parità di retribuzione tra uomini e donne. La parità retributiva in teoria era già prevista, ma le differenze salariali continuavano a esistere, come accade ancora oggi in Italia, che ha una legge in materia da più di vent’anni, ma non è mai stata veramente applicata.

In un mercato del lavoro dove la concorrenza è sempre più agguerrita, le politiche di diversity & inclusion potrebbero quindi rappresentare un elemento di vantaggio per chi le adotta?
Direi che è la migliore opportunità che le aziende hanno oggi per guadagnare enormemente in competitività: un investimento nella diversità è un investimento nei migliori professionisti, in nuove idee e in relazioni migliori con clienti e altre aziende. La diversità attrae le persone di talento. Una forza lavoro diversificata genera idee diverse e idee diverse rendono le aziende più competitive. È più facile comprendere la mentalità e i bisogni dei clienti. È più facile attivare nuove partnership commerciali e espandersi in nuovi Paesi.

Lato innovazione, quali sono le criticità maggiormente diffuse tra le imprese in ambito nazionale?
Viviamo nell’età dell’innovazione, un periodo in cui creare innovazione dovrebbe essere la normalità. Tuttavia, spesso esiste una distanza tra il potenziale di innovazione di un’organizzazione e la sua capacità di realizzarlo. Le aziende di successo riescono invece a utilizzare pienamente le potenzialità delle loro risorse più preziose: le persone con creatività, immaginazione e pensiero innovativo. Sono aziende che hanno un approccio sistematico alla costruzione di una cultura dell’innovazione: hanno una visione e una strategia condivisi, non si concentrano solo sulle attività a breve termine, dedicano del tempo allo sviluppo di nuove idee e nuove opportunità. In queste aziende, l’innovazione e uno stile di lavoro che la favorisca sono considerati obiettivi che coinvolgono l’intera organizzazione. Su questo argomento per molte aziende, invece, c’è ancora tanta strada da fare. Ci sono grandi spazi di miglioramento e quindi molte opportunità di crescita.

A suo avviso, quali potrebbero essere i possibili percorsi da intraprendere per invertire la rotta?
L’innovazione in azienda parte dal definire una strategia di lungo periodo che coinvolga l’intera organizzazione, destinando tempo, energie e risorse. Il sostegno all’innovazione può partire solo dai vertici dell’azienda: per incoraggiare le nuove idee e l’innovazione a tutti i livelli, per premiare i dipendenti e i gruppi di lavoro che sviluppano idee creative, per scegliere la diversità, per imparare dalle esperienze di altre aziende e di altri settori, per sperimentare e valutare le idee e i progetti che vengono proposti. Si possono generare nuove idee e si possono produrre grandi innovazioni quando viene valorizzata e utilizzata la creatività collettiva di tutta l’organizzazione.

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